Introduzione
La modernità abbiamo già detto è un’epoca di rivoluzioni. Ora
quindi esaminiamo la rivoluzione del pensiero politico, quella che sfocerà
nella rivoluzione francese tanto che essa sarà poi considerata sinonimo del
modernismo. Con la rivoluzione francese abbiamo un vero e proprio sovvertimento
della visione politica. Quella visione politica di Aristotele che definiva l’uomo come un “animale politico” che
naturalmente è portato ad associarsi, che
l’uomo è un animale socievole, che la
società non va giustificata perché è una cosa naturale, cioè fa parte della
natura dell’uomo.
Il nuovo pensiero politico invece butta via questa visione e ne introduce un’altra: l’uomo non è socievole per natura, la società e lo stato nascono a seguito di un processo che i vari pensatori modernisti metteranno a fuoco ciascuno a modo loro. L’idea è che la politica è un problema da risolvere e che è completamente affidato all’uomo. La nascita dello stato e l’organizzazione della società è un problema che l’uomo risolve con la sua ragione. Siamo anche qui d’innanzi alla svolta antropocentrica che ha condizionato già la filosofia, la religione e la scienza. Non c’è più, o meglio non è più accettato, un potere che venga dall’alto. L’autorità non è più un potere che discende dall’alto. Abbiamo già visto come per esempio non è più accettato che l’investitura di un re o di un imperatore avvenga da un vescovo o dal Papa che rappresenta un’autorità superiore. Non esistono più autorità superiori, ma solo la capacità dell’uomo di organizzare uno stato e una società con l’uso della sua sola ragione. Era la Chiesa a garantire che il sovrano rispettasse le regole del buon governo per il bene dei sudditi, ora è la ragione dell’uomo che diventa autorità e garanzia del bene dei cittadini.
Thomas Hobbes (1588 – 1679)
filosofo britannico, autore nel 1651 dell'opera di filosofia
politica “il Leviatano”.
L’uomo è un animale. “homo homini lupus” (letteralmente "l'uomo è un
lupo per l'uomo"). Cioè nello stato di natura Hobbes dipinge una
condizione di guerra di tutti contro tutti. L’uomo di Hobbes è un animale
feroce che vive la sua animalità in una continua feroce guerra con i suoi
simili.
L’epoca
in cui è vissuto Hobbes ci induce a pensare che questa sua visione pessimistica
sia dovuta anche alle atrocità a cui ha assistito in una Europa dilaniata da
guerre di religione e di potere a seguito della spaccatura originata da Lutero
nel mondo cristiano, dalla rivoluzione inglese (1642 - 1651) e la sua spaccatura fra la
Corona e il Parlamento che sfocerà nel primo Re che perde la testa.
Come si
esce da questa condizione di stato di natura dove l’uomo mangia l’uomo? Nella
sua famosissima opera “Il Leviatano”
Hobbes cerca di dare una risposta osservando innanzi tutto che l’uomo non può
elaborare il concetto universale di pace, e nemmeno di amare la pace o di dare
un valore universale alla pace. In questa situazione l’uomo, solo corpo e
istinto, ne esce con un calcolo egoistico, cioè si rende conto che agire uomo
contro uomo rischia di continuo di perdere la sua vita. L’uomo, solo corpo, se
perde la sua vita perde proprio tutto (non ha l’anima). Decide allora di uscire
dallo stato di natura e di alienare i suoi ipotetici diritti alla vita e di
affidarli ad una entità superiore: lo stato assoluto. Gli uomini, allora, è
come se sottoscrivessero un patto in cui cedono al sovrano tutti i loro
diritti. Il sovrano diventa quindi il padrone di tutto. Egli ha un solo
vincolo: lasciare vivere i suoi sudditi.
Vita, opere e sintesi finale
Il Leviatano è un mostro biblico descritto nel libro di Giacobbe
che Hobbes usa come immagine per rappresentare il grande potere dello stato. Lo
stato è una creazione artificiale, non un prodotto naturale e seve per evitare
che gli uomini vivono in una condizione di guerra perpetua. Gli individui
accettano di sacrificare gran parte della loro libertà in cambio della
sicurezza e della pace. Per garantire l’ordine, il sovrano, non deve dividere
il potere con nessun altro, né rendere conto del suo operato ai sudditi, deve
essere cioè un monarca assoluto. Il Leviatano sarà così modello per il Re Sole
in Francia e per tutte le monarchie assolute del diciassettesimo secolo.
John Locke (1632 –1704)
Locke è infatti
considerato il padre del “Liberalismo” (dottrina politica che non va confusa
con il “Liberismo”: dottrina economica di mercato non temperata da interventi esterni dello stato). Il Liberalismo è quella visione in cui lo stato
non ha il compito di concedere dei diritti, ma soltanto di riconoscerli e di
tutelarli. L’uomo è libero non perché c’è un sovrano buono che lo lascia
libero, è libero perché è scritto nella sua natura di essere umano, cioè di
essere un “essere libero”.
Il padre del
liberalismo è in fin dei conti il filosofo della ragionevolezza perché è
convinto che la mente umana è capace di elaborare le idee, cioè di acquisire
idee semplici dai sensi, e poi di elaborale.
L’uomo di Locke non
è un animale feroce, ma che nello stato di natura vive cordialmente con gli
altri, perché con la sua ragione è capace di riconoscere i diritti fondamentali
dell’altro: il diritto alla vita, la proprietà privata, ecc.
Quando questo non
avviene è perché qualcuno non riesce ad usare bene la ragione e non riconosce
alcuni diritti dell’altro o tenti di farsi giustizia da se.
Il contratto della
società civile è quindi completamente diverso da quello di Hobbes.
Essenzialmente non è unilaterale, il suddito è legato al contratto nello stesso
modo del sovrano, che non è più assoluto e al di sopra delle parti, cioè senza
vincoli, ma “partner”, ovvero alla pari.
Il sovrano non può
prevaricare i diritti fondamentali della persona, perché è legato al contratto
dello stato civile. Ieri questa garanzia era data dalla legge divina, ora è
data dalla “ragionevolezza”. Il sovrano ha un limite nella costituzione e non
dall’alto.
Ne consegue che i
sudditi hanno la possibilità di ribellarsi al potere politico quando oltrepassa
i limiti imposti dalla ragionevolezza (dal contratto sociale). Cosa simile a
quando il sovrano veniva scomunicato perché non rispettava la legge divina e i
sudditi acquisivano così il diritto a disobbedirgli.
John Locke viene
spesso definito come il teorico della tolleranza perché ci sono diversi suoi
scritti in proposito. Ma in questi scritti si trova anche una sua affermazione perentoria
che dice che gli unici che non si devono
assolutamente tollerare sono i cattolici. Locke allora lo si può definire
tollerante?
L’anticattolicesimo
è di fatto l’unico pregiudizio accettato dalla maggioranza degli intellettuali
di questo periodo e dei successivi. L’intolleranza nei confronti dei cattolici
continuerà ad essere oggetto di approvazione e distintivo dei ben pensanti. Uno
dei maggiori rappresentanti di questa intolleranza è senza dubbio Voltaire.
Voltaire ( 1694 – 1778)
Il nome di Voltaire, pseudonimo di François-Marie
Arouet, è indissolubilmente legato al
movimento culturale dell'Illuminismo, di cui fu uno degli animatori e degli
esponenti principali nell'ambiente dell’Encyclopédie con Montesquieu, Locke, Rousseau, Diderot, ecc.
La vasta produzione letteraria di Voltaire si caratterizza
per la polemica contro l’oscurantismo cattolico, la razza ebrea, le ingiustizie e le superstizioni.
Voltaire è un deista, cioè seguace della "religione naturale" che
vede la divinità come estranea al mondo e alla storia. È uno scettico, fortemente anticlericale e laico, è considerato il principale
ispiratore del pensiero razionalista e antireligioso moderno. Giusto per fare un
esempio eclatante riportiamo alcune sue affermazioni.
“Non sono d’accordo con le tue idee, ma darò
la vita perché tu le possa esprimere” Questa
celebre frase, diventata emblema della tolleranza, è attribuita a Voltaire. In
realtà si tratta di una frase scritta da Stephen G. Tallentyre biografa del filosofo pubblicata nel 1906 e mai nemmeno
pensata da Voltaire.
Parlando degli ebrei Voltaire si esprime così: “Non troverete in loro che un popolo
ignorante e barbaro, che unisce da tempo la più sordida avarizia, alla più
detestabile superstizione, al più invincibile odio per tutti i popoli che li tollerano
e li arricchiscono”. I suoi opuscoli erano distribuiti a larghe mani nella
Germania nazista. L’antisemitismo nasce qui con Darwin e Voltaire.
Da un’altra sua opera si trova questo colloquio: “Dice Cappone:
ricordo bene che ci sono alcuni paesi fra cui quello dei giudei in cui talvolta
gli uomini vengono mangiati gli uni dagli altri. Risponde Pollastra: passi per questo. È giusto che una specie così perversa
divori se stessa e che la terra venga purificata da questa razza”.
Questo è il Voltaire paladino della
tolleranza, disposto a morire per permettere agli ebrei e ai cattolici di
esprimersi. È doveroso aggiungere che si deve a lui la più che negativa
considerazione delle “Crociate”, ancora oggi sinonimo di intolleranza, cieco
fanatismo, campagne con secondi fini, ecc.
Il liberalismo
Il liberalismo è un insieme di dottrine, definite in tempi e luoghi diversi
durante l'età moderna e contemporanea, che pongono precisi limiti al potere e all'intervento dello stato, al fine di proteggere i diritti naturali, di salvaguardare i diritti di libertà e, di promuovere l'autonomia creativa dell'individuo oltre che la sua indipendenza politica. Storicamente il liberalismo
nasce come ideale che si affianca all'azione della borghesia nel momento in cui essa combatte
contro le monarchie assolute e i privilegi dell'aristocrazia a partire dalla fine del XVIII secolo.
Il liberalismo ha contribuito a definire la concezione moderna di società, intesa come somma ed espressione delle varietà e singolarità umane,
concernenti sia l'ambito spirituale come la sfera materiale. Inoltre il
liberalismo è probabilmente la dottrina che ha più influenzato la concezione
moderna della democrazia: si parla infatti di "liberal democrazia"
in modo generico per indicare una moderna democrazia che non sia basata
esclusivamente sulla volontà della maggioranza ma - anche e soprattutto - sul
rispetto delle minoranze.
In Inghilterra l'imposizione di limiti al potere del sovrano avviene, a
differenza che negli altri paesi europei, attraverso un processo storico
graduale che viene fatto iniziare addirittura nel Medio Evo con la
concessione della Magna Charta.
La Libertà che guida il
popolo
(1830, Eugène Delacroix)
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Dopo numerosi sconvolgimenti politici a seguito della
dittatura di Cromwell, nel 1689 il Parlamento
inglese riuscì a portare
sul trono Guglielmo III
d'Orange, che si impegnava a garantire al
Parlamento stesso e ai cittadini inglesi una serie di diritti e libertà
solennemente proclamati nel Bill of Rights. L'Inghilterra fu così il primo Stato al mondo ad essere
governato da una monarchia
costituzionale, la tipica forma di governo del liberalismo classico.
Nel 1690 Locke, che
apparteneva al Partito Whig (più tardi chiamato Partito Liberale), pubblicò anonimo Due Trattati
sul Governo, che contenevano
i principi fondamentali del liberalismo classico. Il filosofo britannico
sviluppa il proprio pensiero partendo dalla teoria del contrattualismo (già avanzata da Thomas Hobbes e ripresa poi nel celebre Contratto
sociale di Jean-Jacques
Rousseau).
Secondo Locke, nello stato di natura tutti gli uomini sono uguali ed esercitano i propri diritti di natura (libertà,
uguaglianza, proprietà e vita); diversamente da Hobbes però, egli ritiene che
lo Stato di natura non sia una condizione di continua belligeranza ma di
convivenza pacifica, in cui tuttavia l'esercizio dei diritti naturali è solo
parziale poiché è limitato dal diritto punitivo esercitato discrezionalmente da
ogni individuo.
Perciò, nell'atto dell'istituire lo Stato civile, gli uomini non cedono al corpo politico alcun diritto, ma
lo rendono tutore dei diritti di natura, delegando al Parlamento il potere di
emanare leggi positive che regolino l'esercizio della forza a difesa d'ognuno.
Le funzioni fondamentali dello Stato liberale divengono quindi quelle di
tutelare la libertà, l'uguaglianza, la vita e la proprietà dell'individuo. Inoltre, il pensiero liberale di Locke
definisce una giustificazione etica della rivoluzione, il diritto di
resistenza che ciascun
individuo può e deve esercitare quando lo Stato agisce in contrasto con la
volontà popolare od in contraddizione con i principi costituzionali.
Jean-Jacques
Rousseau (1712 – 1778)
filosofo, scrittore e musicista svizzero di lingua francese.
L’illuminismo infatti vede la storia dell’uomo come un
itinerario lineare e continuo verso qualcosa di sempre migliore grazie alla
ragione che con la sua luce illuminerà tutto il reale, idea che proviene dal
cattolicesimo che aveva spezzato il circolo metafisico. Ieri c’era meno luce di
oggi, domani ci sarà più luce di oggi. Si va sempre verso il meglio, il nuovo è
sempre migliore del vecchio. Rousseau non condivide questo concetto di
progresso e scrive un’opera nella quale dimostra che ciò che corrompe l’uomo è
proprio il progresso. L’uomo in natura sarebbe buono e innocente, la società
purtroppo invece lo corrompe.
Nel 1754 scrive un’opera “Il
discorso sulle origini e i fondamenti della ineguaglianza fra gli uomini”
nella quale nega la dottrina del peccato originale e afferma che l’uomo è buono
per natura.
Prendiamo per esempio la sua opera “Emilio o dell’educazione” nella quale considera le cinque fasi fondamentali dello sviluppo del giovane Emilio dimostrando che l'uomo nasce
buono e che il male scaturisce dalla corruzione della società e da
un'educazione non corretta, che non asseconda lo sviluppo armonioso delle
potenzialità naturali. Emilio deve essere lasciato libero di sviluppare le
proprie facoltà nella natura, con stimoli ridotti da parte del maestro, in modo
da non essere influenzato in maniera eccessiva e artificiale dalle conoscenze
altrui.
La teoria di Rousseau è quindi quella che l’uomo è buono e
innocente per natura, perché in natura ha tutto ciò che gli serve: cibo,
riposo, una compagna, ecc. senza grandi sforzi. Una sorta di paradiso terrestre
diremmo noi. Ma allora cos’è che invece corrompe questa situazione paradisiaca?
È l’invenzione della proprietà privata,
tutti i mali dell’uomo derivano da questo.
Il giorno, dice Rousseau, che qualcuno decise di recintare un
pezzo di terra e dichiarare che questa à di sua proprietà e trovò altri tanto
ingenui da credergli, li cominciarono tutte le ingiustizie. La radice del male
non è il peccato originale, ma la proprietà privata. Morale, dobbiamo quindi
costituire una società che imiti lo stato di natura.
Come si può arrivare a questo tipo di società? Anche Rousseau
fa riferimento ad un Contratto Sociale nel quale gli uomini liberamente
alienano la loro vita e diventano qualcos’altro, lasciano la loro individualità
per entrare nel corpo sociale. Un corpo che ha una volontà generale.
Una volontà generale, dice Rousseau, non è la somma di
volontà particolari, ma è il bene della
comunità, anche se è visto e capito da poche persone. Il singolo individuo,
anche se non è d’accordo sulle scelte della volontà generale, sa che obbedendo
a questa volontà non fa altro che obbedire a quello che è il vero bene della
comunità e quindi anche suo. Il concetto di fatto è che ci sono alcuni,
illuminati, che vedono il vero bene della società. Cioè che ci sono degli
illuminati che vedono il vero bene anche per chi non è in grado di vederlo.
Chiediamoci a questo punto se Rousseau è davvero il grande teorico della
democrazia come ci è stato sempre detto? Napoleone, Hitler, Mussolini, Stalin,
Mao, ecc. non sono stati degli illuminati che hanno visto quale era il vero
bene della società a dispetto di quegli ingenui o ignoranti che non erano in
grado di vederlo?
Sembra che, non lasciando da parte i fatti, sia il
totalitarismo la vera risposta di Rousseau al bene comune. Risposta totalitaria
che è passata per democratica, e che è stata di fatto un’esca per i
totalitarismi rinati al seguito dalla rivoluzione francese. Già nella
rivoluzione francese si è passati dalla
volontà generale al regime del terrore e poi a Napoleone Imperatore assoluto e
ancor oggi simbolo della “grandeur francese”.
Vita di Rousseau
Nato da un'umile famiglia calvinista ginevrina di origine francese, ebbe una gioventù difficile
ed errabonda durante la quale si convertì al Cattolicesimo.
Visse e studiò a Torino e svolse diverse professioni, tra cui
quella della copia di testi musicali e quella di istitutore. Trascorse alcuni anni di tranquillità
presso la nobildonna Françoise-Louise de Warens una protestante convertita al Cattolicesimo che mandò Rousseau nella capitale del Ducato, Torino, presso il collegio cattolico dell'Ospizio dello Spirito
Santo. Qui, egli abiurò il
protestantesimo (la religione paterna) e fu battezzato con rito
cattolico, quindi, dopo alcuni vagabondaggi tra
la Francia e la Svizzera, si trasferì a Parigi, dove
conobbe gli enciclopedisti e collaborò con loro. Nello stesso periodo iniziò la sua relazione con
Marie-Thérèse Levasseur, una domestica analfabeta, da cui avrebbe avuto cinque
figli di cui non si occupò minimamente. Il suo primo testo filosofico importante,
il Discorso sulle scienze e le arti, vinse il
premio dell'Accademia
di Digione nel 1750 e segnò
l'inizio della sua fortuna.
Nell'estate del 1754 rientrò per un breve
periodo a Ginevra, dove venne accolto con tutti gli onori e si riconvertì al
calvinismo. Nel 1762 vennero
pubblicate due delle più importanti opere di Rousseau, Émile, o
dell'educazione e Il contratto
sociale. Anche se furono
testi di un certo successo, nessuno
dei due suscitò approvazione, e l'Émile in particolare venne fatto oggetto di
critiche e persecuzioni molto dure: il parlamento di
Parigi lo condannò e ordinò che tutte le copie venissero strappate e
bruciate. Il 9 giugno fu emanato un ordine d'arresto per Rousseau, che dovette
fuggire in Svizzera. Tuttavia anche in Svizzera le sue opere vennero
condannate, e si diedero episodi in cui copie del Contratto sociale e dell'Émile furono bruciate pubblicamente a
Ginevra.
Il 1765 vide i testi
di Rousseau ancora oggetto di dure contestazioni. La notte tra il 6 e il 7
settembre la casa di Rousseau a Môtiers fu presa a sassate dalla folla. Dopo aver a lungo girovagato tra
Lione, Chambéry, Grenoble e Bourgoin, e dopo essersi finalmente unito in matrimonio con Thérèse
Levasseur nel 1768, nel 1769 Rousseau si
stabilì in una fattoria presso Monquin (nella Sarthe) e si
dedicò alla stesura della seconda parte delle sue Confessioni.
Gli ultimi anni di Rousseau furono caratterizzati da un
crescente isolamento: un clima di disagio e di sofferenza circondava il
filosofo e scrittore, affetto da sempre più pronunciati squilibri psichici. Il
2 luglio 1778, di ritorno da una passeggiata, fu assalito da un violento mal di
testa e morì nel giro di pochi istanti. La
sera del 4 luglio, alla presenza di solo pochi amici, Jean-Jacques Rousseau fu
seppellito sull'isola dei Pioppi (île des Peupliers). Allora l'isola
venne ribattezzata Elysée,
e divenne meta di pellegrinaggi da parte degli ammiratori del filosofo
scomparso.
Durante la Rivoluzione il pensiero politico rousseauiano in
generale, e il Contratto
sociale in particolare,
divennero un importante punto di riferimento per gli oppositori dell'Ancien
Régime. Rousseau fu tra i primi a essere inumato nel Panthéon, che era
stato dedicato alla memoria dei grandi francesi dai rivoluzionari nel 1791.
Rousseau commentato da N. Abbagnano.
“Da un lato Rousseau è
stato visto come un teorico della democrazia, un filosofo della libertà, per
l’esplicita affermazione secondo cui la sovranità risiede nel popolo, ma da un
altro lato è stato visto, e con ragione, il fautore di una democrazia totalitaria,
di un collettivismo autoritario per la celebrazione della volontà generale e
per l’asserita prevalenza del noi sull’io, secondo un indirizzo teorico che
troverà la sua drammatica semplificazione storica nella rivoluzione francese
combattuta fra la proclamazione ideale della democrazia e la pratica del
terrore, fra la presunta moralità rivoluzionaria dell’élite al potere,
sedicente interprete della volontà generale e il suo sanguinario dispotismo di
fatto. Anzi secondo questa lettura, Rousseau, più che come un ispiratore di
movimenti di liberazione, dovrebbe essere considerato un esecrabile profeta dei
moderni totalitarismi di massa e della loro tendenza a dissolvere l’uomo nel
cittadino”. (tratto da N. Abbagnano “Storia
della Filosofia” – UTET)
Niccolò Machiavelli (1469 - 1527)
Grazie
alla sua elaborazione la politica si avvia con lui ad affermarsi come scienza,
con i suoi princìpi, le sue leggi e con il suo statuto disciplinare: questo per
Macchiavelli comporta l’autonomia dalla religione e dalla morale. Egli adotta
un metodo di ricerca legato alla sua diretta esperienza politica: ha infatti
affinato, con l’opera diplomatica, una grande capacità di osservare in modo
lucido e attento vicende, trame e conflitti che scorrono nel presente,
valutando il loro svolgimento senza farsi distrarre dalle apparenze.
In
Machiavelli l’autonomia della politica ha due significati: in primo luogo il
sapere, che riguarda l’agire politico, si deve costituire come “scienza”,
definendo in modo rigoroso il proprio oggetto, i principi specifici, le
finalità. In secondo luogo, è lo stesso obiettivo proprio della politica a
richiedere l’indipendenza da
istanze di ordine religioso e morale, pena l’insuccesso.
Per
Macchiavelli l’agire politico ha la sua giustificazione in sé stesso, non in
princìpi morali o religiosi. Ritiene che per realizzare un ordine di convivenza
libero e sicuro, la politica debba far riferimento agli uomini come sono e non
come si vorrebbe che fossero, in quanto l’agire politico è condizionato dalla
situazione esistente.
Montesquieu (1689 – 1755).
Il suo grande
ideale liberale è una vita umana ricca, multiforme, sfaccettata, complessa, in
cui il potere politico e l'ordine giudiziario mettano i cittadini al riparo da
qualunque prevaricazione. Nel suo
trattato de “Lo spirito delle
leggi”, Montesquieu traccia la teoria della separazione dei poteri. Partendo dalla considerazione che il "potere assoluto corrompe
assolutamente". L'autore analizza i tre generi di poteri che vi sono in
ogni Stato: il potere legislativo (fare le leggi), il potere esecutivo (farle eseguire) e il potere giudiziario (giudicarne i trasgressori). Condizione oggettiva per l'esercizio della
libertà del cittadino, è che questi tre poteri restino nettamente separati.
Sintesi finale
La filosofia politica
nasce dalla domanda fondamentale intorno alla natura dell’uomo. L’uomo è un
animale politico, sociale e socievole, come diceva Aristotele, oppure è tristo
e malvagio per natura, come afferma Macchiavelli e Hobbes e tiene a freno i suoi
peggiori istinti solo per paura delle sanzioni?
Macchiavelli, spregiudicato e disinvolto nell'uso del potere, afferma: “un buon
principe deve essere astuto per evitare le trappole tese dagli avversari,
capace di usare la forza se ciò si rivela necessario, abile manovratore negli
interessi propri e del suo popolo”, con il coraggio di scavalcare religione e
morale pur di raggiungere il suo scopo.
Thomas Hobbes descrive la natura umana
come competitiva ed egoista, Bellum omnium contra omnes, Homo
homini lupus, e si basa su una visione
fatta di egoismo, desiderio di potere, impulso di sopraffazione. Quando sceglie
l’ordine e la pace con i suoi simili, come avviene con la costruzione dello
stato, non è per amore verso di loro, ma per il timore della morte e per il
desiderio di conservare i beni necessari alla propria sopravvivenza, quindi per
puro egoismo.
Rousseau, grande ispiratore dell’illuminismo francese, ha una visione opposta
dell’uomo. Per Rousseau è la società a corrompere gli esseri umani, che
per natura invece sono inclini al bene. Attraverso una educazione semplice e a
contatto con la natura, lontano dai cattivi influssi della civiltà, l’essere
umano può ritrovare l’innocenza originaria. Con Rousseau nasce il mito del
“buon selvaggio” che alimenterà l’immaginario delle grandi esplorazioni del
‘700 nei territoti incontaminati del pianeta, abitati da una umanità felice e
spensierata immersa nella natura primigenia (?).
La due differenti
visioni dell’uomo sono alla base di due diverse valutazioni del corpo politico,
quella positiva del
realismo di Hobbes e Macchiavelli per la quale la società civile è l’ordine
che permette agli esseri umani di auto conservarsi e di prosperare, quella invece
negativa di Rousseau che
afferma che è dalla proprietà privata e dalla divisione del lavoro
che nasce la diseguaglianza tra gli uomini che lo stato sancisce e protegge.
Gli individui non
dovrebbero essere sottomessi a nessuna autorità al di fuori della volontà
generale del popolo. Solo in questo caso saranno liberi, perché obbediranno
alle leggi create da loro stessi. Il problema sarà: qual è la volontà
generale del popolo?
Nella filosofia
moderna e contemporanea le domande fondamentali di Macchiavelli, di Hobbes e di
Rousseau sulla natura umana, sul rapporto fra l’individuo e la società e sulle
caratteristiche e il ruolo dello stato, non finiranno mai di stimolare la
riflessione politica e di cercare nuove risposte.
Osservazioni
conclusive
di don Claudio
Crescimanno
I filosofi della politica, che abbiamo appena visto, ci hanno
portato in campo, e in modo prorompente, il problema dello Stato e più
precisamente quello dello Stato Etico.
(Etica o Morale = Ricerca di ciò che è
bene per l'uomo, di ciò che è giusto fare o non fare ed è materia che
disciplina fin dall’antichità i rapporti dell’uomo con Dio e i rapporti
dell’uomo con gli altri uomini).
Hegel aveva definito lo Stato
Etico "sostanza etica consapevole di sé".
La dottrina hegeliana affermava che lo Stato è fonte di libertà
e norma etica per il singolo. La condotta dello Stato, quindi, non può essere
oggetto di valutazioni morali da parte dell'individuo: lo Stato si pone fine
supremo e arbitro assoluto del bene e del male.
Lo Stato Etico è il risultato della nuova visione filosofica
politica di questi pensatori ed è tema dominante nel XIX e XX secolo, ma che conserva la sua attualità anche
oggi e la conserverà sempre. (Ripresa nel
Novecento, la teoria dello Stato Etico è stata da molti critici ben usata per
spiegare il fondamento della concezione dello Stato nazista di Hitler, fascista di Mussolini e di quello comunista di Lenin e Stalin, di
Mao e di altri simili).
Fin dalla antichità abbiamo avuto varie forme di governo: la
Monarchia, la Repubblica, il Consolato, ecc. cioè vari modi di gestire i
rapporti fra il Popolo e lo Stato. In particolare vari modi di gestire
l’autorità che lo Stato esercita nei confronti del Popolo. Quelli che erano
chiamati Sudditi e che ora vengono chiamati Cittadini.
Fino alla nascita della modernità, noi avevamo davanti solo
due possibilità di Stato e di forma di governo: lo Stato Confessionale e lo
Stato Teocratico.
Lo Stato Confessionale era la
forma sociale tipica dell’Europa occidentale e cristiana. L’Europa era una
pluralità di comunità di popoli unificati nell’Impero e negli Stati che si
riconoscevano nell’Impero. In questo tipo di Stato c’era una Legge Naturale
valida per tutti e lo Stato era impegnato a farla rispettare. Limite invalicabile
dello Stato Confessionale era la stessa Legge di Dio, cioè i suoi Comandamenti,
conosciuti attraverso una fede religiosa diffusa, ecco perché si chiama Stato
Confessionale.
I Comandamenti di Dio erano il limite entro il quale dovevano
collocarsi le leggi che il Sovrano doveva e poteva emanare, pena la scomunica e
il diritto dei sudditi a disobbedirgli. Questo portava alcuni sovrani a
soffrire questo limite che era rappresentato dalla figura del Papa che
legittimava (incoronava) il Sovrano di turno e garantiva i sudditi almeno dagli
abusi di potere più evidenti dello Stato (garanzia teorica in alcuni casi, ma
comunque riconosciuta da tutti). Esistevano dunque due Autorità, quella civile,
con i limiti già detti e quella Religiosa a salvaguardia almeno dei diritti più
elementari dei sudditi (“Date a Dio quel
che è di Dio e date a Cesare quello che è di Cesare”).
Lo Stato Teocratico era ed è
lo stato islamico, nel quale il Sovrano impone la legge coranica alla lettera,
cioè non emana nessuna legge, perché la legge è quella già scritta ed è
proibito e punito qualunque approccio critico ad essa. Il Sovrano è l’autorità “tout
court” (civile e religiosa
insieme diremmo noi). Possiamo dire, col nostro modo di pensare, che nello
Stato Teocratico la legge religiosa coincide totalmente con la legge civile,
oppure potremmo dire anche che non esiste la legge civile ed esiste solo quella
religiosa, non si ha altra società all’infuori della comunità religiosa.
Lo Stato Etico nasce improvvisamente come una realtà nuova. Esplode un bisogno di
abbandonare decisamente i riferimenti verso l’Alto, i Comandamenti ebraico
cristiani come quelli coranici. Nasce un’impellente necessità di rifondare il
tutto, ridare una legittimità di principio e di fatto al rapporto fra il
sovrano e i sudditi.
Abbiamo
visto il sorgere di almeno tre scuole di pensiero la cui sostanza di fondo è
essenzialmente quella che i sudditi o meglio il popolo o gli abitanti di un
territorio si affidano, dandogli più o meno limiti, ad un Sovrano o ad uno
Stato, ad una autorità che praticamente e inevitabilmente diventa poi assoluta.
Anche
se c’è una definizione dei limiti che circoscrivono questa possibilità di
dominio assoluto, di fatto questi sono ininfluenti rispetto alla sostanza
perché sono dati dalla stessa ideologia o ragionamento che ha dato potere al
Sovrano. Non avendo più un riferimento che viene dall’alto, lo Stato incarnato
dal Sovrano o da altre forme di autorità (gruppi di potere), non ha di fatto
altro limite che se stesso. Lo Stato si trova investito di un consenso che lo
obbliga a dire ai suoi sudditi, ora cittadini, cosa è bene per loro e cosa è
male, ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, ciò che è vero e ciò che è falso,
chi è amico del popolo e chi è nemico, chi può vivere e chi deve morire.
Questo
è lo Stato Etico. È uno stato che a motivo della delega in bianco che gli viene
data e non avendo altro limite se non quello posto da una non meglio definibile
“volontà generale”, decide e impone il
vero e il falso, il giusto e lo sbagliato, il buono e il cattivo, ecc.
Volontà generale, che in realtà è la
volontà di pochi illuminati che dicono
di sapere cos’è la cosa migliore da fare e che decidono anche per quelli che
non sono d’accordo, perché tanto non sono d’accordo per il semplice fatto che
non sono in grado di capire che quello che si sta facendo è anche per il loro
bene.
Lo Stato quindi decide qual è l’etica o il
comportamento adeguato da osservare da parte dei cittadini. Lo Stato Etico riceve
ed esercita il discernimento, cioè la capacità di distinguere il bene dal male
e di imporlo a tutti.
Perché non c’è alternativa allo Stato Etico?
Perché se non esiste più un riferimento superiore allo Stato, lo Stato è
l’ultima istanza. Per esempio se io e il mio vicino di casa abbiamo un
conflitto e chiediamo giustizia ad un giudice, questi valuta la questione e
decide chi ha ragione in funzione delle leggi dello Stato, che non ha erogato
lui, ma appunto lo Stato. Quindi è lo
Stato che decide chi ha torto o ragione, ma in base a che cosa? In base alla
sua visione delle cose, in base a criteri di chi in quel momento ha il potere e
l’autorità, in base a quale ideologia fa riferimento chi ha il potere. Questa
visione e la relativa ideologia che la giustifica è garantita nella sua
legittimità, nella sua verità, nella sua bontà dal consenso popolare ottenuto in modi che è impossibile che siano
rigorosamente democratici e razionali e comunque che è
impossibile che rappresentino davvero un consenso unanime.
impossibile che rappresentino davvero un consenso unanime.
Ma in pratica che garanzie ci sono che
quanto legiferato dallo Stato sia davvero “volontà popolare”, cioè consapevole
e libera scelta di una eventuale maggioranza, o non sia invece frutto dell’abilità
dei gruppi di potere che condizionano e influenzano con pressioni lecite ed
illecite le scelte politiche, con la loro abilità oratoria e con pressioni di
vario tipo verso le fasce più deboli (intellettualmente ed economicamente) e
che quindi decidono?
Vediamo quindi come la rivoluzione in campo
politico di ieri sta condizionando pesantemente anche la politica di oggi.
Quanto, la società in cui viviamo, è veramente libera e favorisce l’espressione
della libertà, e quanto invece è frutto di condizionamenti di ambienti
minoritari, ma che ci superano e di fatto decidono (a modo loro)?
Lo Stato Etico decide quindi quale è una
vita degna di essere vissuta e quindi protetta e quale invece una vita da
eliminare per il benessere comune o dell’individuo stesso, cioè decide chi deve
vivere e chi deve morire, cosa è il vero e cosa è il falso, cos’è il bene e
cos’è il male. Decisioni che spesso sono prese senza consultare correttamente l’opinione
pubblica, ma approfittando del potere e della distrazione dei cittadini o
diffondendo con i media e relative abilità oratorie e comunicative, opinioni o
ideologie vendute come migliori delle precedenti per il solo fatto che sono
nuove.
Questi sono i problemi dello Stato Etico,
nato con la rivoluzione francese che portò al potere Napoleone e portato avanti
dai pensatori che abbiamo appena visto, ma perfettamente attuali e presenti
nella nostra Società e ancora senza soluzioni apprezzabili.
La Rivoluzione francese del 1789
la Cerniera della
modernità politica
Sintesi libera di alcuni punti del libro di Beniamino Di Martino – “Rivoluzione del 1789 - la Cerniera della modernità politica e sociale” – Leonardo Faccio Editore
La tanto declamata
Rivoluzione francese è iniziata con un inutile massacro, quello dell’uccisione
della guarnigione che presidiava la Bastiglia, costituita da militari invalidi
e dove erano rinchiusi un centinaio di prigionieri politici e sette delinquenti
comuni. È poi culminata con i massacri
del regime del Terrore e un super lavoro della ghigliottina. Chiusa infine con
milioni di soldati francesi morti durante le guerre napoleoniche (per non
parlare dei soldati degli stati aggrediti e dei civili), con una colossale
sconfitta militare (nella campagna di Russia e poi nella battaglia di Waterloo,
18 giugno 1815), lo smantellamento dell’Impero napoleonico, la perdita di alcuni territori francesi strategici e
lo stesso Napoleone, autoproclamatosi imperatore (ma non si era ribellato alla
Monarchia?), fatto prigioniero. Il periodo che va dal 20 aprile del 1792 al 20 novembre 1815 viene anche indicato
con il termine di "grande
guerra francese". Nonostante tutto questo la
Rivoluzione francese è paradossalmente percepita come una luce che rischiara
definitivamente l’oscurantismo precedente. I gravissimi danni, sociali, umani e
materiali vengono passati in sordina, come un sacrificio necessario, per
affermare un nuovo modo di essere: l’inizio di una nuova era.
Di fatto siamo di
fronte ad una “storia ideologica” della Rivoluzione francese nella quale si
attribuiscono le violenze ad una ipotetica “rivolta per il pane” da parte della
povera gente, cosa che in realtà la situazione economica pre-rivoluzionaria non
giustificava. All’origine della rivoluzione fu, non certo il popolo (come in
altre rivoluzioni utilizzato sempre come paravento), ma la risibile minoranza
dei club giacobini dai quali nascerà poi la dittatura del Terrore di Robespierre e la
durissima repressione della rivolta vandeana (1793-1796) definita il primo genocidio della storia contemporanea. Le guerre
di Vandea furono una serie di conflitti civili scoppiati che videro la
popolazione della Vandea e di altri dipartimenti vicini insorgere contro il governo
rivoluzionario.
L’attenzione degli
storici sottolinea invece l’importanza politica della rivoluzione come
l’abolizione del feudalesimo (5 agosto 1789) che non fu un atto liberatorio,
come venne definito, ma bensì la distruzione
della società tradizionale al
fine, non certo di distribuire la terra ai contadini, ma di far passare
le grandi proprietà terriere nelle mani di pochissimi alto-borghesi. Ma la
principale conseguenza di quell’atto fu la definitiva distruzione di ciò che
rimaneva dell’antica società organica, (distrutte: 5.000 Chiese, monumenti e
opere d’arte stupende saccheggiate, abbattute 12.000 Abbazie e Conventi, 20.000
castelli incendiati e saccheggiati, per non parlare dei cattolici, popolani e
monarchici ghigliottinati), eliminando assieme alle sovrastrutture negative,
sorte dopo il medioevo, i necessari e determinanti corpi intermedi ponendo così
“l’uomo solo dinanzi allo Stato”. Si ridussero così le persone a individui
(chiamati cittadini per indorare la pillola) trasformandoli in una massa amorfa
di individui sostanzialmente indifesi di fronte all’arbitrio di una “volontà
generale” (decisa da altri) e quindi del tutto sganciata da quel “popolo” di
cui la rivoluzione voleva essere la benefattrice (?).
Le rivoluzioni
successive ricalcheranno questo cliché dove alla fine il popolo sovrano sarà sempre “un uomo solo
dinanzi allo strapotere dello Stato” perfino nelle attuali moderne democrazie
dove si parla tanto del principio di sussidiarietà a cui lo Stato dovrebbe rifarsi. ( La sussidiarietà è quel principio regolatore per cui se
un ente inferiore o corpo intermedio è capace di svolgere bene un compito,
l'ente superiore non solo non deve intervenire, ma deve sostenerne e garantirne
l'azione e la sopravvivenza). La cosa non avviene perché di fatto chi “comanda” davvero
è sempre un gruppo di potere che, dietro le quinte, manovra abilmente le
possibilità della “democrazia” favorendo l’andata al potere di chi poi si
lascerà manovrare da loro.
Questi che seguono sono alcuni degli Stati Etici ottenuti con
la rivoluzione del popolo contro lo strapotere di sovrani oppressori, della
superstizione religiosa e per la libertà dei “cittadini”.
“Regni pure un re
su di loro”
Samuele 1
– Cap.8
[1]Quando
Samuele fu vecchio, stabilì giudici di Israele i suoi figli. [2]Il
primogenito si chiamava Ioèl, il secondogenito Abià; esercitavano l'ufficio di
giudici a Bersabea. [3]I figli di lui però non camminavano sulle
sue orme, perché deviavano dietro il lucro, accettavano regali e sovvertivano
il giudizio. [4]Si radunarono allora tutti gli anziani d'Israele e
andarono da Samuele a Rama. [5]Gli dissero: «Tu ormai sei vecchio e
i tuoi figli non ricalcano le tue orme. Ora stabilisci per noi un re che ci
governi, come avviene per tutti i popoli». [6]Agli occhi di Samuele era
cattiva la proposta perché avevano detto: «Dacci un re che ci governi». Perciò
Samuele pregò il Signore. [7]Il Signore rispose a Samuele: «Ascolta
la voce del popolo per quanto ti ha detto, perché costoro non hanno rigettato
te, ma hanno rigettato me, perché io non regni più su di essi. [8]Come
si sono comportati dal giorno in cui li ho fatti uscire dall'Egitto fino ad
oggi, abbandonando me per seguire altri dei, così intendono fare a te. [9]Ascolta
pure la loro richiesta, però annunzia loro chiaramente le pretese del re che
regnerà su di loro».
Gli inconvenienti della regalità. [10]Samuele
riferì tutte le parole del Signore al popolo che gli aveva chiesto un re. [11]Disse
loro: «Queste saranno le pretese del re che regnerà su di voi: prenderà i
vostri figli per destinarli ai suoi carri e ai suoi cavalli, li farà correre
davanti al suo cocchio, [12]li farà capi di migliaia e capi di
cinquantine; li costringerà ad arare i suoi campi, a mietere le sue messi, ad
apprestargli armi per le sue battaglie e attrezzature per i suoi carri.[13]Prenderà
anche le vostre figlie per farle sue profumiere e cuoche e fornaie. [14]Si
farà consegnare ancora i vostri campi, le vostre vigne, i vostri oliveti più
belli e li regalerà ai suoi ministri. [15]Sulle vostre sementi e
sulle vostre vigne prenderà le decime e le darà ai suoi consiglieri e ai suoi
ministri. [16]Vi sequestrerà gli schiavi e le schiave, i vostri
armenti migliori e i vostri asini e li adopererà nei suoi lavori. [17]Metterà
la decima sui vostri greggi e voi stessi diventerete suoi schiavi. [18]Allora
griderete a causa del re che avrete voluto eleggere, ma il Signore non vi
ascolterà». [19]Il popolo non diede retta a Samuele e rifiutò di
ascoltare la sua voce, ma gridò: «No, ci sia un re su di noi. [20]Saremo
anche noi come tutti i popoli; il nostro re ci farà da giudice, uscirà alla
nostra testa e combatterà le nostre battaglie».[21]Samuele ascoltò tutti
i discorsi del popolo e li riferì all'orecchio del Signore. [22]Rispose
il Signore a Samuele: «Ascoltali; regni pure un re su di loro». Samuele disse
agli Israeliti: «Ciascuno torni alla sua città!».
I frutti di 26 anni di rivoluzioni
1. La rivoluzione francese, o prima rivoluzione francese
fu un periodo di radicale e
violento sconvolgimento sociale, politico e culturale occorso in Francia tra il 1789 e il 1799, assunto dalla storiografia come lo spartiacque temporale
tra l'età
moderna e l'età
contemporanea.
2. Con la rivoluzione di luglio, nota
anche come rivoluzione del
1830, seconda rivoluzione
francese avvenuta a Parigi nelle giornate del 27, 28, e 29
luglio 1830, fu rovesciato Carlo
X – ultimo sovrano della dinastia dei Borbone – e sostituito da Luigi Filippo, il re della monarchia
di luglio.
3. La rivoluzione francese del 1848 o terza
rivoluzione francese nasce
sotto la spinta dell'opposizione liberale, repubblicana e socialista al governo Guizot. I parigini si sollevano il 22 febbraio 1848 prendendo il controllo della città, con il monarca Luigi Filippo che rinuncia a soffocare con le
armi la rivolta e abdica il 24 febbraio, mentre il governo provvisorio rivoluzionario proclama la Seconda Repubblica il 4 maggio 1848.
4. Questi i frutti di 26 anni di rivoluzioni:
1. Fine
delle secolari autonomie locali
2. Centralismo
esasperato
3. Burocrazia
soffocante (ancora oggi presente)
4. Istituzioni
statali centralizzate (ne soffriamo anche oggi)
5. Cimiteri
allontanati dalle città in modo che non disturbino la vita dei vivi
6. Fine
ingloriosa del Sacro Romano Impero
7. Fine
dei principati ecclesiastici
8. Fine
della “Invincibile armada” e del potere spagnolo nelle Americhe saccheggiato da
Inglesi, Francesi e Americani (i futuri USA)
9. Espansione
delle logge massoniche che soffiano sul desiderio di indipendenza e libertà
delle masse per utilizzarle per i loro obiettivi di potere
10.
Guerra totale e su
tutti i fronti alla religione cattolica, al papa e alla Chiesa
11.
Nascita in Italia della
Carboneria per agevolare, fingendosi buoni cattolici, l’insinuarsi della
Massoneria negli ambienti ecclesiastici (ci cascarono diversi alti prelati –
vedi la Bolla Ecclesiam a Jesus 1821
di Pio VII e poi di papa Gregorio XVI
del 1831 dopo la scoperta in merito della polizia pontificia)
Un esempio per tutti. “Dalla lettera di un Carbonaro”
(pseudonimo Piccolo Tigre) si legge: “l’essenziale è isolare l’uomo dalla
famiglia, fargliene perdere l’abitudine, fargli provare disgusto della famiglia
e della religione perché l’una và sempre a seguito dell’altra”.
Nel 1831 la Francia
indice una conferenza internazionale a Roma per occuparsi della risoluzione dei
problemi dello Stato della Chiesa. In
essa, non solo le sette protestanti e quelle massoniche ma anche gli stati
decretano la scomparsa dello Stato pontificio. Lo si ricava anche da una lettera
che Federico Guglielmo III scrive a Voltaire: “si penserà alla facile conquista dello stato del papa per supplire alle
spese straordinarie, e allora il pallio è nostro e la scena è finita. Tutti i
potentati d’Europa non volendo riconoscere un Vicario di Gesù Cristo soggetto
ad un altro Sovrano, si creeranno un patriarca ciascuno nel proprio stato; così
a poco a poco ognuno si allontanerà dall’unità della Chiesa e finirà coll’avere
nel suo regno una religione come una lingua a parte”.
A tutto questo e alle
persecuzioni in atto in Europa e nelle Americhe risponde lo Spirito Santo con
una moltitudine di martiri, di Santi e di Missionari. I nemici della Chiesa si
rendono conto che l’abbattimento della religione è più difficile di quanto
avevano pensato ed allora inventano i Cattolici liberali (tuttora presenti con
varie etichette, per esempio quella di “Cattolici Adulti”). Papa Gregorio XVI
(1831-1846) lo segnala nella Mirari vos
(1832): “Accesi dall’insana e sfrenata
brama di libertà senza ritegno, sono totalmente rivolti a manomettere, anzi a
svellere qualunque diritto di Principato, onde poscia recare ai popoli, sotto
colore di libertà, il più duro servaggio”. Il papa cioè vuol richiamare il
fatto che la libertà come intesa nella modernità, cioè sganciata dalla verità,
è sempre all’origine del più duro “servaggio”.
La Massoneria si
servirà del Cattolico liberale Massimo d’Azelio per preparare la distruzione
dello stato pontificio unificando l’Italia sotto i Savoia, assettati di potere
e docili esecutori di progetti anticattolici (nonostante gli accorati richiami
di San Giovanni Bosco). D’Azelio sa che in Italia non c’è modo di fare una
rivoluzione perché la popolazione è fortemente cattolica, ma c’è sempre un’arma
che sembra essere invincibile e che per primo ha usato lo stesso Satana, la
menzogna, la calunnia, la maldicenza nei confronti dello stato pontificio e
della sua amministrazione. Intanto a Roma c’è un nuovo papa, Pio IX (1846-1878)
uomo energico, riformatore, pieno di carità verso tutti, nemici compresi. A
questi ultimi viene una brillante idea, far passare Pio IX come un papa
liberale e aizzare le folle al grido di “Viva Pio IX”. Viene così spacciato il
papa come liberale e rivoluzionario. Senza questo artificio la vittoria del
risorgimento non sarebbe stata così facile anche se in realtà non fu proprio
facile perché costò l’olocausto di intere popolazioni di cattolici che si
opposero ai piemontesi atei e invasori. (sull’argomento vedi: di Oscaro
Sanguinetti “Le Insorgenze” Quaderni
del Timone e di Angela Pellicciari “Risorgimento
anticattolico” Ed. Piemme e “Risorgimento
da riscrivere” Ed. Ares Milano)
Il liberalismo è un insieme di dottrine, definite in tempi e luoghi diversi
durante l'età moderna e contemporanea, che pongono precisi limiti al potere e all'intervento dello stato, al fine di proteggere i diritti naturali, di salvaguardare i diritti di libertà e, di promuovere l'autonomia creativa dell'individuo oltre che la sua indipendenza politica. Storicamente il liberalismo
nasce come ideale che si affianca all'azione della borghesia nel momento in cui essa combatte
contro le monarchie assolute e i privilegi dell'aristocrazia a partire dalla fine del XVIII secolo.
Il liberalismo ha contribuito a definire la concezione moderna di società, intesa come somma ed espressione delle varietà e singolarità umane,
concernenti sia l'ambito spirituale come la sfera materiale. Inoltre il
liberalismo è probabilmente la dottrina che ha più influenzato la concezione
moderna della democrazia: si parla infatti di "liberal democrazia"
in modo generico per indicare una moderna democrazia che non sia basata
esclusivamente sulla volontà della maggioranza ma - anche e soprattutto - sul
rispetto delle minoranze.
In Inghilterra l'imposizione di limiti al potere del sovrano avviene, a
differenza che negli altri paesi europei, attraverso un processo storico
graduale che viene fatto iniziare addirittura nel Medio Evo con la
concessione della Magna Charta.
La Libertà che guida il
popolo
(1830, Eugène Delacroix)
|
Dopo numerosi sconvolgimenti politici a seguito della
dittatura di Cromwell, nel 1689 il Parlamento
inglese riuscì a portare
sul trono Guglielmo III
d'Orange, che si impegnava a garantire al
Parlamento stesso e ai cittadini inglesi una serie di diritti e libertà
solennemente proclamati nel Bill of Rights. L'Inghilterra fu così il primo Stato al mondo ad essere
governato da una monarchia
costituzionale, la tipica forma di governo del liberalismo classico.
Nel 1690 Locke, che
apparteneva al Partito Whig (più tardi chiamato Partito Liberale), pubblicò anonimo Due Trattati
sul Governo, che contenevano
i principi fondamentali del liberalismo classico. Il filosofo britannico
sviluppa il proprio pensiero partendo dalla teoria del contrattualismo (già avanzata da Thomas Hobbes e ripresa poi nel celebre Contratto
sociale di Jean-Jacques
Rousseau).
Secondo Locke, nello stato di natura tutti gli uomini sono uguali ed esercitano i propri diritti di natura (libertà,
uguaglianza, proprietà e vita); diversamente da Hobbes però, egli ritiene che
lo Stato di natura non sia una condizione di continua belligeranza ma di
convivenza pacifica, in cui tuttavia l'esercizio dei diritti naturali è solo
parziale poiché è limitato dal diritto punitivo esercitato discrezionalmente da
ogni individuo.
Perciò, nell'atto dell'istituire lo Stato civile, gli uomini non cedono al corpo politico alcun diritto, ma
lo rendono tutore dei diritti di natura, delegando al Parlamento il potere di
emanare leggi positive che regolino l'esercizio della forza a difesa d'ognuno.
Le funzioni fondamentali dello Stato liberale divengono quindi quelle di
tutelare la libertà, l'uguaglianza, la vita e la proprietà dell'individuo. Inoltre, il pensiero liberale di Locke
definisce una giustificazione etica della rivoluzione, il diritto di
resistenza che ciascun
individuo può e deve esercitare quando lo Stato agisce in contrasto con la
volontà popolare od in contraddizione con i principi costituzionali.
Jean-Jacques
Rousseau (1712 – 1778)
filosofo, scrittore e musicista svizzero di lingua francese.
L’illuminismo infatti vede la storia dell’uomo come un
itinerario lineare e continuo verso qualcosa di sempre migliore grazie alla
ragione che con la sua luce illuminerà tutto il reale, idea che proviene dal
cattolicesimo che aveva spezzato il circolo metafisico. Ieri c’era meno luce di
oggi, domani ci sarà più luce di oggi. Si va sempre verso il meglio, il nuovo è
sempre migliore del vecchio. Rousseau non condivide questo concetto di
progresso e scrive un’opera nella quale dimostra che ciò che corrompe l’uomo è
proprio il progresso. L’uomo in natura sarebbe buono e innocente, la società
purtroppo invece lo corrompe.
Nel 1754 scrive un’opera “Il
discorso sulle origini e i fondamenti della ineguaglianza fra gli uomini”
nella quale nega la dottrina del peccato originale e afferma che l’uomo è buono
per natura.
Prendiamo per esempio la sua opera “Emilio o dell’educazione” nella quale considera le cinque fasi fondamentali dello sviluppo del giovane Emilio dimostrando che l'uomo nasce
buono e che il male scaturisce dalla corruzione della società e da
un'educazione non corretta, che non asseconda lo sviluppo armonioso delle
potenzialità naturali. Emilio deve essere lasciato libero di sviluppare le
proprie facoltà nella natura, con stimoli ridotti da parte del maestro, in modo
da non essere influenzato in maniera eccessiva e artificiale dalle conoscenze
altrui.
La teoria di Rousseau è quindi quella che l’uomo è buono e
innocente per natura, perché in natura ha tutto ciò che gli serve: cibo,
riposo, una compagna, ecc. senza grandi sforzi. Una sorta di paradiso terrestre
diremmo noi. Ma allora cos’è che invece corrompe questa situazione paradisiaca?
È l’invenzione della proprietà privata,
tutti i mali dell’uomo derivano da questo.
Il giorno, dice Rousseau, che qualcuno decise di recintare un
pezzo di terra e dichiarare che questa à di sua proprietà e trovò altri tanto
ingenui da credergli, li cominciarono tutte le ingiustizie. La radice del male
non è il peccato originale, ma la proprietà privata. Morale, dobbiamo quindi
costituire una società che imiti lo stato di natura.
Come si può arrivare a questo tipo di società? Anche Rousseau
fa riferimento ad un Contratto Sociale nel quale gli uomini liberamente
alienano la loro vita e diventano qualcos’altro, lasciano la loro individualità
per entrare nel corpo sociale. Un corpo che ha una volontà generale.
Una volontà generale, dice Rousseau, non è la somma di
volontà particolari, ma è il bene della
comunità, anche se è visto e capito da poche persone. Il singolo individuo,
anche se non è d’accordo sulle scelte della volontà generale, sa che obbedendo
a questa volontà non fa altro che obbedire a quello che è il vero bene della
comunità e quindi anche suo. Il concetto di fatto è che ci sono alcuni,
illuminati, che vedono il vero bene della società. Cioè che ci sono degli
illuminati che vedono il vero bene anche per chi non è in grado di vederlo.
Chiediamoci a questo punto se Rousseau è davvero il grande teorico della
democrazia come ci è stato sempre detto? Napoleone, Hitler, Mussolini, Stalin,
Mao, ecc. non sono stati degli illuminati che hanno visto quale era il vero
bene della società a dispetto di quegli ingenui o ignoranti che non erano in
grado di vederlo?
Sembra che, non lasciando da parte i fatti, sia il
totalitarismo la vera risposta di Rousseau al bene comune. Risposta totalitaria
che è passata per democratica, e che è stata di fatto un’esca per i
totalitarismi rinati al seguito dalla rivoluzione francese. Già nella
rivoluzione francese si è passati dalla
volontà generale al regime del terrore e poi a Napoleone Imperatore assoluto e
ancor oggi simbolo della “grandeur francese”.
Vita di Rousseau
Nato da un'umile famiglia calvinista ginevrina di origine francese, ebbe una gioventù difficile
ed errabonda durante la quale si convertì al Cattolicesimo.
Visse e studiò a Torino e svolse diverse professioni, tra cui
quella della copia di testi musicali e quella di istitutore. Trascorse alcuni anni di tranquillità
presso la nobildonna Françoise-Louise de Warens una protestante convertita al Cattolicesimo che mandò Rousseau nella capitale del Ducato, Torino, presso il collegio cattolico dell'Ospizio dello Spirito
Santo. Qui, egli abiurò il
protestantesimo (la religione paterna) e fu battezzato con rito
cattolico, quindi, dopo alcuni vagabondaggi tra
la Francia e la Svizzera, si trasferì a Parigi, dove
conobbe gli enciclopedisti e collaborò con loro. Nello stesso periodo iniziò la sua relazione con
Marie-Thérèse Levasseur, una domestica analfabeta, da cui avrebbe avuto cinque
figli di cui non si occupò minimamente. Il suo primo testo filosofico importante,
il Discorso sulle scienze e le arti, vinse il
premio dell'Accademia
di Digione nel 1750 e segnò
l'inizio della sua fortuna.
Nell'estate del 1754 rientrò per un breve
periodo a Ginevra, dove venne accolto con tutti gli onori e si riconvertì al
calvinismo. Nel 1762 vennero
pubblicate due delle più importanti opere di Rousseau, Émile, o
dell'educazione e Il contratto
sociale. Anche se furono
testi di un certo successo, nessuno
dei due suscitò approvazione, e l'Émile in particolare venne fatto oggetto di
critiche e persecuzioni molto dure: il parlamento di
Parigi lo condannò e ordinò che tutte le copie venissero strappate e
bruciate. Il 9 giugno fu emanato un ordine d'arresto per Rousseau, che dovette
fuggire in Svizzera. Tuttavia anche in Svizzera le sue opere vennero
condannate, e si diedero episodi in cui copie del Contratto sociale e dell'Émile furono bruciate pubblicamente a
Ginevra.
Il 1765 vide i testi
di Rousseau ancora oggetto di dure contestazioni. La notte tra il 6 e il 7
settembre la casa di Rousseau a Môtiers fu presa a sassate dalla folla. Dopo aver a lungo girovagato tra
Lione, Chambéry, Grenoble e Bourgoin, e dopo essersi finalmente unito in matrimonio con Thérèse
Levasseur nel 1768, nel 1769 Rousseau si
stabilì in una fattoria presso Monquin (nella Sarthe) e si
dedicò alla stesura della seconda parte delle sue Confessioni.
Gli ultimi anni di Rousseau furono caratterizzati da un
crescente isolamento: un clima di disagio e di sofferenza circondava il
filosofo e scrittore, affetto da sempre più pronunciati squilibri psichici. Il
2 luglio 1778, di ritorno da una passeggiata, fu assalito da un violento mal di
testa e morì nel giro di pochi istanti. La
sera del 4 luglio, alla presenza di solo pochi amici, Jean-Jacques Rousseau fu
seppellito sull'isola dei Pioppi (île des Peupliers). Allora l'isola
venne ribattezzata Elysée,
e divenne meta di pellegrinaggi da parte degli ammiratori del filosofo
scomparso.
Durante la Rivoluzione il pensiero politico rousseauiano in
generale, e il Contratto
sociale in particolare,
divennero un importante punto di riferimento per gli oppositori dell'Ancien
Régime. Rousseau fu tra i primi a essere inumato nel Panthéon, che era
stato dedicato alla memoria dei grandi francesi dai rivoluzionari nel 1791.
Rousseau commentato da N. Abbagnano.
“Da un lato Rousseau è
stato visto come un teorico della democrazia, un filosofo della libertà, per
l’esplicita affermazione secondo cui la sovranità risiede nel popolo, ma da un
altro lato è stato visto, e con ragione, il fautore di una democrazia totalitaria,
di un collettivismo autoritario per la celebrazione della volontà generale e
per l’asserita prevalenza del noi sull’io, secondo un indirizzo teorico che
troverà la sua drammatica semplificazione storica nella rivoluzione francese
combattuta fra la proclamazione ideale della democrazia e la pratica del
terrore, fra la presunta moralità rivoluzionaria dell’élite al potere,
sedicente interprete della volontà generale e il suo sanguinario dispotismo di
fatto. Anzi secondo questa lettura, Rousseau, più che come un ispiratore di
movimenti di liberazione, dovrebbe essere considerato un esecrabile profeta dei
moderni totalitarismi di massa e della loro tendenza a dissolvere l’uomo nel
cittadino”. (tratto da N. Abbagnano “Storia
della Filosofia” – UTET)
Niccolò Machiavelli (1469 - 1527)
Grazie
alla sua elaborazione la politica si avvia con lui ad affermarsi come scienza,
con i suoi princìpi, le sue leggi e con il suo statuto disciplinare: questo per
Macchiavelli comporta l’autonomia dalla religione e dalla morale. Egli adotta
un metodo di ricerca legato alla sua diretta esperienza politica: ha infatti
affinato, con l’opera diplomatica, una grande capacità di osservare in modo
lucido e attento vicende, trame e conflitti che scorrono nel presente,
valutando il loro svolgimento senza farsi distrarre dalle apparenze.
In
Machiavelli l’autonomia della politica ha due significati: in primo luogo il
sapere, che riguarda l’agire politico, si deve costituire come “scienza”,
definendo in modo rigoroso il proprio oggetto, i principi specifici, le
finalità. In secondo luogo, è lo stesso obiettivo proprio della politica a
richiedere l’indipendenza da
istanze di ordine religioso e morale, pena l’insuccesso.
Per
Macchiavelli l’agire politico ha la sua giustificazione in sé stesso, non in
princìpi morali o religiosi. Ritiene che per realizzare un ordine di convivenza
libero e sicuro, la politica debba far riferimento agli uomini come sono e non
come si vorrebbe che fossero, in quanto l’agire politico è condizionato dalla
situazione esistente.
Montesquieu (1689 – 1755).
Il suo grande
ideale liberale è una vita umana ricca, multiforme, sfaccettata, complessa, in
cui il potere politico e l'ordine giudiziario mettano i cittadini al riparo da
qualunque prevaricazione. Nel suo
trattato de “Lo spirito delle
leggi”, Montesquieu traccia la teoria della separazione dei poteri. Partendo dalla considerazione che il "potere assoluto corrompe
assolutamente". L'autore analizza i tre generi di poteri che vi sono in
ogni Stato: il potere legislativo (fare le leggi), il potere esecutivo (farle eseguire) e il potere giudiziario (giudicarne i trasgressori). Condizione oggettiva per l'esercizio della
libertà del cittadino, è che questi tre poteri restino nettamente separati.
Sintesi finale
La filosofia politica
nasce dalla domanda fondamentale intorno alla natura dell’uomo. L’uomo è un
animale politico, sociale e socievole, come diceva Aristotele, oppure è tristo
e malvagio per natura, come afferma Macchiavelli e Hobbes e tiene a freno i suoi
peggiori istinti solo per paura delle sanzioni?
Macchiavelli, spregiudicato e disinvolto nell'uso del potere, afferma: “un buon
principe deve essere astuto per evitare le trappole tese dagli avversari,
capace di usare la forza se ciò si rivela necessario, abile manovratore negli
interessi propri e del suo popolo”, con il coraggio di scavalcare religione e
morale pur di raggiungere il suo scopo.
Thomas Hobbes descrive la natura umana
come competitiva ed egoista, Bellum omnium contra omnes, Homo
homini lupus, e si basa su una visione
fatta di egoismo, desiderio di potere, impulso di sopraffazione. Quando sceglie
l’ordine e la pace con i suoi simili, come avviene con la costruzione dello
stato, non è per amore verso di loro, ma per il timore della morte e per il
desiderio di conservare i beni necessari alla propria sopravvivenza, quindi per
puro egoismo.
Rousseau, grande ispiratore dell’illuminismo francese, ha una visione opposta
dell’uomo. Per Rousseau è la società a corrompere gli esseri umani, che
per natura invece sono inclini al bene. Attraverso una educazione semplice e a
contatto con la natura, lontano dai cattivi influssi della civiltà, l’essere
umano può ritrovare l’innocenza originaria. Con Rousseau nasce il mito del
“buon selvaggio” che alimenterà l’immaginario delle grandi esplorazioni del
‘700 nei territoti incontaminati del pianeta, abitati da una umanità felice e
spensierata immersa nella natura primigenia (?).
La due differenti
visioni dell’uomo sono alla base di due diverse valutazioni del corpo politico,
quella positiva del
realismo di Hobbes e Macchiavelli per la quale la società civile è l’ordine
che permette agli esseri umani di auto conservarsi e di prosperare, quella invece
negativa di Rousseau che
afferma che è dalla proprietà privata e dalla divisione del lavoro
che nasce la diseguaglianza tra gli uomini che lo stato sancisce e protegge.
Gli individui non
dovrebbero essere sottomessi a nessuna autorità al di fuori della volontà
generale del popolo. Solo in questo caso saranno liberi, perché obbediranno
alle leggi create da loro stessi. Il problema sarà: qual è la volontà
generale del popolo?
Nella filosofia
moderna e contemporanea le domande fondamentali di Macchiavelli, di Hobbes e di
Rousseau sulla natura umana, sul rapporto fra l’individuo e la società e sulle
caratteristiche e il ruolo dello stato, non finiranno mai di stimolare la
riflessione politica e di cercare nuove risposte.
Osservazioni
conclusive
di don Claudio
Crescimanno
I filosofi della politica, che abbiamo appena visto, ci hanno
portato in campo, e in modo prorompente, il problema dello Stato e più
precisamente quello dello Stato Etico.
(Etica o Morale = Ricerca di ciò che è
bene per l'uomo, di ciò che è giusto fare o non fare ed è materia che
disciplina fin dall’antichità i rapporti dell’uomo con Dio e i rapporti
dell’uomo con gli altri uomini).
Hegel aveva definito lo Stato
Etico "sostanza etica consapevole di sé".
La dottrina hegeliana affermava che lo Stato è fonte di libertà
e norma etica per il singolo. La condotta dello Stato, quindi, non può essere
oggetto di valutazioni morali da parte dell'individuo: lo Stato si pone fine
supremo e arbitro assoluto del bene e del male.
Lo Stato Etico è il risultato della nuova visione filosofica
politica di questi pensatori ed è tema dominante nel XIX e XX secolo, ma che conserva la sua attualità anche
oggi e la conserverà sempre. (Ripresa nel
Novecento, la teoria dello Stato Etico è stata da molti critici ben usata per
spiegare il fondamento della concezione dello Stato nazista di Hitler, fascista di Mussolini e di quello comunista di Lenin e Stalin, di
Mao e di altri simili).
Fin dalla antichità abbiamo avuto varie forme di governo: la
Monarchia, la Repubblica, il Consolato, ecc. cioè vari modi di gestire i
rapporti fra il Popolo e lo Stato. In particolare vari modi di gestire
l’autorità che lo Stato esercita nei confronti del Popolo. Quelli che erano
chiamati Sudditi e che ora vengono chiamati Cittadini.
Fino alla nascita della modernità, noi avevamo davanti solo
due possibilità di Stato e di forma di governo: lo Stato Confessionale e lo
Stato Teocratico.
Lo Stato Confessionale era la
forma sociale tipica dell’Europa occidentale e cristiana. L’Europa era una
pluralità di comunità di popoli unificati nell’Impero e negli Stati che si
riconoscevano nell’Impero. In questo tipo di Stato c’era una Legge Naturale
valida per tutti e lo Stato era impegnato a farla rispettare. Limite invalicabile
dello Stato Confessionale era la stessa Legge di Dio, cioè i suoi Comandamenti,
conosciuti attraverso una fede religiosa diffusa, ecco perché si chiama Stato
Confessionale.
I Comandamenti di Dio erano il limite entro il quale dovevano
collocarsi le leggi che il Sovrano doveva e poteva emanare, pena la scomunica e
il diritto dei sudditi a disobbedirgli. Questo portava alcuni sovrani a
soffrire questo limite che era rappresentato dalla figura del Papa che
legittimava (incoronava) il Sovrano di turno e garantiva i sudditi almeno dagli
abusi di potere più evidenti dello Stato (garanzia teorica in alcuni casi, ma
comunque riconosciuta da tutti). Esistevano dunque due Autorità, quella civile,
con i limiti già detti e quella Religiosa a salvaguardia almeno dei diritti più
elementari dei sudditi (“Date a Dio quel
che è di Dio e date a Cesare quello che è di Cesare”).
Lo Stato Teocratico era ed è
lo stato islamico, nel quale il Sovrano impone la legge coranica alla lettera,
cioè non emana nessuna legge, perché la legge è quella già scritta ed è
proibito e punito qualunque approccio critico ad essa. Il Sovrano è l’autorità “tout
court” (civile e religiosa
insieme diremmo noi). Possiamo dire, col nostro modo di pensare, che nello
Stato Teocratico la legge religiosa coincide totalmente con la legge civile,
oppure potremmo dire anche che non esiste la legge civile ed esiste solo quella
religiosa, non si ha altra società all’infuori della comunità religiosa.
Lo Stato Etico nasce improvvisamente come una realtà nuova. Esplode un bisogno di
abbandonare decisamente i riferimenti verso l’Alto, i Comandamenti ebraico
cristiani come quelli coranici. Nasce un’impellente necessità di rifondare il
tutto, ridare una legittimità di principio e di fatto al rapporto fra il
sovrano e i sudditi.
Abbiamo
visto il sorgere di almeno tre scuole di pensiero la cui sostanza di fondo è
essenzialmente quella che i sudditi o meglio il popolo o gli abitanti di un
territorio si affidano, dandogli più o meno limiti, ad un Sovrano o ad uno
Stato, ad una autorità che praticamente e inevitabilmente diventa poi assoluta.
Anche
se c’è una definizione dei limiti che circoscrivono questa possibilità di
dominio assoluto, di fatto questi sono ininfluenti rispetto alla sostanza
perché sono dati dalla stessa ideologia o ragionamento che ha dato potere al
Sovrano. Non avendo più un riferimento che viene dall’alto, lo Stato incarnato
dal Sovrano o da altre forme di autorità (gruppi di potere), non ha di fatto
altro limite che se stesso. Lo Stato si trova investito di un consenso che lo
obbliga a dire ai suoi sudditi, ora cittadini, cosa è bene per loro e cosa è
male, ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, ciò che è vero e ciò che è falso,
chi è amico del popolo e chi è nemico, chi può vivere e chi deve morire.
Questo
è lo Stato Etico. È uno stato che a motivo della delega in bianco che gli viene
data e non avendo altro limite se non quello posto da una non meglio definibile
“volontà generale”, decide e impone il
vero e il falso, il giusto e lo sbagliato, il buono e il cattivo, ecc.
Volontà generale, che in realtà è la
volontà di pochi illuminati che dicono
di sapere cos’è la cosa migliore da fare e che decidono anche per quelli che
non sono d’accordo, perché tanto non sono d’accordo per il semplice fatto che
non sono in grado di capire che quello che si sta facendo è anche per il loro
bene.
Lo Stato quindi decide qual è l’etica o il
comportamento adeguato da osservare da parte dei cittadini. Lo Stato Etico riceve
ed esercita il discernimento, cioè la capacità di distinguere il bene dal male
e di imporlo a tutti.
Perché non c’è alternativa allo Stato Etico?
Perché se non esiste più un riferimento superiore allo Stato, lo Stato è
l’ultima istanza. Per esempio se io e il mio vicino di casa abbiamo un
conflitto e chiediamo giustizia ad un giudice, questi valuta la questione e
decide chi ha ragione in funzione delle leggi dello Stato, che non ha erogato
lui, ma appunto lo Stato. Quindi è lo
Stato che decide chi ha torto o ragione, ma in base a che cosa? In base alla
sua visione delle cose, in base a criteri di chi in quel momento ha il potere e
l’autorità, in base a quale ideologia fa riferimento chi ha il potere. Questa
visione e la relativa ideologia che la giustifica è garantita nella sua
legittimità, nella sua verità, nella sua bontà dal consenso popolare ottenuto in modi che è impossibile che siano
rigorosamente democratici e razionali e comunque che è
impossibile che rappresentino davvero un consenso unanime.
impossibile che rappresentino davvero un consenso unanime.
Ma in pratica che garanzie ci sono che
quanto legiferato dallo Stato sia davvero “volontà popolare”, cioè consapevole
e libera scelta di una eventuale maggioranza, o non sia invece frutto dell’abilità
dei gruppi di potere che condizionano e influenzano con pressioni lecite ed
illecite le scelte politiche, con la loro abilità oratoria e con pressioni di
vario tipo verso le fasce più deboli (intellettualmente ed economicamente) e
che quindi decidono?
Vediamo quindi come la rivoluzione in campo
politico di ieri sta condizionando pesantemente anche la politica di oggi.
Quanto, la società in cui viviamo, è veramente libera e favorisce l’espressione
della libertà, e quanto invece è frutto di condizionamenti di ambienti
minoritari, ma che ci superano e di fatto decidono (a modo loro)?
Lo Stato Etico decide quindi quale è una
vita degna di essere vissuta e quindi protetta e quale invece una vita da
eliminare per il benessere comune o dell’individuo stesso, cioè decide chi deve
vivere e chi deve morire, cosa è il vero e cosa è il falso, cos’è il bene e
cos’è il male. Decisioni che spesso sono prese senza consultare correttamente l’opinione
pubblica, ma approfittando del potere e della distrazione dei cittadini o
diffondendo con i media e relative abilità oratorie e comunicative, opinioni o
ideologie vendute come migliori delle precedenti per il solo fatto che sono
nuove.
Questi sono i problemi dello Stato Etico,
nato con la rivoluzione francese che portò al potere Napoleone e portato avanti
dai pensatori che abbiamo appena visto, ma perfettamente attuali e presenti
nella nostra Società e ancora senza soluzioni apprezzabili.
La Rivoluzione francese del 1789
la Cerniera della
modernità politica
Sintesi libera di alcuni punti del libro di Beniamino Di Martino – “Rivoluzione del 1789 - la Cerniera della modernità politica e sociale” – Leonardo Faccio Editore
La tanto declamata
Rivoluzione francese è iniziata con un inutile massacro, quello dell’uccisione
della guarnigione che presidiava la Bastiglia, costituita da militari invalidi
e dove erano rinchiusi un centinaio di prigionieri politici e sette delinquenti
comuni. È poi culminata con i massacri
del regime del Terrore e un super lavoro della ghigliottina. Chiusa infine con
milioni di soldati francesi morti durante le guerre napoleoniche (per non
parlare dei soldati degli stati aggrediti e dei civili), con una colossale
sconfitta militare (nella campagna di Russia e poi nella battaglia di Waterloo,
18 giugno 1815), lo smantellamento dell’Impero napoleonico, la perdita di alcuni territori francesi strategici e
lo stesso Napoleone, autoproclamatosi imperatore (ma non si era ribellato alla
Monarchia?), fatto prigioniero. Il periodo che va dal 20 aprile del 1792 al 20 novembre 1815 viene anche indicato
con il termine di "grande
guerra francese". Nonostante tutto questo la
Rivoluzione francese è paradossalmente percepita come una luce che rischiara
definitivamente l’oscurantismo precedente. I gravissimi danni, sociali, umani e
materiali vengono passati in sordina, come un sacrificio necessario, per
affermare un nuovo modo di essere: l’inizio di una nuova era.
Di fatto siamo di
fronte ad una “storia ideologica” della Rivoluzione francese nella quale si
attribuiscono le violenze ad una ipotetica “rivolta per il pane” da parte della
povera gente, cosa che in realtà la situazione economica pre-rivoluzionaria non
giustificava. All’origine della rivoluzione fu, non certo il popolo (come in
altre rivoluzioni utilizzato sempre come paravento), ma la risibile minoranza
dei club giacobini dai quali nascerà poi la dittatura del Terrore di Robespierre e la
durissima repressione della rivolta vandeana (1793-1796) definita il primo genocidio della storia contemporanea. Le guerre
di Vandea furono una serie di conflitti civili scoppiati che videro la
popolazione della Vandea e di altri dipartimenti vicini insorgere contro il governo
rivoluzionario.
L’attenzione degli
storici sottolinea invece l’importanza politica della rivoluzione come
l’abolizione del feudalesimo (5 agosto 1789) che non fu un atto liberatorio,
come venne definito, ma bensì la distruzione
della società tradizionale al
fine, non certo di distribuire la terra ai contadini, ma di far passare
le grandi proprietà terriere nelle mani di pochissimi alto-borghesi. Ma la
principale conseguenza di quell’atto fu la definitiva distruzione di ciò che
rimaneva dell’antica società organica, (distrutte: 5.000 Chiese, monumenti e
opere d’arte stupende saccheggiate, abbattute 12.000 Abbazie e Conventi, 20.000
castelli incendiati e saccheggiati, per non parlare dei cattolici, popolani e
monarchici ghigliottinati), eliminando assieme alle sovrastrutture negative,
sorte dopo il medioevo, i necessari e determinanti corpi intermedi ponendo così
“l’uomo solo dinanzi allo Stato”. Si ridussero così le persone a individui
(chiamati cittadini per indorare la pillola) trasformandoli in una massa amorfa
di individui sostanzialmente indifesi di fronte all’arbitrio di una “volontà
generale” (decisa da altri) e quindi del tutto sganciata da quel “popolo” di
cui la rivoluzione voleva essere la benefattrice (?).
Le rivoluzioni
successive ricalcheranno questo cliché dove alla fine il popolo sovrano sarà sempre “un uomo solo
dinanzi allo strapotere dello Stato” perfino nelle attuali moderne democrazie
dove si parla tanto del principio di sussidiarietà a cui lo Stato dovrebbe rifarsi. ( La sussidiarietà è quel principio regolatore per cui se
un ente inferiore o corpo intermedio è capace di svolgere bene un compito,
l'ente superiore non solo non deve intervenire, ma deve sostenerne e garantirne
l'azione e la sopravvivenza). La cosa non avviene perché di fatto chi “comanda” davvero
è sempre un gruppo di potere che, dietro le quinte, manovra abilmente le
possibilità della “democrazia” favorendo l’andata al potere di chi poi si
lascerà manovrare da loro.
Questi che seguono sono alcuni degli Stati Etici ottenuti con
la rivoluzione del popolo contro lo strapotere di sovrani oppressori, della
superstizione religiosa e per la libertà dei “cittadini”.
“Regni pure un re
su di loro”
Samuele 1
– Cap.8
[1]Quando
Samuele fu vecchio, stabilì giudici di Israele i suoi figli. [2]Il
primogenito si chiamava Ioèl, il secondogenito Abià; esercitavano l'ufficio di
giudici a Bersabea. [3]I figli di lui però non camminavano sulle
sue orme, perché deviavano dietro il lucro, accettavano regali e sovvertivano
il giudizio. [4]Si radunarono allora tutti gli anziani d'Israele e
andarono da Samuele a Rama. [5]Gli dissero: «Tu ormai sei vecchio e
i tuoi figli non ricalcano le tue orme. Ora stabilisci per noi un re che ci
governi, come avviene per tutti i popoli». [6]Agli occhi di Samuele era
cattiva la proposta perché avevano detto: «Dacci un re che ci governi». Perciò
Samuele pregò il Signore. [7]Il Signore rispose a Samuele: «Ascolta
la voce del popolo per quanto ti ha detto, perché costoro non hanno rigettato
te, ma hanno rigettato me, perché io non regni più su di essi. [8]Come
si sono comportati dal giorno in cui li ho fatti uscire dall'Egitto fino ad
oggi, abbandonando me per seguire altri dei, così intendono fare a te. [9]Ascolta
pure la loro richiesta, però annunzia loro chiaramente le pretese del re che
regnerà su di loro».
Gli inconvenienti della regalità. [10]Samuele
riferì tutte le parole del Signore al popolo che gli aveva chiesto un re. [11]Disse
loro: «Queste saranno le pretese del re che regnerà su di voi: prenderà i
vostri figli per destinarli ai suoi carri e ai suoi cavalli, li farà correre
davanti al suo cocchio, [12]li farà capi di migliaia e capi di
cinquantine; li costringerà ad arare i suoi campi, a mietere le sue messi, ad
apprestargli armi per le sue battaglie e attrezzature per i suoi carri.[13]Prenderà
anche le vostre figlie per farle sue profumiere e cuoche e fornaie. [14]Si
farà consegnare ancora i vostri campi, le vostre vigne, i vostri oliveti più
belli e li regalerà ai suoi ministri. [15]Sulle vostre sementi e
sulle vostre vigne prenderà le decime e le darà ai suoi consiglieri e ai suoi
ministri. [16]Vi sequestrerà gli schiavi e le schiave, i vostri
armenti migliori e i vostri asini e li adopererà nei suoi lavori. [17]Metterà
la decima sui vostri greggi e voi stessi diventerete suoi schiavi. [18]Allora
griderete a causa del re che avrete voluto eleggere, ma il Signore non vi
ascolterà». [19]Il popolo non diede retta a Samuele e rifiutò di
ascoltare la sua voce, ma gridò: «No, ci sia un re su di noi. [20]Saremo
anche noi come tutti i popoli; il nostro re ci farà da giudice, uscirà alla
nostra testa e combatterà le nostre battaglie».[21]Samuele ascoltò tutti
i discorsi del popolo e li riferì all'orecchio del Signore. [22]Rispose
il Signore a Samuele: «Ascoltali; regni pure un re su di loro». Samuele disse
agli Israeliti: «Ciascuno torni alla sua città!».
I frutti di 26 anni di rivoluzioni
1. La rivoluzione francese, o prima rivoluzione francese
fu un periodo di radicale e
violento sconvolgimento sociale, politico e culturale occorso in Francia tra il 1789 e il 1799, assunto dalla storiografia come lo spartiacque temporale
tra l'età
moderna e l'età
contemporanea.
2. Con la rivoluzione di luglio, nota
anche come rivoluzione del
1830, seconda rivoluzione
francese avvenuta a Parigi nelle giornate del 27, 28, e 29
luglio 1830, fu rovesciato Carlo
X – ultimo sovrano della dinastia dei Borbone – e sostituito da Luigi Filippo, il re della monarchia
di luglio.
3. La rivoluzione francese del 1848 o terza
rivoluzione francese nasce
sotto la spinta dell'opposizione liberale, repubblicana e socialista al governo Guizot. I parigini si sollevano il 22 febbraio 1848 prendendo il controllo della città, con il monarca Luigi Filippo che rinuncia a soffocare con le
armi la rivolta e abdica il 24 febbraio, mentre il governo provvisorio rivoluzionario proclama la Seconda Repubblica il 4 maggio 1848.
4. Questi i frutti di 26 anni di rivoluzioni:
1. Fine
delle secolari autonomie locali
2. Centralismo
esasperato
3. Burocrazia
soffocante (ancora oggi presente)
4. Istituzioni
statali centralizzate (ne soffriamo anche oggi)
5. Cimiteri
allontanati dalle città in modo che non disturbino la vita dei vivi
6. Fine
ingloriosa del Sacro Romano Impero
7. Fine
dei principati ecclesiastici
8. Fine
della “Invincibile armada” e del potere spagnolo nelle Americhe saccheggiato da
Inglesi, Francesi e Americani (i futuri USA)
9. Espansione
delle logge massoniche che soffiano sul desiderio di indipendenza e libertà
delle masse per utilizzarle per i loro obiettivi di potere
10.
Guerra totale e su
tutti i fronti alla religione cattolica, al papa e alla Chiesa
11.
Nascita in Italia della
Carboneria per agevolare, fingendosi buoni cattolici, l’insinuarsi della
Massoneria negli ambienti ecclesiastici (ci cascarono diversi alti prelati –
vedi la Bolla Ecclesiam a Jesus 1821
di Pio VII e poi di papa Gregorio XVI
del 1831 dopo la scoperta in merito della polizia pontificia)
Un esempio per tutti. “Dalla lettera di un Carbonaro”
(pseudonimo Piccolo Tigre) si legge: “l’essenziale è isolare l’uomo dalla
famiglia, fargliene perdere l’abitudine, fargli provare disgusto della famiglia
e della religione perché l’una và sempre a seguito dell’altra”.
Nel 1831 la Francia
indice una conferenza internazionale a Roma per occuparsi della risoluzione dei
problemi dello Stato della Chiesa. In
essa, non solo le sette protestanti e quelle massoniche ma anche gli stati
decretano la scomparsa dello Stato pontificio. Lo si ricava anche da una lettera
che Federico Guglielmo III scrive a Voltaire: “si penserà alla facile conquista dello stato del papa per supplire alle
spese straordinarie, e allora il pallio è nostro e la scena è finita. Tutti i
potentati d’Europa non volendo riconoscere un Vicario di Gesù Cristo soggetto
ad un altro Sovrano, si creeranno un patriarca ciascuno nel proprio stato; così
a poco a poco ognuno si allontanerà dall’unità della Chiesa e finirà coll’avere
nel suo regno una religione come una lingua a parte”.
A tutto questo e alle
persecuzioni in atto in Europa e nelle Americhe risponde lo Spirito Santo con
una moltitudine di martiri, di Santi e di Missionari. I nemici della Chiesa si
rendono conto che l’abbattimento della religione è più difficile di quanto
avevano pensato ed allora inventano i Cattolici liberali (tuttora presenti con
varie etichette, per esempio quella di “Cattolici Adulti”). Papa Gregorio XVI
(1831-1846) lo segnala nella Mirari vos
(1832): “Accesi dall’insana e sfrenata
brama di libertà senza ritegno, sono totalmente rivolti a manomettere, anzi a
svellere qualunque diritto di Principato, onde poscia recare ai popoli, sotto
colore di libertà, il più duro servaggio”. Il papa cioè vuol richiamare il
fatto che la libertà come intesa nella modernità, cioè sganciata dalla verità,
è sempre all’origine del più duro “servaggio”.
La Massoneria si
servirà del Cattolico liberale Massimo d’Azelio per preparare la distruzione
dello stato pontificio unificando l’Italia sotto i Savoia, assettati di potere
e docili esecutori di progetti anticattolici (nonostante gli accorati richiami
di San Giovanni Bosco). D’Azelio sa che in Italia non c’è modo di fare una
rivoluzione perché la popolazione è fortemente cattolica, ma c’è sempre un’arma
che sembra essere invincibile e che per primo ha usato lo stesso Satana, la
menzogna, la calunnia, la maldicenza nei confronti dello stato pontificio e
della sua amministrazione. Intanto a Roma c’è un nuovo papa, Pio IX (1846-1878)
uomo energico, riformatore, pieno di carità verso tutti, nemici compresi. A
questi ultimi viene una brillante idea, far passare Pio IX come un papa
liberale e aizzare le folle al grido di “Viva Pio IX”. Viene così spacciato il
papa come liberale e rivoluzionario. Senza questo artificio la vittoria del
risorgimento non sarebbe stata così facile anche se in realtà non fu proprio
facile perché costò l’olocausto di intere popolazioni di cattolici che si
opposero ai piemontesi atei e invasori. (sull’argomento vedi: di Oscaro
Sanguinetti “Le Insorgenze” Quaderni
del Timone e di Angela Pellicciari “Risorgimento
anticattolico” Ed. Piemme e “Risorgimento
da riscrivere” Ed. Ares Milano)
Risorgimento anticattolico e Risorgimento
da riscrivere.
L'unità d'Italia è stata cucita a spese della
Chiesa. Il processo storico di unificazione dal 1848 al '61 si è svolto
contestualmente a una vera e propria guerra di religione condotta nel
Parlamento di Torino - dove tra i liberali siedono i massoni - contro la Chiesa
cattolica. I liberali aboliscono tutti gli ordini religiosi della Chiesa di
Stato, spogliano di ogni avere le 57.492 persone che li compongono, sopprimono le
24.166 opere pie, lasciano più di 100 diocesi senza vescovo, impongono al clero
l'obbligo di cantare il Te Deum per l'ordine morale raggiunto, vietano la
pubblicazione delle encicliche pontificie, pretendono siano loro
somministrati i sacramenti nonostante la scomunica, e, come se nulla fosse, si
proclamano cattolici. Perché? Perché proprio lo Stato sabaudo, che si dice
costituzionale e liberale, alla guida del moto risorgimentale dedica accanite
sessioni parlamentari per la soppressione degli ordini religiosi? Con quali
motivazioni ideologiche, morali, politiche e giuridiche? Sulla base di una mole
impressionante di fonti originali, Angela Pellicciari dimostra che colpendo
il potere temporale della Chiesa s'intendeva annientarne la portata spirituale.
Dell'iconografia tradizionale resta un Ottocento tormentato,
certo spregiudicato, molto meno romantico, che apre a una più piena
comprensione delle difficoltà riscontrate fino a oggi nell'evoluzione della
nostra identità nazionale.
Le Insorgenze Un ventennio mai
studiato veramente, volutamente taciuto, quello della resistenza popolare alla
dominazione napoleonica d’Italia (1796-1814), eppure decisivo per la
realizzazione del successivo Risorgimento. Il racconto delle insorgenze
popolari controrivoluzionarie mette in luce la volontà degli italiani di
rifiutare l’imposizione di un modello di vita contrario alle loro convinzioni,
religiose anzitutto, anche a costo del sacrificio della vita. Infatti, oltre
sessantamila italiani persero la vita per difendere le radici cristiane del
proprio Paese.
«Date a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio»
Dalla Catechesi di Benedetto XVI su Clemente I
“Clemente (Papa, martire e Padre della Chiesa
dal 92 al 97) loda e ringrazia Dio per
la sua meravigliosa provvidenza d’amore, che ha creato il mondo e continua a
salvarlo e a santificarlo. Particolare rilievo assume l’invocazione per i
governanti. Dopo i testi del Nuovo Testamento, essa rappresenta la più antica
preghiera per le istituzioni politiche. Così, all’indomani della persecuzione,
i cristiani, ben sapendo che sarebbero continuate le persecuzioni, non cessano
di pregare per quelle stesse autorità che li avevano condannati ingiustamente.
Il motivo è anzitutto di ordine cristologico: bisogna pregare per i
persecutori, come fece Gesù sulla croce. Ma questa preghiera contiene anche un
insegnamento che guida, lungo i secoli, l’atteggiamento dei cristiani dinanzi
alla politica e allo Stato. Pregando per le autorità, Clemente riconosce la
legittimità delle istituzioni politiche nell’ordine stabilito da Dio; nello
stesso tempo, egli manifesta la preoccupazione che le autorità siano docili a
Dio e «esercitino il potere, che Dio ha dato loro, nella pace e nella
mansuetudine con pietà» (61,2). Cesare non è tutto. Emerge un’altra sovranità,
la cui origine ed essenza non sono di questo mondo, ma «di lassù»: è quella
della Verità, che vanta anche nei confronti dello Stato il diritto di essere
ascoltata”
Obbedienza alle
autorità, sì, ma in primo luogo a Dio. Se le autorità ordinano comportamenti
contrari alla volontà di Dio, i cristiani debbono opporsi e resistere fino al martirio. In piena continuità teologica
e più di 1000 anni dopo San Tommaso d’Aquino che giustifica questa
disobbedienza perché se una legge è in contrasto con la ragione, è sicuramente
iniqua, cioè cessa di essere legge ma diventa un atto di ingiustizia e di
violenza. Oggi possiamo affermare che molti stati hanno leggi che giustificano peccati
che gridano vendetta al cospetto di Dio
e lo sanno così bene che stanno cercando di vietare l’obiezione di coscienza da
parte di funzionari che volessero rifiutarsi di offendere Dio applicandole.
Questi peccati sono: omicidio (aborto
e eutanasia), atti impuri contro natura,
oppressione dei poveri, defraudare la mercede agli operai, dal Catechismo
di San Pio X – Fondamenti della fede cattolica.
La Rivoluzione moderna
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