Georg Wilhelm Friedrich Hegel
Cenni biografici
Georg
Wilhelm Friedrich Hegel nacque il 27 agosto 1770 a Stuttgart (Stoccarda), da
famiglia protestante luterana, "bene ordinata e agiata" e viene
avviato agli studi di teologia. Il padre era impiegato statale. Studiò al
ginnasio di Stoccarda i classici greci e latini. Seguì i corsi di filosofia (2
anni) e teologia (3 anni) all'Università di Tubinga (1788-1793), dove si legò
di amicizia con il filosofo Schelling e con il romantico Hölderlin.
Condivise con loro l’entusiasmo, per la Rivoluzione e per Napoleone cosa che
esercitò sul suo pensiero un'influenza duratura.
A Berna, Francoforte e Jena.
Terminati
gli studi all’Università e insoddisfatto del rigido insegnamento accademico,
rifiuta la vita religiosa e si dedica all’attività di precettore in case
private a Berna (1793-1796). Dopo tre anni di soggiorno in Svizzera, Hegel
tornò in Germania ed ebbe un posto di precettore privato a Francoforte sul Meno
(1797). È in questi anni che inizia a esercitare il suo genio di pensatore e di
scrittore e ad elaborare i primi tratti del suo sistema filosofico. Frattanto
essendogli morto il padre (1807), che gli aveva lasciato un piccolo capitale,
su invito di Schelling, si recò a Jena, la città di nascita del romanticismo
tedesco, e vi ottenne il posto di libero docente e vi fece il suo primo corso
universitario. Al periodo di Jena appartiene anche una delle sue opere più
celebri, “La fenomenologia dello spirito”.
Contemporaneamente la Germania viene invasa dalle truppe
napoleoniche ed Hegel perde il suo incarico di docente e si trasferisce a
Bamberga e assume l’incarico di capo redattore del giornale locale. Questa
attività non lo appassiona e si trasferisce a Norimberga.
A Norimberga. Nel
1808 divenne direttore del Ginnasio di Norimberga e rimase in questo ufficio
fino al 1816. Hegel descrive come anni felici quelli di Norimberga: in tale
periodo si sposò, e scrisse la Scienza
della Logica.
Heidelberg e Berlino. Nel 1816 fu nominato
professore di filosofia a Heidelberg, dove pubblicò l'Enciclopedia delle
scienze filosofiche in compendio (l’esposizione
completa del suo intero pensiero). Nel 1818 fu chiamato all'Università
di Berlino dal re di Prussia in persona. Cominciò allora il periodo del suo
massimo successo che influenzò la vita culturale dell’intero paese. Nominato
rettore riesce a tenere lontano dall’Università tutte le agitazioni politiche
degli anni ’30. Così come da giovane si entusiasmò per le rivoluzioni liberali,
ora le valuta con sdegno. Hegel muore a Berlino, forse di colera, il 14
novembre 1831, lasciando alla filosofia tedesca e al mondo una eredità immensa
e incancellabile.
Il pensiero di
Hegel lascia molto perplessi per la sua complessità e difficoltà di
comprensione, forse è il filosofo più criptico che ci sia stato. Questo non
deve scoraggiarci se non lo comprenderemo. Anzi è dato per scontato che il
primo approccio sarà scoraggiante. Servirà però a prendere confidenza con
alcuni suoi concetti che verranno poi ripresi da altri e in questo caso saranno
anche un po’ più comprensibili.
Per Hegel la Ragione
non è pura astrazione, idealità, bensì governa il mondo e lo costituisce; la
realtà non è che il dispiegarsi della Ragione che si manifesta in una serie di
passaggi, i quali rappresentano, ognuno, il risultato di quelli precedenti e il
presupposto di quelli seguenti. Così la realtà intera è da Hegel accettata e
giustificata, visto che, dal punto di vista dello Spirito Assoluto, tutto ciò
che è, è, appunto, necessariamente quello che deve essere.
Il compito della filosofia, per Hegel, non è quello di modificare
o trasformare la realtà indicando un modello ed insegnando "come il mondo
debba essere", come hanno fatto tutte le filosofie precedenti ad Hegel (in
particolare quella kantiana, per la quale permane il divario fra l’essere e il
dover essere, tra quello che è o si può conoscere e quello che si dovrebbe fare
o si può arrivare a conoscere), ma è quello di prendere atto della realtà così
com’è, essa deve cioè "mantenersi in pace con la realtà" e deve solo
elaborare in concetti il contenuto reale che le offre l’esperienza,
dimostrandone l’intrinseca razionalità. La filosofia è paragonata da Hegel,
secondo una celebre similitudine, alla nottola (la civetta, simbolo di
saggezza) della dea Minerva, la quale inizia a volare al crepuscolo, cioè
quando il giorno è finito, ovvero quando la realtà è già fatta e conclusa.
Critiche fondamentali di Hegel
Critica a Kant = il dualismo noumeno – fenomeno
L’Idealismo critica tutta la
impostazione conoscitiva (gnoseologica) di Kant. Quella che afferma che è il
soggetto che conosce l’oggetto che gli è
esterno. Per Kant noi conosciamo come le cose appaiono (fenomeno) ma non
sapremo mai come sono in verità (noumeno). Ma allora come possiamo dire di
conoscere una cosa se non sappiamo cos’è, evidenziano gli idealisti. Come
possiamo dire che il Noumeno è causa del Fenomeno, se non lo conosciamo? Ciò
che è contraddittorio non esiste.
Per l’Idealismo le cose
esterne non esistono, esiste solo il pensiero.
Hegel, nella sua grande opera “La
fenomenologia dello spirito” afferma di fatto che tutto ciò che esiste è
produzione del pensiero, proprio come il sogno è una produzione del nostro
pensiero. Quella di Kant è stata una grande astuzia ma che in realtà
contraddice se stessa.
Critrica a Fichte = la “cattiva Infinità”
Fichte viene rimproverato per aver di
fatto riproposto il dualismo kantiano a causa dei suoi “Io” e “non Io”. L’Io,
unica realtà esistente per Fichte, per produrre il pensiero ha bisogno di un
“non Io” che rappresenta il contenuto del pensiero. Il compito morale che poi
Fichte attribuiva all’uomo, allo spirito e all’Io era quello di aver sempre bisogno
del “non io” per farlo
diventare poi un “io” e riattivarsi e per capire che quando questo diventa “Io”
dopo ci dovrà essere un altro “non io” come nuovo stimolo per attivarsi e
andare ancora oltre, verso un nuovo “non io”, sempre finito, limitato
(divisibile dirà Fichte), ma che comunque sarà un altro mattoncino che farà
parte di un infinito a cui tendiamo inesorabilmente. Il dualismo e la “cattiva infinità” sono quindi la
critica di Hegel a Fichte.
Critica a Schelling = l’indifferenza soggetto –
oggetto
Schelling afferma che
l’unica realtà esistente è l’Assoluto nel quale si scioglie sia il soggetto che
l’oggetto evitando così il dualismo di Kant e di Fichte. Hegel vi si
contrappone rimproverando Schelling di non spiegare di fatto le realtà in cui
viviamo perché se l’Assoluto è una indifferenza di soggetto e oggetto, quando
la realtà si realizza, l’assoluto non è più assoluto, perché per forza ci sarà
un soggetto pensante ed un oggetto pensato. Per Hegel il pensiero di Schelling
è definito nella famosa sua frase “è una
notte in cui tutte le vacche sono nere”, non si distingue nulla.
CRITICA ALL'
ILLUMINISMO: L'illuminismo
è basato sulla ragione vista come un intelletto astratto che si deve imporre e
piegare la storia, non tenendo conto della natura razionale di essa.
CRITICA AL
ROMANTICISMO: Del
romanticismo Hegel critica l'idea del dover cogliere tutto attraverso
l'intuizione, in particolare con l'arte. Egli ritiene invece che la razionalità
del mondo possa essere compresa dalla filosofia, mentre l'arte tanto cara ai
romantici ne dia una rappresentazione del tutto parziale, poiché legata al
sentimento.
Il sistema
hegeliano.
l’unica realtà esistente è il soggetto:: “dell’assoluto infatti bisogna dire che è essenzialmente un risultato che solo alla fine è ciò che è in verità. Nella mia filosofia tutto consiste nel concepire l’assoluto non tanto come una sostanza bensì propriamente come un soggetto”. A questo Hegel arriva dopo aver confutato le teorie dei suoi predecessori.
Dire che l’assoluto, cioè
l’unica realtà esistente, è un soggetto, significa dire che diviene, perché i
soggetti divengono. Noi stessi diveniamo e siamo il risultato di tutte le
precedenti tappe della nostra vita. Questo significa che la verità diviene, che
l’assoluto è diveniente. L’idea è che la verità si fa nella storia, che la
verità diviene. Ciò che è vero oggi è così perché c’è una storia dietro che lo
ha fatto essere vero oggi, ma che non è detto che domani sia vero come è vero
oggi, ma domani sarà un altro risultato. L’assoluto
è essenzialmente un risultato.
Questa filosofia apre il
campo allo storicismo, cioè che le Verità e la Storia coincidono, che la verità
è ciò che la storia fa. Non c’è più la Verità oggettiva assoluta. Dio non è concepito
come il vero e che dà un senso al mondo. Siamo completamente fuori da tutta la
filosofia greca, da tutta la filosofia medioevale. Non c’è una verità
oggettiva. Il vero non è qualcosa di stabile.
Nell’antico testamento Dio
è l’assoluto, l’immutabile. Nel nuovo testamento Cristo è sempre lo stesso ieri
oggi e per sempre. La Verità è stabile. Per Hegel l’assoluto, Dio, non è
qualcosa di oggettivo e stabile, ma è un soggetto
che diviene. L’assoluto di Hegel è ancora una volta connotato con i
caratteri della soggettività.
Tripartizione del sistema hegeliano
La
tripartizione del sistema hegeliano si compone quindi di una Logica, una Filosofia naturale e una Filosofia
dello spirito e vede l’assoluto come soggetto.
Logica
Questo assoluto è di fatto
un risultato. All’inizio non sa neanche chi è, come noi quando siamo appena
nati. L’assoluto, prima di diventare qualcos’altro è nella massima “povertà”,
perché ancora non si conosce. Quest’unica realtà esistente, che chiamiamo idea,
da cui idealismo, all’inizio è l’idea in
sé e per sé, senza essersi ancora riconosciuta (è come se fosse Dio prima
della creazione del mondo, prima di diventare natura). Questa realtà iniziale è
studiata dalla Logica hegeliana (non quella aristotelica).
Filosofia della natura
Questa idea si aliena da
sé, cioè si estranea da sé, diventa qualcos’altro, fuoriesce da sé. Quella che
ci sembra essere la realtà, la natura, gli oggetti, non sono come per Fichte il
“non Io”, ma è sempre l’Idea che è fuoriuscita da sé. Questa è studiata dalla
Filosofia della natura. Natura che il Romanticismo vuol ignorare.
Filosofia dello spirito
Una volta però che l’idea è
uscita da sé, l’idea ritorna in sé e si riconosce. Capisce che tutto ciò che
esiste non è altro che lei che si era estraniata da sé. Questa è studiata dalla
Filosofia dello Spirito.
Noi per conoscerci, o
meglio per riconoscerci, dobbiamo vederci in qualcos’altro, per esempio in uno
specchio, dove ci vediamo fuori da noi stessi.
L’assoluto hegeliano è dunque
l’idea in sé nella sua massima povertà, quando ancora non si riconosce. Ha
bisogno di uscire da sé (farsi natura come l’immagine allo specchio) e poi in
quell’immagine prendere consapevolezza che nulla è diversa da sé stessa e che
quindi si riconosce.
Le tesi hegeliane
Risoluzione del finito nell’infinito – 1ma tesi.
Tutto ciò che esiste e che a noi sembra
il finito, non ha una realtà vera in sé perché è una manifestazione di
quest’unica realtà esistente. Cioè tutto quello che in apparenza ci sembra il
finito, cioè le cose, in realtà non esistono, così come non esiste l’immagine
nello specchio. Tutto ciò che è la realtà, non è altro che una unica e sola
idea di realtà che si è persa, estraniata, uscita da se e diventata natura. Ma
tutto ciò che vediamo è questa idea.
Torniamo all’esempio del sogno. Il
sogno è tutto una produzione della nostra mente, che in qualche modo si è
estraniata da se, in quel pensato che è il sogno. Ma in realtà tutto ciò che fa
parte del sogno non esiste, perché tutti i singoli elementi del sogno (i
finiti) sono di fatto una manifestazione dell’unica realtà che è il mio
pensiero. Il finito si risolve nell’infinito, non ha una sua propria
consistenza, è tutta una manifestazione di quest’ultima realtà. I discorsi, le
immagini, i sentimenti, ecc. che vivo nel sogno sono tutti “finiti” che si
dissolvono nell’infinito, come una immagine nello specchio, immagine che di
fatto non esiste.
La Funzione giustificatrice della Filosofia – 2nda tesi.
Il finito è un momento necessario
dell’infinito. In questa filosofia si giustifica tutto. Se la realtà è una
manifestazione di questa idea, che è in sé razionale e logica significa che
tutto ciò che esiste è come deve essere. Non c’è più distinzione fra come una
cosa dovrebbe essere e come invece è. Quando io mi specchio, tutto quello che
vedo in quell’immagine sono io. L’immagine che vedo è la perfetta estraneazione
da me che è identica a come io sono. La realtà non è altro che come Dio è (Dio
di Hegel, non quello cristiano).
Nulla di ciò che esiste è senza senso.
Tutto quello che esiste è una manifestazione di Dio. Nell’immagine quindi tutto
si tiene e io così posso riconoscermi. Si tiene tutto, anche il male. Una
ferita o un occhio pesto, se ce l’ho, l’immagine lo riporta tale e quale,
l’immagine comprende anche il male. Ne consegue che se tutta la realtà è Dio,
esso è sia il bene che il male. Tutta la realtà è Dio. Siamo di fatto in un
vero e proprio panteismo.
A questo punto tutto si giustifica: una
guerra, un olocausto, una tratta di schiavi, un gulag, un atto terroristico,
ecc. non sono un male, ma servono all’auto riconoscimento dell’assoluto. Se
tutto è una manifestazione di questa unica realtà, tutto è giustificato, tutto
è perché deve essere o doveva essere.
Perfetta identità tra Ragione e Realtà – 3za tesi.
C’è
una perfetta identità fra ragione (idea, spirito, unica realtà che esiste) e la
realtà. La stessa perfetta identità fra me e la mia immagine allo specchio. Ciò
che sono io è nell’immagine e tutto ciò che è nell’immagine sono io.
Abbiamo
così una perfetta corrispondenza fra l’essere e il dover essere. Tutto ciò che
esiste è come è, perché è l’unica rappresentazione di questa realtà. “nulla è estraneo o esterno al processo di
autoriconoscimento”, tanto meno il male.
Idea, Natura e Spirito
L’uomo allo specchio, prima di
specchiarsi è un’idea e non sa quindi chi è, poi si estranea nell’immagine
dello specchio che è la natura, e quando poi prende consapevolezza che tutto
ciò che è allo specchio in realtà è lui, diventa spirito. Ha preso finalmente
consapevolezza di sé stesso.
La dialettica hegeliana (la
nuova logica)
Hegel inventa una nuova
Logica. Questa unica realtà esistente che è soggetto e non sostanza, e solo
alla fine è ciò che è verità: l’assoluto.
L’assoluto è essenzialmente “risultato”. Anche noi quando ci conosciamo
siamo il risultato del nostro specchiarci.
Ma cosa fa muovere questa
idea, qual è il motore di questo soggetto? È la dialettica, cioè una nuova logica, che soppianta quella classica.
La famosa logica
aristotelica basata sul principio di non contraddizione, sul principio di
identità, sulla certezza che una cosa è ciò che è, è il momento più basso del
ragionamento, è quello dell’intelletto, più che della ragione. La Ragione
funziona in un altro modo dice Hegel.
La tesi
Noi concepiamo le cose
isolatamente, astrattamente, cioè astraendole dal rapporto con il resto delle
cose. La tesi è il momento astratto o intellettuale. Anche Hegel distingue come
Kant l’intelletto dalla ragione.
Per esempio il Bene penso
di poterlo concepire da solo e astrattamente come una tesi. Questo però è un
ragionamento basso. Hegel ci dice che invece bisogna che questo unico concetto,
preso a se stante e per possederlo davvero, dobbiamo rovesciarlo nel suo
contrario. Un po’ come l’assoluto che quando è in sé stesso astrattamente non
si conosce e deve fuoriuscire da sé, deve diventare altro da sé, deve diventare
il suo opposto.
L’antìtesi
Il secondo
momento della dialettica è l’Anti-tèsi, l’antìtesi. Questo è il momento
dialettico, cioè che mette in moto i nostri concetti che altrimenti sarebbero
statici, ma che sono la vita stessa dell’assoluto, oppure il negativo
razionale, cioè il momento essenziale.
Hegel è
riuscito a soppiantare la logica antica con una nuova logica. Io posso sapere
in verità una cosa solo se la metto in dialettica e la rapporto al suo opposto.
Il bene non è bene se non passa per il male. Io non sono me stesso se prima non
mi perdo in qualcos’altro diverso da me. Io non posso sapere chi sono se non perdendomi, se non
diventando altro da me. “Non lo puoi dire se non ci sei passato”. Questa frase
ci spiega questo passaggio, cioè non puoi dire nulla su qualcosa che non ti ha
toccato, che non ti appartiene. Solo chi ha fatto l’esperienza della perdizione
può parlarne e conoscerla. La vita non è vita se non in rapporto con la morte
(Eraclito – l’armonia dei contrari).
È la riunione della Tesi e dell’Antìtesi
che mi permette di riaffermare la tesi ma in una maniera molto più ricca perché
sono passato dall’antitesi. È come dire quanto meglio conosco il bene se prima
l’ho rovesciato nel male.
La parola tedesca AUFHEBUNG (aufìban) usata da Hegel vuol dire sia
”togliere” che “conservare”, cioè
togliere per conservare. Il che vuol dire che l’antitesi viene tolta sì, ma
anche conservata. Per cui io per esempio ho rafforzato il bene, conoscendo il
male che però conservo in me. Ogni determinazione dell’intelletto, cioè
statica, che afferma la tesi, si sopprime e diventa il proprio opposto.
“Ad
esempio, la vita isolata dalla morte, considerata cioè a prescindere dalla
morte, non può nemmeno presentarsi come negazione della morte: appunto perché
per essere negazione della morte, la vita dovrebbe essere in relazione alla
morte. Isolata dalla morte, la vita diventa quindi essa stessa morte”.
(Emanuele Severino)
“Fenomenologia dello spirito”
Hegel, nella sua opera “Fenomenologia dello spirito” chiama
questo il “momento negativo razionale”. In fondo abbiamo visto che nel sistema
hegeliano la vita stessa dell’assoluto è una grande triade dialettica: 1) la
tesi, l’idea in sé, 2) l’idea che esce da sé e diventa natura (oggetto), cioè
si è negata, ed infine 3) l’idea che capisce che questo passaggio era
necessario ma che andava superato, afferma se stessa e prende consapevolezza di
sé e diventa spirito.
La Fenomenologia dello spirito, che avrebbe dovuto essere solo una
prefazione al sistema hegeliano è diventato un vero e proprio trattato nel quale
si vuol descrivere come lo spirito si riconosce, come da una coscienza
soggettiva umana, piano piano lo spirito riesce ad autoconoscersi. Quest’opera
è anche stata chiamata una “storia romanzata della coscienza”, cioè come la
coscienza progressivamente riesce ad elevarsi a spirito, cioè a capire che
esiste una unica realtà.
La Fenomenologia
dello spirito si articola in sezioni: Coscienza,
Autocoscienza, Ragione, Spirito. Queste sezioni o tappe o figure come le
chiama Hegel, sono una specie di stazioni o momenti necessari, nei quali il
treno della conoscenza deve passare per poter giungere a destinazione. Questo
perché l’assoluto è “risultato”. Risultato di una sorta di “calvario” o “via
crucis”, come lo stesso Hegel le chiama. Prendiamo visione solo delle prime
due, le più significative nel sistema hegeliano.
La Coscienza
Prima di queste stazioni o figure è la Coscienza.
Cioè Hegel parte dall’inizio quando la coscienza afferma solo ciò che vede e si
tocca, Certezza sensibile; poi noi con
la nostra percezione lo catturiamo
nell’intelletto fino ad arrivare a
capire che l’oggetto è posto in noi dalla coscienza stessa.
È il gioco della triade
hegeliana che parte dalla tesi, poi
passa all’antitesi o negazione della
tesi ed infine rafforzamento della tesi
dopo questo confronto (dialettica).
L’Autocoscienza
Altra stazione è l’Autocoscienza. La coscienza che ha
capito. Ossia la coscienza di sé propria dell’uomo. Essa si presenta come
identità di opposti: l’Io-soggetto e l’Io-oggetto che sono il medesimo Io che
da sé stesso si duplica; si ha quindi una differenza che insieme è identità. Si
apre qui una lotta fra due diverse autocoscienze, entrambe tese a non
riconoscere all’altra la qualità di uomo.
Dialettica Servo e Padrone.
Hegel introduce qui la
relazione di signoria e servitù,
ovvero la dialettica Servo e Padrone.
Una delle due autocoscienze si sottomette all’altra e alla quale obbedisce pur
di sopravvivere.
In questa dialettica ci si
spinge ad osservare che il padrone gode dei servigi del servo, ma in realtà
dipende da lui e quindi non è libero, mentre il servo nel lavoro dà forma alle
cose, sottraendole allo stato in cui si trovano per natura; e, tenendo a freno
l’appetito, viene educandosi a liberarsi dall’immediatezza degli impulsi e si
emancipa.
Stoicismo
e Scetticismo.
lo Stoicismo è presente in
Hegel. Esso sostiene le virtù dell'autocontrollo e del distacco dalle cose terrene, come mezzi
per raggiungere l'integrità morale e intellettuale. Nell'ideale stoico è il
dominio sulle passioni o apatìa che permette allo spirito il raggiungimento della saggezza.
Lo scetticismo è pure
presente anche perché di fatto caratterizza tutta la storia della filosofia
occidentale. Esso, infatti, esprime un'istanza tipica dell'essere umano: la sua
perenne insoddisfazione di fronte al proprio conoscere. La storia del pensiero
occidentale è continuamente segnata da questa oscillazione tra affermazione
dogmatica e reazione scettica.
La "coscienza infelice"
Con il cristianesimo, dice Hegel, era nato un
senso di frustrazione e di pena, di infelicità concettuale nella
"scissione" fra Dio e l’uomo, fra Dio e il mondo, cosa che il
panteismo aveva invece conciliato: Dio e il mondo erano la stessa cosa. Hegel
definisce tale stato di scissione o alienazione "Coscienza infelice", che
serve all'uomo per ricercare quel senso dell'armonia perduta che si risolve
nell'aspirare alla riconciliazione finale con Dio.
È un sentimento vivo ancora oggi quando
facciamo fatica a sentirci una cosa sola con Dio, specie se lo sentiamo come un
giudice inflessibile e lontano. (Quando cioè dimentichiamo che è un Dio
misericordioso la cui principale preoccupazione è quella di raccogliere le
“pecorelle sperdute” del suo gregge, cioè del suo Regno).
La Ragione.
Ragione osservativa
Nel Rinascimento
nasce la pretesa di impadronirsi dell’Assoluto tramite l'osservazione
scientifica della realtà. Ma ancora una
volta la totalità sfugge al potere dell'uomo.
Ragione attiva
Si passa allora
all'azione sul mondo, per
usarlo e goderne: «esaltazione
del piacere e del sentimento».
Ma ogni piacere, pur soddisfatto, continua a lasciare un amaro in bocca.
L'individuo tenta allora di migliorare il mondo attraverso la volontà
generale (espressa da un’ideologia e da un partito).
Individualità in sé e per sé.
Il contrasto tra il
bene concepito astrattamente, e la realtà del mondo, si concluderà con un’altra
sconfitta e l’emergere di una individualità fine a sé stessa.
Lo Spirito.
Nel sistema hegeliano, è lo
spirito a produrre le più alte realizzazioni umane,
dalle istituzioni alla filosofia. La
Filosofia dello Spirito è
divisa: in spirito soggettivo, in spirito oggettivo e in spirito assoluto
Lo spirito soggettivo, cioè l’idea che si riconosce in un elemento
soggettivo, la coscienza.
Lo spirito oggettivo. Se lo spirito soggettivo è lo spirito
libero e individuale, la sua antitesi non può essere che lo spirito oggettivo (collettivo),
vale a dire quello spirito che si manifesta in istituzioni sociali concrete,
ovvero quell’insieme di determinazioni sovra-individuali.
Qui non si può non
accennare all’idea di Stato e di Stato
etico che per Hegel è lo spirito oggettivo, lo stato è Dio. Lo Stato non è una creazione arbitraria di uomini
con un contratto. Lo Stato è la manifestazione dell’assoluto, è la
manifestazione di Dio. Si ha una divinizzazione dello Stato che verrà poi
utilizzata indistintamente dalle dittature di destra come da quelle di sinistra.
Gott mit uns (Dio è con noi) sarà il
loro grido di battaglia.
Lo spirito
assoluto, che
non si riconosce più né nel soggetto che nell’oggetto, prende consapevolezza di
sé. Lo spirito assoluto, il sapere
assoluto, lo spirito che finalmente sa chi è, che si auto riconosce, è la
massima sapienza. Non più filosofia, amore per il sapere, ma la sapienza
stessa. Sapienza che si ha in tre momenti: l’arte,
la religione e la filosofia i cui contenuti sono identici e cambia solo il
modo in cui vengono detti.
1. Nell'Arte questo sapere assoluto
avviene come intuizione sensibile (come
quando contempliamo un’opera d’arte).
2. Nella Religione questo sapere
assoluto avviene sotto forma di rappresentazione (di storie e racconti).
3.
Nella
Filosofia attraverso il concetto, rappresentazione astratta
degli oggetti percepiti.
Ricordiamo che Hegel studiò
nel seminario luterano di Dubinga ed era un appassionato del cristianesimo che definì
come la più grande religione perché dice la verità vera ma sotto forma di
rappresentazione. La verità ci viene rappresentata attraverso delle storie e
delle rappresentazioni artistiche. Per esempio nella Santissima Trinità, Dio
padre fuoriesce da sé e si fa creatura, Dio figlio, cioè natura. Gesù Cristo, vero Dio e
vero Uomo che si è fatto carne, e quindi natura, torna poi al Padre a
confermare la dialettica hegeliana, cioè tutta la vita dell’assoluto.
Ora mentre il semplice
credente raggiunge questo sapere assoluto attraverso una rappresentazione e mentre l’artista
raggiunge questo sapere assoluto attraverso una intuizione sensibile di
un’opera d’arte, solo il filosofo lo raggiunge a livello concettuale (il
concetto filosofico, la razionalità filosofica).
“Con me finisce la storia
della filosofia” dice
Hegel, “perché sono stato colui che ha
permesso definitivamente e concettualmente e filosoficamente a Dio di potersi
riconoscere e sapere chi è”.
Questa filosofia, così astratta e
veramente difficile da capire e che ci porterebbe a pensarla adagiata sul fondo
di un oceano sepolta dalla sabbia del tempo e dell’incomprensione generale avrà
invece delle conseguenze terribili.
Questa filosofia hegeliana la capiremo
meglio nei prossimi capitoli quando altri filosofi la riprenderanno per
formulare le loro tesi, le loro teorie e produrre nuove rivoluzioni non solo
culturali, ma aimè anche violente e portatrici di grandi sconvolgimenti e
sofferenze all’umanità.
Sintesi di don Claudio Crescimanno
Con Hegel, dopo tanto
tempo, finisce l’epoca in cui la filosofia si era trasformata di fatto in una
gnoseologia, cioè in un interesse puntato sul metodo della conoscenza, su come
insomma noi uomini conosciamo. La filosofia torna ad essere una metafisica,
cioè uno studio complessivo della realtà e propriamente una teologia. Hegel è
un teologo, teologo di un Dio tutto suo, solo suo, ma comunque la filosofia di
Hegel è una teologia.
Primo punto: ciò che esiste è soltanto l’assoluto
Nella teoria di Hegel ciò che esiste è
soltanto l’assoluto e questo assoluto è Dio. Dio è sé stesso, poi si pone fuori
da sé e siamo noi e le cose (il mondo) ed infine si recupera tornando in sé e
diventando spirito. Spirito che non poteva essere all’inizio, se non dopo
essere passato da una alienazione di sé. La tesi di Hegel è che esiste solo Dio.
Secondo punto: il
primato del divenire sull’essere
Hegel poi afferma il primato del divenire sull’essere e questo è il Dio di Hegel.
Cioè il Dio di Hegel non è l’essere dei filosofi greci, non è il Dio essere
dell’Antico testamento, non è il Dio essere e creatore di esseri della
filosofia medioevale (e della rivelazione divina), il Dio di Hegel è il
divenire. Un Dio sempre in movimento che si pone, che si aliena e che si
ritrova continuamente. Il Dio divenire e
non più il Dio essere, il primato del divenire sull’essere, è la grande e
fondamentale svolta della modernità e la più gravida di conseguenze del nostro
oggi.
L’eterogenesi dei
fini
L'espressione eterogenesi dei fini, in tedesco Heterogonie der Zwecke, con essa si fa riferimento alle «conseguenze non
intenzionali di azioni intenzionali» e si addice alle teorie di Hegel per
il quale le cose non esistono,
l’unica cosa che c’è è Dio, solo Dio esiste e le cose no. Mentre per i suoi
studiosi ed eredi più rappresentativi e influenti sulla vita e sulla realtà
sociale e del pensiero occidentale come Nietzsche e Marx
sarà vero esattamente il contrario, Dio
non c’é. Esiste solo la realtà materiale, proprio quella negata dal loro
ammirato maestro. Capovolgimento totale del pensiero hegeliano.
Hegel - Stefano
De Luca - Enciclopedia dei ragazzi (2005)
Il più grande esponente dell'idealismo Georg Wilhelm Friedrich
Hegel ebbe un'acuta e drammatica coscienza degli straordinari mutamenti che si
realizzarono negli anni della sua maturità, dalla Rivoluzione francese del 1789
alla Rivoluzione di luglio del 1830. In alcune delle principali 'conquiste'
della modernità ‒ la limitazione del sapere umano all'ambito del finito e la
distinzione tra società e Stato, tra individuo e cittadino ‒ egli vide dolorose
e laceranti scissioni, che la filosofia aveva il compito di superare e
ricomporre in un quadro unitario. La sua filosofia, dominata dalla profonda
fede nella razionalità del reale, rappresenta l'ultimo grandioso tentativo di
realizzare un sistema filosofico onnicomprensivo, nel quale ogni aspetto della
realtà e del pensiero trova il suo posto e il suo significato.
Il giudizio sulla Rivoluzione
francese
Nato a Stoccarda nel 1770 e morto a Berlino nel 1831, Hegel
visse in un periodo storico segnato da
mutamenti drammatici e formidabili, ai quali partecipò con grande passione e
vivissimo interesse intellettuale. Quando esplose la Rivoluzione francese,
Hegel studiava filosofia e teologia all'università di Tubinga, dove aveva
stretto intensi rapporti di amicizia con Friedrich Hölderlin (che sarebbe
diventato uno dei più grandi poeti romantici) e Friedrich Wilhelm Joseph
Schelling (un altro dei protagonisti dell'idealismo tedesco). Con i suoi amici Hegel condivise
l'entusiasmo per la Rivoluzione: essa ‒ avrebbe scritto molti anni più tardi ‒
fu "una splendida aurora", un momento nel quale "il mondo fu
percorso e agitato da un entusiasmo dello spirito", come se "fosse
finalmente avvenuta la vera conciliazione del divino col mondo". Tale
conciliazione, però, non avvenne, perché la Rivoluzione, dopo aver distrutto il
vecchio mondo, non seppe edificarne uno nuovo e lasciò ai posteri, secondo
Hegel, un mondo pieno di lacerazioni e separazioni: tra società e Stato, tra
individuo e cittadino, tra pubblico e privato.
La critica all'Illuminismo
Tali scissioni erano 'figlie' della filosofia illuministica, che
a Hegel e ai suoi amici romantici appariva priva di contenuto e di vita,
astratta e dualistica. Servendosi dell'intelletto "chiaro e
distinto", questa filosofia aveva separato la ragione dal sentimento, la
vita pubblica da quella privata, l'individuo dallo Stato, il mondo da Dio;
quanto all'uomo, ne aveva dato una definizione astratta, in cui si era persa
tutta la sua particolarità, che deriva dall'appartenenza nazionale, dalla
cultura, in una parola dalla storia. In tal modo, separando ciò che nella
vivente totalità della realtà è unito, la filosofia illuministica ci ha
lasciato un mondo pieno di ferite e un uomo diviso al suo interno e infelice.
Emblematica di tale esito è la filosofia di Kant, nella quale l'assoluto ‒ sia sul piano della conoscenza, sia su quello dell'etica ‒ rimane un
eterno dover-essere, una sorta di 'al di là' al quale l'uomo non può fare a
meno di tendere, ma che non può in alcun modo raggiungere.
La filosofia dell'Assoluto
Se la critica hegeliana alla cultura illuministica coincide con
quella romantica, la sua risposta al problema sarà ben diversa. Per recuperare
il rapporto con l'Assoluto, infatti, Hegel non si affida al sentimento,
all'intuizione o alla fede, ma alla ragione. Non si tratta, però, della ragione
illuministica (che Hegel chiama intelletto e che si basa sul metodo
matematico-geometrico), bensì di una ragione speculativa o dialettica, capace cioè di accogliere dentro di sé tutta la ricchezza e la
conflittualità della realtà, mostrando come le contraddizioni facciano parte di
un ordine razionale e necessario.
Il mondo appare a Hegel come la manifestazione di uno Spirito
infinito (detto anche Idea o Ragione), che si realizza attraverso un incessante
divenire; tale manifestazione è tuttavia oscura e spetta alla filosofia
penetrarla e chiarirla, ripercorrendo il cammino dello Spirito nelle sue varie
'figure' e cogliendo in tal modo il senso dell'intero processo.
Alla filosofia, dunque, non spetta il compito di trasformare il
mondo ‒ come avrebbe poi sostenuto Marx, anch'egli allievo di Hegel ‒ ma quello di comprenderlo: come
la civetta di Minerva (simbolo della sapienza) spicca il suo volo al tramonto,
quando la giornata è ormai finita, così la filosofia giunge 'a cose fatte',
quando la storia si è ormai svolta e il suo scopo è quello di comprenderne il
significato e riconciliarsi con essa.
La dialettica
La
dialettica gioca un ruolo cruciale nella filosofia di Hegel: essa è il ritmo
stesso della realtà e del pensiero. Realtà e ragione non costituiscono entità
immobili: esse non 'sono', ma 'divengono'. E il 'motore' di questo incessante
movimento sono le contraddizioni dialettiche. L'intelletto scorge le
opposizioni, ma ne irrigidisce gli elementi: natura e spirito, realtà e
razionalità, soggettivo e oggettivo, finito e infinito, maschile e femminile
rappresentano per esso dualismi insuperabili. La ragione, invece, coglie la
profonda unità che lega gli opposti: maschile e femminile sono l'uno il
contrario dell'altro, eppure non possiamo pensare l'uno senza pensare anche
l'altro; né l'uno può vivere senza l'altro e soltanto dalla loro unione
scaturisce la vita. La dialettica non è altro che questo movimento in virtù del
quale gli opposti si richiamano l'un l'altro e dal loro urto dinamico, dalla
loro relazione contraddittoria, scaturisce una sintesi superiore. Quando si
comprende questa profonda verità, i dualismi cessano di apparire tali e
riusciamo a pensare la totalità (o assoluto), che coincide con la verità.
Hegel e la storia
La
storia, dice Hegel, ci appare a tutta prima come un immenso mattatoio, in cui
vengono incessantemente condotti al sacrificio individui, popoli, Stati e
civiltà. Nulla sembra sottrarsi a questo destino di morte. Ma la storia appare
un processo distruttivo e privo di senso soltanto all'intelletto, che non sa
elevarsi al punto di vista dell'assoluto: in realtà, la storia è il processo,
tragico e grandioso al tempo stesso, attraverso il quale lo Spirito realizza e
conosce sé stesso, giungendo a un grado sempre più alto di libertà.
Lo spirito del mondo si incarna, successivamente, nello
spirito di singoli popoli, che per un certo periodo storico esprimono il
principio etico-politico più elevato. All'interno dei popoli una funzione
decisiva è riservata agli individui
cosmico-storici o eroi.
A differenza degli individui
conservatori, che si identificano con il presente e con i suoi valori, gli
eroi sentono urgere dentro di sé il futuro: seguendo le loro passioni
particolari, essi permettono il progresso della Ragione e realizzano, senza
esserne consapevoli, i suoi fini universali (in questo consiste la famosa
"astuzia della ragione"). Emblematico il caso di Napoleone: egli
perseguiva la propria gloria e la potenza della Francia, ma in realtà risvegliò
il sentimento di indipendenza nazionale dei popoli europei. Per Hegel la storia
è inevitabilmente conflittuale. Nel suo pensiero non c'è spazio per l'ipotesi
kantiana della pace perpetua. Tutti gli Stati hanno il diritto di affermare la
propria individualità e l'urto che ne scaturisce può essere giudicato soltanto
dal tribunale della storia,
perché nell'arena internazionale non c'è alcuna autorità superiore alle parti
in lotta.
La politica
La
manifestazione più alta di un popolo è la sua costituzione politica, che non è
il frutto di un'elaborazione intellettuale (come pensavano gli illuministi), ma
nasce dallo spirito del
popolo, ossia da quel "genio collettivo" da cui sgorgano la
religione, la cultura, i costumi e infine l'organizzazione politica di ogni
popolo. Non è quindi lo Stato a esistere in funzione degli individui, come
pensano i liberali, ma sono gli individui a esistere in funzione dello Stato,
che rappresenta quella totalità all'interno della quale essi trovano il loro
senso e il loro significato.
Hegel
è critico anche verso l'individualismo economico tipico della società borghese,
per rimediare al quale teorizza la rinascita delle corporazioni (associazioni
di mestiere che sostengono i propri aderenti nei momenti di difficoltà) e
l'intervento dello Stato nell'economia. Egli ritiene inoltre che la concezione
democratica secondo cui il popolo è il miglior giudice dei propri interessi sia
del tutto falsa: il popolo è infatti quella parte dello Stato che non sa quel
che vuole. Molto meglio affidarsi ai funzionari dello Stato.
Lo
Stato delineato da Hegel è una monarchia, con una camera alta ereditaria e una
camera bassa che accoglie i rappresentanti delle corporazioni, una ramificata
burocrazia e un monarca dotato di grandi poteri. Le camere, infatti, possono
solo proporre le leggi. Sebbene non si tratti di uno Stato dispotico,
certamente non si tratta di uno Stato liberale.
“Bisogna ragionare, ma non
pretendere di risolvere illuministicamente ogni cosa con la sola ragione. La
Ragione va usata ma non adorata, come invece pretesero di fare i rivoluzionari
di Parigi dopo il 1789 (e i pensatori che seguirono). E, d’altra parte, la
stessa ragione va sottomessa a Dio, suo Signore”.(corsivo
tratto da “il Timone” n. 139 di gennaio 2015)
Appendice
Karl Rahner (1904 - 1984)
Interessante è anche un altro studioso di
Hegel e in qualche modo vero suo erede teologico (non materialista), il gesuita
e teologo Karl Rahner, perito
del Concilio Ecumenico Vaticano II, nell'immediato postconcilio si procurò la
fama di uno dei più grandi teologi cattolici ed interpreti del Concilio.
Sennonché però, altri teologi eminenti, fra cui Fabro, Von Balthasar e il Card.
Ratzinger segnalarono le gravi insidie contenute nel sistema rahneriano e la
falsità della sua interpretazione modernistica del Concilio, non conforme a
quella della Chiesa postconciliare. Un'interpretazione non di continuità ma di
rottura, che forniva pretesti a reazioni ultratradizionaliste. Dalle
segnalazioni di questi teologi, in un primo tempo inascoltate, è sorto un
movimento teologico internazionale, fedele alla Chiesa e al Papa, il quale si è
impegnato a correggere le vedute rahneriane, le cui conseguenze si sono
rivelate dannose in campo morale senza per questo misconoscere i meriti del
teologo tedesco cattolico, promotore del rinnovamento della Chiesa al Concilio Vaticano II e
noto per la sua felice intuizione di ribaltare il “cogito ergo sum” cartesiano
in “cogitor ergo sum” (sono pensato [da Dio] e dunque sono). Le voluminose opere di Rahner sono state poi raccolte dal fratello Hugo Rahner, pure lui gesuita. Come le
opere di Hegel anche queste sono di difficile comprensione e digestione.
“L’uomo è un essere singolare. Per poter sussistere, egli non solo ha
bisogno di nascere fisicamente, ma anche di essere accolto, [di essere pensato,
di essere nel cuore di qualcuno]. Se il primo accordo con l’esistenza è “sì, è
bene che tu viva” l’esistenza si costituisce pienamente. Se questo non avviene
l’esistenza ne rimane sconvolta e da questo dipende lo sconvolgimento generale
della nostra epoca. Se non ci si sente accettati, non accettiamo noi stessi e
di conseguenza non accettiamo gli altri. Gli altri diventano nemici dai quali
difendersi o contrattaccare (mors tua vita mea). Perché l’uomo possa accettare
se stesso, gli si deve dire: “sì è bene che tu esista”, non a parole, ma con
quell’atto esistenziale totale che chiamiamo “amore”. La sua essenza è proprio
quella di “volere” l’esistenza di sé e conseguentemente dell’altro, di
“confermarla” definitivamente. La chiave che apre l’”io” è nel “tu” : la via al
“tu” passa per l’”io”. Soltanto a questo punto si pone l’interrogativo
definitivo, ma sarà poi vero quello che mi viene detto “sì è bene che tu
esista”? È un vero atto d’amore o è una convenienza”.
In altre parole io
davvero sono convinto che è un bene che io stesso esista e quindi veda
nell’altro un bene che è degno di esistere anche se sbaglia, se non mi ama, se
non ha le mie idee, se mi è antipatico, se è un rifiuto della società, uno
scarto, un ammalato, ecc.? Sono davvero libero dal mio orgoglio e dal mio
egoismo? “Cogitor ergo sum” (sono pensato
[da Dio] e dunque sono amato) mi aiuta a vedere al mia vita comunque come
un dono (un dono che sono libero di accettare o no) e altrettanto quella degli
altri che mi stanno intorno e che Dio mi ha comandato di amare? (Sintesi
liberamente estratta da J. Ratzinger “Elementi
di teologia fondamentale” ed. Morcelliana, 1986)
Massimo Cacciari,
l'Anticristo, la dialettica di Hegel e il cardinale Ratzinger
da un articolo di ANTONIO SOCCI (9 aprile 2007)
La rivista
dei gesuiti, Civiltà Cattolica, ha ironicamente definito Massimo Cacciari «filosofo ombrosamente pensoso» e in
ambiente cattolico sono cominciate a circolare addirittura
"demonizzazioni" di Cacciari. Maurizio Blondet, all'epoca giornalista
di Avvenire, iniziava un suo libro sul "potere iniziatico" (titolo:
"Gli 'Adelphi' della dissoluzione") proprio riportando un'inquietante
frase che Cacciari gli rivolse durante un'intervista: «Il Papa deve smettere di
fare il katéchon!». E poi spiegò la "parolaccia", si tratta di «ciò
che trattiene l'Anticristo dal manifestarsi pienamente». Ne parla San Paolo
nell'inquietante sua profezia sull'Anticristo che qui riportiamo a beneficio
del lettore (L'Anticristo ha un suo precursore, il
potente funzionario e abile propagandista del drago, che appare in veste di
pecora ed è convincente con la parola. La prima bestia è
una potenza secolare, politica; la seconda è, invece, una potenza religiosa, è
il falso Cristo. Di lui l'apostolo Giovanni dice: <<Poi vidi un'altra
bestia, che saliva dalla terra, ed aveva due corna come quelle di un Agnello,
ma parlava come un dragone. Ed esercitava tutta la potestà della prima bestia,
alla sua presenza; e faceva sì che la terra e tutti quelli che in essa abitano
adorassero la prima bestia... e inoltre fece sì che a tutti, piccoli e grandi,
ricchi e poveri, liberi e servi, fosse impresso il suo marchio sulla mano
destra o sulla fronte, e che nessuno potesse comperare o vendere se non avesse
il marchio, cioè il nome della bestia o il numero (è il simbolico 666) del suo
nome>> - Ap XIII, 11-12, 16-17).
Maurizio Blondet l’ha prese
male: «Come si può chiedere al Papa di non opporsi al Male? Mi domandai anche:
perché Cacciari desidera accelerare l'avvento dell'Anticristo?». Chissà, forse
non si capirono. Fatto sta che Cacciari ammalia alcuni cattolici e ne fa
inorridire altri. Nel sito dell'Azione cattolica un lungo argomentato articolo
del 2004 illustra i contenuti pericolosi del pensiero di Cacciari che circolano
acriticamente nelle sacrestie.
Torna
l'accento sullo "gnosticismo" ("dottrina della salvezza tramite la sola conoscenza"), l'antico
nemico della Chiesa, l'origine di tutte le eresie anticristiane, soprattutto
per il suo dualismo che finisce per identificare il Bene e il Male, Dio e
Satana, in un inaccettabile Uno. L'antropologa Cecilia Gatto Trocchi - studiosa
del mondo occulto e magico - nel 1996 dedica "a Massimo Cacciari" il
suo libro "Il risorgimento esoterico", scritto in risposta al volume
di Cacciari "Dell'Inizio". La Gatto Trocchi confronta "L'Angelo
necessario" di Cacciari con un libro di Giovanni Papini che contiene
questo capitolo: "Il Diavolo è necessario?". Papini riprendeva
antiche teorie gnostiche, condannate dalla Chiesa, secondo cui Satana
svolgerebbe un ruolo affidatogli da Dio e alla fine anche lui sarebbe stato
salvato. Passione per la gnosi
«Massimo Cacciari aderisce appassionatamente alla
tesi fondamentale del pensiero gnostico», afferma la studiosa. Secondo la quale
infine il filosofo veneziano sarebbe molto vicino ai temi della New Age.
Formulati però in modo colto. Egli arriverebbe a identificare «il nuovo Messia
con il Filius perditionis...». Letture allarmati che si trovano riprese da un
recente volume sui movimenti esoterici di Roberta Grillo, presidente del Gris
della diocesi di Milano. Probabilmente è un eccesso di allarmismo e di complottismo.
Bisogna capire che Cacciari usa le categorie teologiche e le dottrine antiche,
ma se ne infischia dello "spirito", è sempre di storia e di politica
che parla: deve spiegare a se stesso com'è possibile che una persona
intelligente come lui sia stata comunista e come si "giustifica"
l'orrore che è stato il comunismo. Affronta dunque da filosofo il problema del
male e lo risolve all'opposto di Ratzinger che in "Fede, verità,
tolleranza" demoliva proprio la tesi della "necessità" del Male.
Ecco cosa scriveva
il cardinale: «Il male non è affatto - come
reputava Hegel, e Goethe vuole mostrarci nel Faust - una parte
del tutto di cui abbiamo bisogno, bensì la distruzione dell'Essere. Non lo si
può rappresentare, come fa il Mefistofele del Faust, con le parole: "io
sono una parte di quella forza che perennemente vuole il male e perennemente
crea il bene". Il bene avrebbe bisogno del male e
il male non sarebbe affatto realmente male, bensì proprio una parte necessaria
della dialettica del mondo. Con questa filosofia sono state giustificate le
stragi del comunismo, che era edificato sulla dialettica di Hegel, vòlta in
prassi politica da Marx. No, il male non appartiene alla "dialettica"
dell'Essere, ma lo attacca alla radice». In pratica: il comunismo non è stato
un «male necessario», ma solo un Male devastante. (titolo
originale dell’articolo completo di Antonio Socci: Basta prediche da Cacciari
l'Anticristo)
La Rivoluzione moderna
«Massimo Cacciari aderisce appassionatamente alla tesi fondamentale del pensiero gnostico», afferma la studiosa. Secondo la quale infine il filosofo veneziano sarebbe molto vicino ai temi della New Age. Formulati però in modo colto. Egli arriverebbe a identificare «il nuovo Messia con il Filius perditionis...». Letture allarmati che si trovano riprese da un recente volume sui movimenti esoterici di Roberta Grillo, presidente del Gris della diocesi di Milano. Probabilmente è un eccesso di allarmismo e di complottismo. Bisogna capire che Cacciari usa le categorie teologiche e le dottrine antiche, ma se ne infischia dello "spirito", è sempre di storia e di politica che parla: deve spiegare a se stesso com'è possibile che una persona intelligente come lui sia stata comunista e come si "giustifica" l'orrore che è stato il comunismo. Affronta dunque da filosofo il problema del male e lo risolve all'opposto di Ratzinger che in "Fede, verità, tolleranza" demoliva proprio la tesi della "necessità" del Male.
La Rivoluzione moderna
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