L’Illuminismo, Umanesimo e Rinascimento
L’illuminismo, ricordiamo, è quel vasto movimento
culturale europeo, sviluppatosi nel ‘700, che, come abbiamo già visto, predica
l’assoluta fiducia nella ragione umana.
Originario
dell’Inghilterra, l’illuminismo si diffonde nel continente e trova pieno
sviluppo in Francia, dove nascono e divulgano le proprie teorie i nomi più
celebri della filosofia illuminista.
Voltaire è
sicuramente l’autore che meglio rappresenta i caratteri, gli ideali e i limiti
della filosofia francese del ‘700. Fu uno scrittore estremamente fecondo,
capace di sperimentare tutti i generi letterari, permeando i suoi scritti di
spirito critico diretto contro le istituzioni e i pregiudizi che impediscono
all’uomo di pensare con la propria testa.
Altro esponente di
spicco dell’illuminismo francese è Jean-Jacques
Rousseau, la cui opera filosofica verrà considerata ispiratrice della
Rivoluzione francese. Da lui derivano infatti le idee sulla volontà generale e
la sovranità popolare che i rivoluzionari faranno proprie e confluiranno nei
documenti costitutivi della nuova Repubblica francese.
Ciò che ha legato
fra loro nel corso del “secolo dei lumi” pensatori e teorie diverse, dalla Francia
all’Italia, dall’Inghilterra alla Germania è la fede nella ragione umana (che,
d’ora in poi, si contrapporrà ferocemente alla fede nel Dio dei cristiani),
capace di portare l’uomo alla costruzione di una nuova era di libertà, dalla
superstizione e dai dogmi (specie quelli della religione cattolica).
Per "Umanesimo" si intende quel vasto movimento culturale che,
iniziato negli ultimi decenni del Trecento e diffusosi nel Quattrocento, ha come caratteristica principale la riscoperta
dell'uomo attraverso la
ricerca e la letteratura dei classici latini e greci. Questa riscoperta è un'indispensabile premessa culturale del Rinascimento, con la quale la
generazione dell'età umanistica sottolinea una netta distanza tra il mondo medioevale, caratterizzato da una visione della vita, che poneva Dio al centro dell'Universo e imponeva all'uomo una totale
sottomissione al potere spirituale e temporale della Chiesa e la loro nuova visione in cui l'uomo è posto al centro dell'Universo ed
è considerato artefice, padrone del proprio destino, al di là di ogni tipo di potere e di autorità.
Si diffonde una grande fiducia
nell'intelligenza umana; si esaltano, in particolar modo, la dignità dell'uomo,
la sua superiorità sugli altri esseri naturali, le sue innumerevoli capacità
creative. Inoltre si afferma il concetto di humanitas,
inteso come la voglia di conoscenza che distingue l'uomo da tutti gli altri
esseri animati. Centri di diffusione della nuova cultura sono soprattutto le
grandi corti signorili, in particolare la corte di Lorenzo
de' Medici, detto il
Magnifico, presso la quale si riuniscono moltissimi artisti e letterati del tempo. Infatti durante l'umanesimo si rinnovano le arti,
la scultura e cominciano ad apparire alcuni personaggi importanti come Leonardo Da Vinci.
Rivoluzione. Fino al XVII secolo questo termine è usato solo in
astronomia. Il moto
di rivoluzione (in genere con
traiettoria ellittica) è il movimento che un pianeta o un altro corpo celeste compie attorno ad un centro di massa.
La Terra attorno al Sole, un satellite attorno a un pianeta, una stella
attorno al centro galattico.
Nel Medioevo si parla di
Riforma, cioè ridare forma originale a qualcosa che con il tempo si è corrotto,
la riforma della Chiesa di San Francesco, “ricostruisci la mia Chiesa”, dirà il
Signore al poverello di Assisi. Si parlerà di Riforma della Chiesa con Lutero,
ma come abbiamo visto, non nel senso di tornare più fedeli alle origini come
poteva sembrare all’inizio della protesta luterana, ma per sostituire alla
Chiesa Cattolica con un’altra chiesa completamente ricostruita da zero e quindi
diversa. In questo caso è doveroso parlare di Rivoluzione, cioè abbandono o
distruzione di tutto ciò che era prima e rifacimento dalle fondamenta di
qualcosa di nuovo, come avvenuto nella rivoluzione scientifica, in quella
filosofica, in quella politica e in quella religiosa, ecc.
In questi casi rivoluzione diventa un termine filosofico, preso
in prestito dall’astronomia, ma con un significato completamente diverso.
La Rivoluzione illuministica
L’Illuminismo, come rivoluzione della
nostra cultura, rimane un momento di grande esaltazione, di grandi speranze, di
svolta epocale che apre finalmente la strada al progresso, alla pace del mondo,
alla fratellanza universale, alla libertà da ogni possibile vincolo di sovrani
e padroni. Soluzione di tutti i problemi, sociali, politici e morali, che la
vita dell’uomo incontrerà d’ora in avanti.
Punto zero della Società moderna, ovvero la società moderna
nasce qui e tutto il prima va buttato via e dichiarato non solo obsoleto, ma
addirittura nocivo per la crescita e lo sviluppo della società e della libertà
dell’uomo. Saranno chiamati appunto i “secoli bui” quelli che hanno preceduto
il “secolo dei lumi”. L’illuminazione viene dall’intelligenza dell’uomo e non
certo da quella di un Dio inventato dall’uomo a causa della sua ignoranza e
dabbenaggine.
Attraverso il lume della ragione si vuole illuminare il buio del
passato, in particolare la superstizione generata dalla fede e dalla religione
cristiana.
L’Illuminismo si dimentica che è la filosofia greca e quindi il
pensiero occidentale che esalta la ragione e che è la fede cristiana che la
utilizza a piene mani e la sviluppa proprio nei “secoli bui” del medioevo.
L’esaltazione della ragione, non avviene con l’illuminismo, con l’illuminismo
avviene la mortificazione della ragione, relegata alle sole cose che si toccano
(riduzionismo).
il
Ballo Excelsior: il trionfo dell'umanità incivilita (grazie ai lumi della
ragione)
inaugurato
alla scala di Milano l’11 gennaio 1881.
Per il medioevo “In principio era il
Lògos”, cioè la Ragione di Dio, dell’Uomo e delle cose. È proprio la
Scienza moderna figlia della Ragione, riscoperta dai classici, tradotti dai
monaci medioevali. Per la religione cristiana la ragione era lo strumento
ideale per conoscere e capire tutte le discipline esistenti, in primis la
religione stessa. Cioè con la ragione si potevano varcare le soglie della
Fisica, inoltrarsi nella Metafisica ed arrivare a Dio. Un Dio che è solo
avvicinabile dalla ragione, ma la cui conoscenza sarà abbordabile grazie alla
rivelazione divina che completerà l’ultimo tassello: chi è veramente Dio.
Questo Dio rivelato sarà compreso meglio grazie proprio alla ragione che
riuscirà a spiegarsi anche quello che umanamente era impossibile conoscere
senza che Dio stesso incarnandosi venisse a spiegarcelo di persona.
L’Illuminismo, dimentica e abbandona tutto questo, bandisce la fede e creauna
nuova religione, la religione della Ragione che tutto spiega (mentre spiega
solo alcuni aspetti della realtà) e che non ammette che esista ciò che le
ragione non può spiegare. Conseguenza è che tutto ciò che non è quantificabile
e misurabile e che quindi la Scienza non può spiegare: non esiste (non ci interessa).
Non passa nella loro mente che la Ragione ha il suo limite proprio nella sua
impossibilità di decifrare quello che non è matematichezzabile. Questo però è
un limite posto dall’uomo che si rifiuta di indagare nel campo del mistero e
del trascendente, cosa che la ragione vera può fare o per lo meno tentare di
fare, come hanno fatto i Greci, arrivando così al Dio dei filosofi, che poi la
rivelazione divina perfezionerà. La tradizione, tutta la cultura passata, tutto
ciò che l’uomo ha studiato, cercato di capire e consolidato, tutto il pensiero
dei saggi e dei sapienti, non viene considerata una risorsa da utilizzare per
capire sempre di più, ma valutata un peso inutile di cui liberarsi al più
presto. Liberati dall’oscuro passato possiamo davvero emanciparci e guardare al
futuro, diventare veramente adulti.
Novità dell’Illuminismo
Lotta alla Religione
Significati di:
Ecco perché l’illuminismo è un rivoluzione, perché sostituisce
completamente e inesorabilmente tutto quanto costruito fino ad ora, con qualcosa
di completamente nuovo, cancellando ogni
traccia di quanto è stato.
L’uomo deve tornare a quello stato di natura che era nel
paradiso terrestre. L’uomo dotato di ragione ed immerso nella natura si
emancipa. Si emancipa dai Sovrani, dai padroni, dal Papa, dai preti, da Dio (da
ogni forma di autorità compresa quella della famiglia). L’uomo diventa adulto
quando si libera di queste cose, cioè quando si sente veramente libero. La
ragione diventa quindi uno strumento con un riscontro estremamente pratico,
liberare l’uomo da ogni orpello che, si crede, ne limiti la crescita e lo
sviluppo.
Già agli inizi del XX secolo, un gruppo di filosofi della scuola di
Francoforte (di stampo marxista e quindi figli dell’illuminismo), criticarono
fortemente l’illuminismo. Cosa ha prodotto l’illuminismo, si chiesero? Ha
prodotto una ragione strumentale che non pone più uno scopo all’esistenza e alla
ragione stessa. Come è usata la scienza? È usata per permettere all’uomo il
dominio sulle cose e sul mondo, cioè sulla realtà, ma solo su quella realtà
misurabile, cioè solo sugli aspetti quantitativi. Ma come la mettiamo con gli
aspetti qualitativi che sono quelli che lo distinguono dalla macchine e dagli
animali? Quella qualità che lo porta ad essere visto come una creatura di Dio,
anzi come un figlio di Dio. Escludendo la qualità e considerando solo la
quantità, l’uomo diventa un pezzo della natura, uno dei tanti, e quindi
studiabile, sezionabile, manipolabile, usabile, ecc. L’uomo che vuole dominare
la natura, finisce per essere dominato dal freddo calcolo razionale di se
stesso. L’illuminismo che vuole liberare l’uomo, lo consegna legato mani e
piedi al razionalismo più spietato che lo tratta come una cosa.
Già Adorno vede che la prima e la seconda
guerra mondiale sono un prodotto dell’illuminismo come la stessa Auschwitz. Per lui c’è una perfetta
identità tra la logica dell’illuminismo e la logica del dominio.
Corrado Gnerre (docente di antropologia filosofica –
Univ. Europea Roma)
“Dopo la frantumazione della modernità,
la storiografia contemporanea non sembra disposta a rivederne le origini
culturali, ostinandosi in un culto acritico dell’Illuminismo senza evidenziare le contraddizioni insite nella filosofia dei lumi, prima fra tutte
la sua pretesa antropocentrica (secondo cui la ragione dell’individuo è il
fondamento immanente del reale) che si rovescia in un itinerario di
auto-distruzione dell’uomo. D’altronde le contraddizioni sono esiti inevitabili
di tutte le utopie… e l’Illuminismo
è stato, nella sua essenza, una grande utopia”. (Corrado Gnerre: L’Illuminismo – ed. Solfanelli e Studiare
la filosofia per rafforzare la fede – ed. Studi Apologetici “Joseph obœdientissimus”).
Articolo della rivista “Il Timone”- n 137 - novembre 2014.
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Il Criticismo
Il criticismo è un indirizzo filosofico che si propone di
studiare e giudicare i problemi della conoscenza filosofica scomponendoli in
problemi elementari, per cercare di risolverli.[1] Esso restringe in tal modo
il campo di indagine della filosofia, ma ritiene al contempo di acquisire una
maggiore sicurezza sulla veridicità delle affermazioni che vengono fatte al suo
interno.
Il metodo di cui si serve consiste nel criticare o analizzare la ragione tramite la ragione stessa, in
modo da scoprirne i limiti e poter così giudicare fondati o infondati alcuni
dei principi che essa suole affermare. Il criticismo è stato infatti chiamato
anche filosofia del limite, in quanto tende a limitare o a circoscrivere
le possibilità della conoscenza umana, per quanto in questo modo essa riesca ad
approdare a forme di sapere più sicuro. Il criticismo, in fin dei conti, è
un'analisi della ragione umana, che diventa insieme giudice e imputato nel
tentativo di scoprire cosa può realmente conoscere e affermare con certezza.
1.
Il Criticismo si oppone al dogmatismo
2.
Fa della critica lo strumento della filosofia
3.
Significa valutare i fondamenti, le possibilità, la validità
e i limiti delle esperienze umane
4.
Il Criticismo nasce con Immanuel Kant
Il maggior
esponente di questa corrente filosofica è il pensatore tedesco Immanuel Kant,
che ricorse alla metafora della colomba per illustrare come, a suo modo di
vedere, i limiti imposti all'intelletto siano in realtà costitutivi della sua
stessa possibilità di muoversi e di conoscere:
Immanuel Kant (1724 – 1804)
La Vita
Immanuel Kant nasce a Konigsberg
nella Prussia orientale, il 22 aprile 1724 e lì trascorre la sua intera vita,
una vita tranquilla, del tutto priva di avvenimenti di rilievo, in forte contrasto con il clima politico di
grandi rivolgimenti del secolo in cui è vissuto. Fu un filosofo tedesco del
XVIII secolo e oggi considerato come il
pensatore più influente dei tempi moderni. Quando suo padre morì, Kant lasciò
l'università per guadagnarsi da vivere come insegnante privato. Aiutato da un
amico, riprese poi gli studi e conseguì il dottorato. Per i successivi 42 anni
insegnò diverse materie, focalizzandosi solamente più tardi sulla filosofia.
Oltre alle opere di filosofia, Kant scrisse una serie di trattati su vari
argomenti scientifici, riguardanti in particolare il campo della geografia
fisica.
Nella prima
formazione di Kant, convergono il razionalismo del filosofo illuminista
Cristian Wolff e il rigore della religione “Pietista”, una forma del
protestantesimo nata in Germania tra il ‘ 600 e il ‘700 che Kant respira in
famiglia e nell’ambiente degli studi inferiori.
In seguito, negli
anni degli studi universitari, assumono una grande importanza la matematica e
la fisica di Newton. Gli studi successivi lo portano in contatto con le opere
di Rousseau e quelle del filosofo empirista Hume, a cui Kant attribuisce il
merito di averlo svegliato dal sonno
dogmatico.
Kant
ormai ottantenne viene colpito dal morbo di Alzheimer nel 1804. Sulla sua lapide volle scolpito: “Due cose riempiono l’animo di ammirazione e
venerazione sempre nuova e crescente: il cielo stellato sopra di me e la legge
morale dentro di me”.
Aspetti della filosofia di Kant
1.
Gli scritti precritici
2. La fondazione del sapere (Critica della Ragion Pura)
3. La morale e il dovere (Critica della ragion Pratica)
4. Il giudizio estetico e il giudizio teleologico (Critica del Giudizio)
5.
La religione, la storia e il futuro
dell’umanità
Il Criticismo di Kant
Il primo fondamentale problema che vuole risolvere il pensiero di Kant è quello di identificare le condizioni che danno all'uomo la
possibilità di raggiungere una conoscenza valida sia nel campo delle nuove
scienze della natura sia in quelle tradizionali della metafisica, dell'etica,
della religione e dell'estetica.
«Ogni
interesse della mia ragione (tanto quello speculativo quanto quello pratico)
si concentra nelle tre domande seguenti:
1. Che cosa posso sapere?
2. Che cosa posso fare?
3.
Che cosa ho
diritto di sperare?»
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Nella matematica e nella fisica l'uomo esprime giudizi
universali e necessari superando i limiti dell'esperienza sensibile.
L'illuminismo aveva visto in questo il segno evidente di ciò a cui può giungere
la ragione ma lo scetticismo di Hume aveva però contestato i fondamenti teorici
della moderna scienza galileiana e newtoniana. Occorreva quindi giustificare le
sue basi teoriche e identificare i fondamenti filosofici che rendono possibile
per l'uomo superare i dati empirici immediati, limitati e contingenti, per
arrivare a conoscenze universali e necessarie.
La metafisica era giunta alla conclusione di potersi porre come
una vera scienza in quanto come questa - ma svincolandosi da ogni esperienza
sensibile - era in grado di offrire all'uomo verità certe. Kant si domanda se
questo avventurarsi della ragione oltre i limiti dell'esperienza sia possibile
per risolvere il problema di Dio, dell'immortalità dell'anima, di leggi morali
ed estetiche universali. Kant è convinto in base alla mentalità illuministica
del suo tempo che tutte queste problematiche possano risolversi sottoponendole all'esame
critico della ragione.
Kant
è il filosofo che ha dato vita al criticismo, termine che deriva dalle sue tre
opere più importanti: la Critica della ragion pura (1781), la Critica della
ragion pratica (1788) e la Critica del Giudizio (1790).
CRITICA DELLA RAGION
PURA
La filosofia di Kant
è la filosofia del limite. Kant cerca cioè di approfondire quanto aveva già
studiato John Locke nella sua opera: Saggio sull'intelletto umano (1690) in cui cercava di capire come possa il nostro intelletto
“conoscere” e quali sono i suoi limiti.
Affronta questo tema nella sua critica
alla ragion pura. Questa critica è una specie di processo giuridico che viene
fatto alla ragione portata dinanzi ad un tribunale per essere giudicata e
vedere cosa davvero può conoscere. Cosa la nostra ragione può conoscere con
verità, in modo scientifico e incontrovertibile e cosa non può proprio
conoscere. Il giudice di questo tribunale è la ragione stessa, imputata e giudice
al contempo.
In questa critica Kant si confronta con
la filosofia dominante nel ‘600 e nel ‘700, cioè il razionalismo e l’empirismo.
Questo perché si accorge che entrambe queste correnti hanno aspetti positivi,
ma accompagnati anche da aspetti decisamente negativi.
È possibile avere una Scienza della Metafisica?
Questo si chiede Kant, perché egli è un
innamorato della metafisica e si chiede se la metafisica può assurgere al ruolo
di scienza. In altre parole: “Tu ragione
pura, puoi andare oltre i limiti dell’esperienza e quindi fare metafisica, cioè
andare oltre la fisica?”
Per Kant conoscere è giudicare, cioè
unire un soggetto ad un predicato. Vediamo, dice Kant, che ragionamenti hanno
fato in proposito quelli che ci hanno preceduto.
Giudizi analitici a
priori
Sono quelli che si hanno prima
dell’esperienza. Sono giudizi che la nostra ragione dà, senza ricorrere
all’esperienza. Sono i giudizi tipici del razionalismo di Cartesio “Cogito ergo
sum” (Discorso sul metodo,
IV; Meditazioni metafisiche, II, 6). Il razionalismo infatti vuole fondare
la conoscenza sulla sola ragione senza fare riferimento all’esperienza che
ritiene fallace.
Kant osserva che
questo modo di procedere ha un grande svantaggio, non permette di ampliare la
conoscenza, sono infecondi, confermano solo ciò che è già presente e chiuso
nella nostra mente. Hanno d’altronde il vantaggio di essere “universali”,
necessari, chiari, validi per tutti.
Giudizi
sintetici a posteriori
Sono quelli proposti dall’empirismo, e
sono quelli che vengono dopo aver fatto esperienza. L’empirismo infatti ci dice
che nulla è nella nostra mente se prima i nostri sensi non ce l’hanno messo. Conoscenza attraverso la sola esperienza.
Anche qui abbiamo il vantaggio che questi giudizi sono fecondi, perché permettono
di ampliare la conoscenza (prima non sapevo qualcosa, ora con l’esperienza lo
so). Lo svantaggio è che non sono necessari e universali. L’empirismo infatti
era poi sfociato nel più totale scetticismo perché affermava “Posso dire solo ciò di cui io faccio
esperienza, ma questo finisce con la stessa esperienza che ho fatto”.
Kant qui fa riferimento al ragionamento
di Hume che afferma che se una palla di bigliardo ne colpisce un’altra e la
sposta, non vuol dire che tutte le palle colpite da un’altra facciano lo
stesso, è valido ciò che io vedo in questo momento, ma non so se si ripeterà
ogni volta, anzi ogni volta è una nuova esperienza che vale solo in quel
momento. Non sottostà alla legge “causa effetto”. Noi possiamo solo dire che
quella palla ne ha colpita un’altra e l’ha spostata, solo quella che io ho
visto, cioè che ho sperimentato personalmente, ma non posso farne una legge
universale.
Si ha scienza indubitabile, certa,
incontrovertibile, dice Kant, solo quando riusciamo a prendere il buono dei
primi e il buono dei secondi. Cioè produrre giudizi a posteriori che ci
permettano di ampliare la conoscenza, ma che siano contemporaneamente anche
giudizi a priori.
La matematica e la fisica avevano già
raggiunto lo stato di Scienze e a Kant interessava verificare se anche la
metafisica potesse avere quei requisiti per potersi dire scienza.
La rivoluzione copernicana di Kant
Su cosa si fondano dunque questi giudizi a
priori sulla ragione e sui principi logici e quelli posteriori sull’esperienza?
Questi a loro volta su cosa si fondano? Si fondano su come noi siamo fatti,
dice Kant e così introduce la sua rivoluzione copernicana, cioè mette al centro
il soggetto del conoscere e alla periferia gli oggetti della conoscenza.
Il conoscere per
Kant non vuole al centro l’oggetto, le cose, ma il soggetto, cioè l’uomo. Nella
conoscenza non siamo noi che ci adeguiamo all’oggetto, ma è l’oggetto che ruota
intorno a noi e si adegua a come noi siamo fatti.
Da buon illuminista
Kant crede che la ragione sia una caratteristica comune a tutti gli uomini,
cioè che funzioni allo stesso modo in tutti gli uomini. Tutti noi abbiamo delle
strutture innate con le quali organizziamo il conoscere. Quindi le cose si
debbono adeguare a come noi le percepiamo. È come se noi avessimo degli
occhiali con lenti verdi, per la qual cosa noi vediamo la realtà tutta verdognola.
Qual è la realtà
vera? Quella del cavallo? Quella
dell’uomo? Non lo sappiamo.
Insomma siamo noi
che imponiamo alle cose le nostre strutture conoscitive. Kant le chiama le
nostre forme pure a priori, come se
fossero degli stampini, come quelli che usano i bambini quando giocano sulla
spiaggia, nei quali noi immettiamo la sabbia bagnata delle nostre percezioni e
gli imponiamo la forma dello stampino che abbiamo deciso essere quello giusto.
Tutti noi siamo dotati di “stampini” con i quali conformiamo la sabbia della
realtà. Nel conoscere c’è si il materiale, la sabbia bagnata, ma questa sabbia
sottostà a come siamo strutturati o fatti noi. Questo quindi vuol dire che noi
non conosciamo come sono davvero le cose, non conosciamo la loro vera essenza.
Noi delle cose conosciamo solo i fenomeni così come appaiono a noi. Kant è il filosofo dualista per eccellenza,
dualista radicale. Un conto è la realtà come essa è davvero e che lui chiama Noumeno (cosa solo pensabile), e un
conto è la cosa come appare a me, il Fenomeno.
È questo il
soggettivismo moderno che con Kant trionfa e che è da lui scrupolosamente analizzato da tedesco qual è.
Soggettivismo che resisterà anche agli attacchi di Hegel che vedremo.
Kant non nega come Berkeley l’esistenza dell’essere, afferma che l’essere,
al di fuori di noi, esiste ed è pensabile, ma che è inconoscibile e lo chiama
Noumeno. Conosciamo solo come la realtà appare a noi nel momento in cui
guardiamo un Fenomeno. Essa
dipende dalla struttura del soggetto pensante (per come noi siamo fatti
e col nostro bagaglio di giudizi analitici a priori, con i quali valutiamo e
giudichiamo le cose).
Il
trascendentale
Il trascendentale, termine kantiano, è ciò che noi
mettiamo nella conoscenza a priori, e cioè l’insieme delle forme pure a priori
che tutti noi abbiamo e con le quali organizziamo e strutturiamo la realtà, o
meglio, i fenomeni per come noi li
percepiamo, non la realtà vera.
Hegel farà poi
osservare che dall’antichità, fino all’epoca moderna, la conoscenza era un
rapporto immediato fra certezza e verità (filosofia realista). Quello che io
conosco è anche quello che è. Hegel aggiunge che invece da Cartesio a Kant
viene interrotto il rapporto immediato fra certezza e verità e nasce una netta
separazione fra i due e che con Kant arriva al suo apice.
Il
soggettivismo
Kant
ribadisce che una cosa è la Verità delle cose, un’altra cosa è la conoscenza
soggettiva. La Verità c’è, è innegabile, ma non la conosceremo mai, non sapremo
mai come il mondo è davvero. Sapremo solo come il mondo appare a noi. È questo
il soggettivismo.
Questo
soggettivismo, ancora oggi imperante, apre la strada ad un concetto di libertà
che non trova più ostacoli nella morale, nell’etica, nei costumi, nella
religione e nemmeno nella ricerca scientifica che va ad invadere anche le aree
più intime e sacre dell’uomo: l’affettività, la procreazione, l’erotismo,
l’istinto, il desiderio, ecc.
Il soggettivismo è una rivoluzione
devastante, non ci sono
più riferimenti assoluti, punti fermi, tutto è in balia del singolo e del suo
modo di vedere la vita e il mondo. Non c’è una verità oggettiva, ma tutta la
vita è come io credo che sia. Il riferimento reale e più pratico diventa di
fatto il potere, il successo, il piacere, la capacità di manovrare gli altri,
l’arrivismo, l’utilità pratica, la propria affermazione, il protagonismo, ecc.
(il rifiuto di Dio è il cattivo frutto del soggettivismo, è il “non serviam” di Satana).
Sensibilità – Intelletto
- Ragione.
Per Kant ci
sono tre facoltà conoscitive dell’uomo e sono la sensibilità, l’intelletto
e la ragione.
La sensibilità è la sfera dei sensi che è
essenzialmente ricettiva e nella quale noi siamo apparentemente passivi. Noi
però ci mettiamo a priori il concetto di spazio e quello di tempo. Per Kant spazio e tempo non sono realtà
oggettive esterne a noi, ma sono forme pure a priori del soggetto che conosce.
Sono le prime due forme di quello che abbiamo chiamato il trascendentale. Noi
infatti non possiamo non collocare le cose che nello spazio e nel tempo. Non
possiamo nemmeno immaginare una assenza di spazio (assenza di cose sì, ma non
assenza di spazio). Questo perché lo spazio è qualcosa che ci appartiene a
priori. Altrettanto non possiamo immaginaci l’assenza di tempo. Quando pensiamo
all’eternità non riusciamo veramente ad immaginarla, ci rimane sempre come un
punto interrogativo, come una cosa indefinibile.
Spazio e tempo sono
forme pure a priori del soggetto, non sono realtà che esistono esternamente a
lui. Noi la realtà la strutturiamo spazio temporalmente. C’è cioè una prima
sintesi, un primo giudizio. Pensiamo per esempio alle norme giuridiche. Una
delle loro caratteristiche principali è l’astrattezza, perché non possono
contemplare un caso particolare, cioè non possono essere create su misura per
ogni accadimento, ma sono norme astratte che si dovranno calare poi sul fatto
concreto e particolare. Il fatto allora potrà rientrare nella norma. Noi tutte
le volte che conosciamo, giudichiamo, cioè applichiamo le nostre forme pure a
priori a del materiale sensibile. Forme pure a priori che sono vuote ed
astratte.
Riassumendo c’è
l’elemento sensibile a posteriori, cioè l’esperienza, che ci permette di
ampliare la conoscenza (come voleva l’empirismo), ma c’è anche l’elemento a
priori o le forme pure a priori (come voleva il razionalismo).
L’intelletto è la facoltà attraverso la quale pensiamo tramite concetti. Qui di forme
pure ne abbiamo dodici. Kant si rifà alle categorie cioè ai nostri concetti sommi (sostanza, causa
effetto, contingenza, ecc.). Queste dodici categorie dell’intelletto si
applicano al materiale sensibile che spazio tempo hanno già sintetizzato.
La ragione per Kant, è quella parte di noi che vuole
conoscere da sola, con il solo ragionamento, in modo puro, senza sporcarsi con
il materiale sensibile. Egli si chiede: “Ma
la nostra ragione può conoscere in modo puro con il solo ragionamento? Senza
cioè far ricorso a del materiale?” Vuol dire senza fare giudizi, senza
applicarsi a qualcosa di concreto. Poter andare quindi anche oltre
l’esperienza. Poter produrre idee pure.
La differenza fra
ragione ed intelletto sta nel fatto che l’intelletto si applica alle categorie
già strutturate nello spazio e nel tempo dopo l’esperienza sensibile, la
ragione invece vuole andare oltre l’esperienza e produrre idee pure.
Io Penso. Tutta
questa organizzazione, tutto questo che passa dai sensi e poi all’intelletto e
poi alla ragione ha però bisogno di un’ultima super categoria che poi le
governa tutte. Questa super categoria Kant la chiama “Io penso”. Noi potremmo
chiamarla l’autocoscienza. Tutte queste sintesi necessitano di qualcuno dietro
che sia consapevole di stare facendo queste sintesi. Kant la chiama la percezione pura trascendentale, che non
vuol dire altro che ci si rende conto che c’è un soggetto dietro a tutto
questo, un soggetto pensante (io penso). Quindi le forme pure a priori che sono
l’elemento universale della conoscenza,
sono due nella sensibilità, dodici nell’intelletto e la super categoria “io
penso”.
Nell’estetica trascendentale ci sono le forme pure della
sensibilità, nella logica le forme pure dell’intelletto, nella dialettica
vediamo il cuore della critica alla ragion pura, di questo processo alla
ragione per verificare ciò che essa può conoscere con verità e in modo
scientifico, la dialettica è quella parte che Kant dedica alle idee della
ragione, alle idee pure, quelle che non hanno un contenuto sensibile.
Queste sono di fatto le tre fondamentali
idee della metafisica classica: l’anima (il
soggetto), l’essere (il mondo) e Dio (di cui non si può dire nulla).
Il soggetto, la realtà e Dio. Ricordiamo che la domanda di fondo di Kant è se
la metafisica può essere scienza.
L’Anima non è una esperienza che noi facciamo, è una forma pura a priori. È ciò
che permette l’esperienza. L’anima per Kant non è altro che una attribuzione
indebita alla quale la nostra ragione da una sostanzialità, una immortalità, ma
dell’anima non si ha scienza.
Il Mondo. Del mondo noi abbiamo solo
una esperienza particolare. Abbiamo si una tendenza insopprimibile a voler
capire cosa è il mondo, ma cosa è il mondo non lo sappiamo. Sappiamo solo come
appare a noi, nelle limitate esperienze che facciamo. Quando la ragione da
sola, senza l’esperienza, comincia a ragionare sul mondo non fa scienza, ma
genera le così dette antinomie della ragione. Dà ragione a tesi opposte. I
greci mi dicono che il mondo è sempre esistito e sempre esisterà e mi
convincono, i medioevali mi dicono che il mondo è stato creato da Dio e finirà
e mi convincono, san Tommaso d’Aquino mi convince, Giordano Bruno mi convince, ecc.
Questo perché nessuno porta esperienze, è
la ragione che in modo puro, senza il materiale sensibile, senza i fenomeni,
vuol dire qualcosa di valido per tutti. Di valido per tutti si può però dire
solo dell’apparenza delle cose, non le cose stesse. Nessuno ha la completa e
reale esperienza delle cose del mondo e la
ragione si perde in antinomie, in discorsi che ci convincono
sia quando affermano una cosa che quando ne affermano un’altra (potenza della
parola convincente). Questo perché non abbiamo un ancoraggio a qualcosa di materiale.
Ci manca un assoluto che confermi la validità del nostro ragionamento e della
nostra visione delle cose (Quid est veritas? "Che cosa è la verità?” dirà Ponzio
Pilato - ndr).
Dio. E di Dio
cosa ci dice Kant?. Dio non è un fenomeno, non si può dire nulla su Dio, Dio si
può dire che esiste, come si può dire che non esiste, comunque non è
conoscibile. Quindi come non posso fare scienza con l’anima, non posso fare
scienza con il mondo e non posso fare scienza con Dio.
I fenomeni sono come
una piccola isola in un oceano infinito, dice Kant. Noi dobbiamo accontentarci
di come è fatta questa piccola isola, della nostra piccola terra sicura, perché
tutte le volte che la ragione vuole avventurarsi nel vorticoso mare della
metafisica, cioè andare oltre l’esperienza, si perde, come si perde il
navigante senza bussola e senza poter vedere la stella polare.
“Questo territorio, piccolo come un’isola, che per quanto possa essere
bella rimane un’isoletta in un mare sconfinato. Questo territorio della
conoscenza sensibile è un’isola che la natura ha chiuso in confini immutabili.
È il territorio, della nostra verità. Dobbiamo limitarci alla nostra verità.
Verità circondata da un ampio e tempestoso oceano. È più ciò che non sappiamo
che quello che sappiamo.
Accontentiamoci solo di ciò che possiamo sapere con certezza. In questo
immenso oceano che ci circonda ha la sua sede più propria la parvenza,
l’illusione metafisica e dove innumerevoli banchi di nebbia e ghiacci creano in
ogni istante l’illusione di nuove terre, cioè di qualcosa di più vero,
sull’anima, sul mondo, su Dio, generando
così sempre più nuove e ingannevoli
speranze nel navigante (in noi) che si aggira avido di nuove scoperte. Queste
lo sviano in avventurose imprese che non potrà né condurre a buon fine, né
abbandonare una volta per sempre”. “La metafisica di cui ho il destino di
essere innamorato è una mera illusione”. (da “La critica
della ragion pura”)
E quindi è per lui impossibile una prova di questo genere.
È di fatto la contestazione al pensiero di sant’Anselmo
che invece affermava che Dio è “l’essere di cui non si può pensare nulla di
maggiore” e che quindi esiste nella mente dell’uomo, ma che è assurdo che
esista solo nella mente dell’uomo.
La confutazione kantiana, partendo dal presupposto che il
concetto di essere potesse
avere senso solo se applicato alla realtà empirica e fenomenica, come modo di
operare del nostro intelletto, fu a sua volta accusata di rinchiudersi in un nominalismo astratto, incapace di aprirsi al noumeno e
quindi all'autentica realtà ontologica.
Lo stesso Kant, d'altronde, che già aveva preso posizione
contro gli scettici, accusati di «aborrire ogni stabile edificazione del
suolo», nella Critica
della ragion pratica farà
dell'esistenza di Dio un postulato o
assioma dell'agire etico. A proposito di Dio dirà che è una condizione
moralmente necessaria che dà senso alla legge morale, compensando le ingiustizie e impedendo nel mondo
ultraterreno il ripetersi della contraddizione logica tra la sofferenza del
giusto e la sua aspirazione a vivere secondo ragione.
Condanna della “Ragion
pura”
Il giudice della ragione, cioè la ragione
stessa, in questo processo che abbiamo condotto in questa aula di tribunale che
è la “Critica della ragion pura”, ha emesso una sentenza di condanna senza appello.
Tu ragion pura, che vuoi conoscere in modo puro senza alcun riferimento al
materiale sensibile, sei condannata. Su questo banco degli imputati sono finiti
Aristotele, san Tommaso d’Aquino e tutti i grandi geni che l’umanità ha
conosciuto che ci hanno aiutato a perseguire la Verità vera e a respingere idee
riduzioniste, fuorvianti e liberticide e ad usare la ragione per comprendere la
rivelazione divina non solo con il cuore ma anche con la mente.
Non più Dio che spiega l’uomo e il mondo, ma l’uomo che
spiega il mondo e se stesso.
la Libertà mette in fuga l'ignoranza e il fanatismo (la
religione cattolica)
con lo scettro della Ragione (sormontato da un
Occhio onniveggente!).
Ma la Ragione da Kant è condannata.
LA CRITICA DELLA RAGION PRATICA
L'uomo non solo conosce, ma
anche agisce, ed è in ordine al suo comportamento che si rende necessaria
un'altra sfera di indagine filosofica che stabilisca delle norme di
comportamento: questa è la Critica della ragion pratica. Ne deriva che il
sapere filosofico kantiano si articola attorno a due punti fondamentali: il
fatto della scienza e quello della morale. Le dottrine etiche tradizionali
stabilivano il fondamento delle norme etiche sulla conoscenza, sulla volontà di
Dio, sul sentimento, ecc.; in Kant, invece, la norma morale è frutto della decisione immediata dell'uomo.
Kant sente la necessità di definire una legge morale che valga per tutti, cioè universale, ma che non può essere desunta dalla realtà che è sempre mutevole, ma
dalla Ragione. L’uomo per natura riconosce la legge morale ma la sente come un
imperativo imposto da una autorità esterna a lui e quindi tende a non seguirla.
A questo punto è la ragione che impone
la legge morale, come un dovere. La
legge morale diventa una legge razionale, una metafisica, perché la ragione è
il linguaggio universale dell’uomo. Questo
dovere Kant lo chiama «Imperativo» e ne identifica due tipi:
1. Imperativo ipotetico
2. Imperativo categorico
L’imperativo ipotetico è quello che subordina il comando dell’azione
da compiere al raggiungimento di un determinato scopo: “fai una certa cosa per ottenerne un’altra”, es.: “non forzare
l’andatura all’inizio della gara, ma risparmia energie per la fuga finale”. È
un’indicazione sintetica, ma non universale, vale solo per una certa situazione
precisa.
L’imperativo categorico è quello che vale
di per se. Es.: “non mentire”, non perché la gente non ti creda un bugiardo, ma
perché sei convinto che il mentire sia un male e che la verità sia un bene.
L’imperativo categorico si impone in quanto universale. Essendo poi un
imperativo che non dipende da nessun oggetto, da nessun contenuto, esso si
presenta come sola forma.
“Agisci in modo che la massima della tua azione possa diventare legge
universale”, “Esiste una legge universale, quindi agisci secondo questa legge” (Kant).
L’imperativo categorico non dice “persegui quel fine”, “vai in quella
direzione”, no, agisci in modo tale che la tua legge sia universale, valida per
tutti. Come si tira fuori da questo concetto il Bene? Il Bene è qualcosa che
non precede la legge, ma viene dedotto dalla legge. La legge morale si
configura in quanto bene. “Devi obbedire, perché la legge è il bene”. Bene è ciò che è comandato dalla legge
morale. La legge morale comanda sempre e solo ciò che è bene. Come
riconosciamo questa legge morale? Essa è dentro di noi e non ci può essere
imposta da alcuno (Re, Sovrano, Governante, Legislatore, ecc.). La riconosciamo
attraverso la nostra volontà razionale,
che ci fa riconoscere che la legge morale è un valore di per se. Se la volontà
ragionevole dà la legge da se, vuol dire che non la riceve da altri. È quindi
libera. La libertà è un presupposto fondamentale. La libertà diventa, nella
critica alla ragion pratica, un postulato, cioè un principio che non può essere
spiegato ma che serve per poter spiegare tutto il resto.
L’imperativo morale Ma come si deve
comportare l’uomo perché la sua azione si possa considerare moralmente buona? Ogni
azione va interpretata e voluta dall’uomo come LEGGE UNIVERSALE DI NATURA. L’umanità
va considerata come fine e mai come mezzo.
L’imperativo morale deve essere:
1.
CATEGORICO – deve valere senza condizioni
2.
FORMALE –
deve dire come rendere universale la propria azione
3.
UNIVERSALE – deve valere per tutti
4.
RAZIONALE – deve essere un comando della ragione
5.
AUTONOMO – non deve essere imposto da nessuno, ma solo dalla ragione.
La legge morale comanda sempre e solo ciò che è bene. Il Bene è qualcosa
che viene dedotto dalla legge morale, non la precede.
La legge morale è quindi libera. La libertà diventa un postulato, cioè un
principio che non può essere spiegato ma che serve per poter spiegare tutto il
resto.
I postulati della "ragione pratica"
La vita morale non sarebbe
sufficientemente fondata senza tre postulati che ci inseriscono nel mondo
noumenico precluso alle possibilità della "ragione pura".
1) la libertà (e quindi l'anima)2) l'immortalità dell'anima
3) l'esistenza di Dio
Sono dichiarati irraggiungibili dalla ragion pura e quindi scartati. Kant li recupera per poter giustificare l’universalità delle virtù e la
possibile santità della vita.
1)
La libertà.
La ragione pratica la esige come presupposto. Sarebbe infatti impossibile
l'obbligazione se non esistesse la libertà. E la libertà non è che la
rivelazione di un mondo sovrasensibile, di un noumeno, di una sostanza
spirituale, indipendente dalla legge della causalità. La ragione pratica
conferma con un fatto ciò che poteva solo essere pensato.
2)
L'immortalità dell'anima.
Per capire questo postulato è necessario rifarsi al concetto kantiano di virtù,
di felicità, di sommo bene. La virtù, dice Kant, è il bene supremo; tuttavia,
per essere tale deve essere unita alla felicità. Ora, poiché nel mondo felicità
e infelicità dipendono da cause naturali e non sono commisurate ai meriti e
demeriti, deve esistere un'altra vita dove la felicità sia necessariamente
connessa con la virtù.
3) L'esistenza di Dio. Essa è basata essenzialmente
su due motivi:
-
La corrispondenza della felicità alla virtù. Il mondo fenomenico nel suo
meccanismo causale è cieco alle esigenze spirituali: ci vuole un Essere
sovrasensibile che sia il garante di una giustizia.
-
La stessa vita morale rimanda, per altro verso, a Dio: non nel senso che la
legge morale e la sua obbligatorietà si basi su Dio, ma nel senso che Dio è
basato, cioè è rivelato, dalla legge morale. Non dobbiamo considerare certe
azioni come doverose perché sono precetti di Dio, ma dobbiamo considerarle come
precetti di Dio perché sono interiormente doverose.
La domanda di partenza
della Critica della Ragion pratica era: la Ragione pratica, può riuscire a formare
una morale che sia svincolata dai sensi e dall’effimero e quindi universale? Questa volta la risposta è SI.
La
religione
Bisogna
anzitutto ricordare che riguardo alla religione Kant inverte i termini
tradizionali: è la religione che si basa sulla morale e non viceversa. La
religione è infatti la legge che è in noi, in quanto riceve autorità da un
Legislatore e Giudice: è la morale applicata alla conoscenza di Dio. Se la
religione non è integrata dalla morale, essa non è che implorazione dei favori
celesti. Kant tende quindi ad identificare religione e morale, ad assorbire la
prima nella seconda. Tutti gli uomini di buona volontà, cioè tutti coloro che
si adoperano in questa opera di liberazione, formano la comunità invisibile
degli spiriti, cioè la "Chiesa invisibile". Questa è la vera
religione, la religione naturale, "fede religiosa pura". Tuttavia
Kant ammette anche una religione rivelata, una "Chiesa visibile": gli
uomini concretamente considerati hanno bisogno di una voce e di una
organizzazione esterne che impongano loro dei doveri. Qual è la differenza tra
religione naturale e religione rivelata? In quella naturale riconosco qualcosa
prima come mio dovere e poi come comando divino, in quella rivelata riconosco
qualcosa prima come comando divino e poi come mio dovere. Se il cristianesimo è
per Kant la religione superiore, lo è solo perché può essere ricondotto
completamente alla pura morale.
LA CRITICA
DEL GIUDIZIO
Nella Critica del Giudizio Kant si
interessa del BELLO e del SUBLIME. Bello: è ciò che piace senza
interesse e senza un concetto preesistente. Il Bello è un piacere del tutto disinteressato e indipendente
da un giudizio morale. Sublime: nasce dal sentimento provato dall’uomo
davanti alla grandezza e alla potenza della natura di cui si sente la parte più
importante, ma anche la più impotente.
Il giudizio teleologico.
Gli esseri
viventi (i vegetali, gli animali e l’uomo)
operano come se avessero un proprio
progetto interno in vista di un fine. Il concetto di fine (= teleos) appartiene alla ragione. Il giudizio teleologico esprime
l’ordine finale, lo scopo delle cose, e perciò esprime un concetto della
ragione e conferma il principio di finalità.
“Cosa sia in sé la
natura non lo sappiamo, perché la conosciamo solo fenomenicamente; tuttavia
non possiamo fare a meno di considerarla come finalisticamente organizzata: per la particolare struttura della
mia facoltà conoscitiva io non posso giudicare della possibilità di quelle cose
[naturali] e della loro produzione se non pensando ad una causa che agisce
intenzionalmente. Poi, una Intelligenza ordinatrice può servirsi di leggi
meccaniche per realizzare il suo ordine. L’intelligenza umana che forgia la
natura con le sue leggi, senza esaurirne tutti i particolari, sarebbe un
riflesso della Intelligenza che ha creato la natura. La considerazione
teleologica ha un uso regolativo, euristico, ossia valido per ricercare le
leggi particolari della natura".
Kant e la filosofia moderna
Il pensiero di Kant
rappresenta il culmine della riflessione avviatasi nel Settecento dopo la
rivoluzione scientifica, che aveva visto la filosofia moderna dividersi in due
grandi correnti: l’empirismo, secondo il quale la
conoscenza valida può derivare soltanto dall’esperienza, e il razionalismo, secondo il quale
soltanto la ragione può conferire universalità e necessità al sapere umano. Per
Kant tali impostazioni conducevano in due vicoli ciechi: il razionalismo,
pretendendo di fare a meno dell’esperienza, portava al dogmatismo, ossia ad accettare
una tesi non in base a una dimostrazione ma in maniera acritica; l’empirismo,
pretendendo di limitarsi alla sola esperienza, portava invece allo scetticismo, come dimostrava la
filosofia di Hume.
Volendo evitare
entrambi questi esiti, Kant riprende il problema critico sollevato da Locke – ossia l’indagine sugli ambiti e sui limiti della conoscenza
umana – e lo affronta in modo assai più radicale, sino a farne il problema
filosofico per eccellenza (e infatti la filosofia di Kant è detta criticismo). Egli non intende
limitarsi, come aveva fatto il filosofo inglese, a descrivere ciò che di fatto la ragione umana conosce o non conosce, ma vuole individuare le
condizioni e i fondamenti della conoscenza, stabilendo una volta per tutte ciò
che la ragione umana di diritto può o non può conoscere.
Applicata al sapere
del suo tempo, tale indagine doveva rispondere a due domande. Nel caso della
scienza newtoniana – sulla cui validità Kant non aveva dubbi – si trattava di
stabilire come fosse possibile tale scienza, ossia cosa le permettesse, anche
quando aveva a che fare con l’esperienza, di enunciare leggi dotate di
universalità e necessità. Nel caso della metafisica tradizionale – il cui carattere scientifico era dubbio, visto
che da secoli era un campo di battaglia tra opinioni opposte – si trattava
invece di stabilire se potesse essere una scienza, o no. (Estratto da “Kant spiegato ai ragazzi” di Stefano De
Luca Enciclopedia dei ragazzi (2006)
Illuminismo e
massoneria
Reinhart Koselleck
|
Kant versus san Matteo
… uno solo è il vostro
Maestro e voi siete tutti fratelli. Non vi fate chiamare guide, perché una
sola è la vostra Guida, il Cristo: Via, Verità e Vita.
[Mt 23; 10]
Il Cardinale Pie confuta il laicismo
Secondo
il card. Eduard Pie, vescovo di Poitiers (1815 – 1880), fondatore
della congregazione diocesana degli oblati di S. Ilario, l’errore fondamentale
dell’età moderna è il “naturalismo”. Esso pretende che l’uomo viva chiuso nella
sfera dell’ordine naturale, prescindendo
dal progetto soprannaturale ossia dell’azione provvidenziale di Dio, da quella
redentrice di Cristo e da quella santificatrice della Chiesa; questa immanenza
chiusa al trascendente la chiama “umanesimo”. In pratica il “naturalismo” tenta
di ritorcere i doni di Dio contro Dio stesso, ponendo le capacità spirituali e
materiali al servizio non della gloria divina, bensì alla vanità umana. Ma in
tal modo esso “finisce col negare le basi
stesse della natura razionale e ogni regola del giusto e dell’ingiusto, quindi
a rovesciare le fondamenta della società”.
Nella vita sociale, il naturalismo si realizza
col “laicismo”, che tenta di scristianizzare politica , diritto ed economia. Il
cardinale ammonì che, “quando l’errore si incarna nelle leggi e nelle regole
amministrative, penetra gli animi ad una profondità dalla quale diventa quasi
impossibile estirparlo”; come si suol dire, “la legge di oggi diverrà il costume
di domani” (e l’etica del dopodomani, cioè di oggi).
Ai fedeli tiepidi e timidi, il laicismo propone
il falso ideale moderato di una società “più umana” (mascherata da diritti
civili senza doveri), ossia non cristiana, né anticristiana, ma “neutrale”. (Dante
questi cristiani li mette nel girone degli “ignavi” disprezzati anche dai
dannati e che Gesù, nel giudizio finale, dirà loro “non vi conosco”).
Dalla Rivoluzione Francese in poi il laicismo
tenta di far rivoltare contro la Chiesa anche gli Stati, per organizzare, con
il solerte aiuto della Massoneria, un “nuovo
ordine mondiale” ateo, capace di rompere ogni dipendenza da Cristo
riducendolo a un Re esiliato dalla terra e relegato in Cielo. Il card. Pie
previde che questo avrebbe spinto i popoli, prima verso il compromesso, poi
verso l’indifferenza ed infine verso l’apostasia, l’immoralità (mascherata oggi
da “buonismo” e “tolleranza”), perdendo
la coscienza ci ciò che sia bene e di ciò che sia male e scivolando nel caos
(nel quale sembra ormai di esserci dentro davvero). Egli combatté soprattutto
il “liberalismo” che coinvolge il “cattolicesimo liberale” in quanto “eresia
politica” infiltratasi nella Chiesa (anticipazione del fumo nel tempio di Paolo VI) per ingenuità, per convenienza, per
malizia, e ammonì che “il diavolo si dà
da fare per suscitare cattolici moderati”
(oggi si chiamano “cattolici adulti”, cioè liberi dalle indicazioni del Papa e
del Magistero della Chiesa).
Benedetto XVI e la “tiepidezza”
"...il
danno per la Chiesa non viene dai suoi avversari, ma dai cristiani tiepidi".
"Cari amici, Cristo non si interessa tanto a quante volte nella vita vacilliamo e cadiamo, bensì a quante volte noi, con il suo aiuto, ci rialziamo. Non esige azioni straordinarie, ma vuole che la sua luce splenda in voi. Non vi chiama perché siete buoni e perfetti, ma perché Egli è buono e vuole rendervi suoi amici. Sì, voi siete la luce del mondo, perché Gesù è la vostra luce. Voi siete cristiani – non perché realizzate cose particolari e straordinarie – bensì perché Egli, Cristo, è la vostra, nostra vita. Voi siete santi, noi siamo santi, se lasciamo operare la sua Grazia in noi."
"Sappiate osare di essere santi ardenti, nei cui occhi e cuori brilla l’amore di Cristo e che, in questo modo, portano luce al mondo. Io confido che voi e tanti altri giovani qui in Germania siate fiaccole di speranza, che non restano nascoste. “Voi siete la luce del mondo”. “Dove c’è Dio, là c’è futuro!”".
"Cari amici, Cristo non si interessa tanto a quante volte nella vita vacilliamo e cadiamo, bensì a quante volte noi, con il suo aiuto, ci rialziamo. Non esige azioni straordinarie, ma vuole che la sua luce splenda in voi. Non vi chiama perché siete buoni e perfetti, ma perché Egli è buono e vuole rendervi suoi amici. Sì, voi siete la luce del mondo, perché Gesù è la vostra luce. Voi siete cristiani – non perché realizzate cose particolari e straordinarie – bensì perché Egli, Cristo, è la vostra, nostra vita. Voi siete santi, noi siamo santi, se lasciamo operare la sua Grazia in noi."
"Sappiate osare di essere santi ardenti, nei cui occhi e cuori brilla l’amore di Cristo e che, in questo modo, portano luce al mondo. Io confido che voi e tanti altri giovani qui in Germania siate fiaccole di speranza, che non restano nascoste. “Voi siete la luce del mondo”. “Dove c’è Dio, là c’è futuro!”".
"Ci
sono teologi che, di fronte a tutte le cose terribili che avvengono oggi nel
mondo, dicono che Dio non possa essere affatto onnipotente. Di fronte a questo,
noi professiamo Dio, l’Onnipotente, il Creatore del cielo e della terra. E
noi siamo lieti e riconoscenti che Egli sia onnipotente. Ma dobbiamo, al
contempo, renderci conto che Egli esercita il suo potere in maniera diversa da
come noi uomini siamo soliti fare. Egli stesso ha posto un limite al
suo potere, riconoscendo la libertà delle sue creature. Noi siamo
lieti e riconoscenti per il dono della libertà. Tuttavia, quando vediamo le
cose tremende, che a causa di essa avvengono, ci spaventiamo. Fidiamoci
di Dio, il cui potere si manifesta soprattutto nella misericordia e nel perdono."
"Dio
rispetta la nostra libertà. Egli non ci costringe. Egli attende il nostro “sì”
e lo mendica, per così dire."
"La
Chiesa in Germania ha molte istituzioni sociali e caritative, nelle quali
l’amore per il prossimo viene esercitato in una forma anche socialmente
efficace e fino ai confini della terra. A tutti coloro che si impegnano nella
Caritas tedesca o in altre organizzazioni, oppure che mettono generosamente a
disposizione il loro tempo e le loro forze per incarichi di volontariato nella
Chiesa, vorrei esprimere, in questo momento, la mia gratitudine e il mio
apprezzamento. Tale servizio richiede innanzitutto una competenza oggettiva e
professionale. Ma nello spirito dell’insegnamento di Gesù ci vuole di più: il
cuore aperto, che si lascia toccare dall’amore di Cristo, e così dà al prossimo,
che ha bisogno di noi, più che un servizio tecnico: l’amore, in cui
all’altro si rende visibile il Dio che ama, Cristo. Allora interroghiamoci,
anche a partire dal Vangelo di oggi: come è il mio rapporto personale con Dio,
nella preghiera, nella partecipazione alla Messa domenicale,
nell’approfondimento della fede mediante la meditazione della Sacra Scrittura e
lo studio del Catechismo della Chiesa Cattolica? Cari amici,il rinnovamento
della Chiesa, in ultima analisi, può realizzarsi soltanto attraverso la
disponibilità alla conversione e attraverso una fede rinnovata."
"Cari
amici, con Paolo oso esortarvi: rendete piena la mia gioia con l’essere
saldamente uniti in Cristo! La Chiesa in Germania supererà le grandi
sfide del presente e del futuro e rimarrà lievito nella società, se i
sacerdoti, le persone consacrate e i laici credenti in Cristo, in fedeltà alla
propria vocazione specifica, collaborano in unità; se le parrocchie, le
comunità e i movimenti si sostengono e si arricchiscono a vicenda; se i
battezzati e cresimati, in unione con il Vescovo, tengono alta la fiaccola di
una fede inalterata e da essa lasciano illuminare le loro ricche conoscenze e
capacità. La Chiesa in Germania continuerà ad essere una benedizione per la
comunità cattolica mondiale, se rimane fedelmente unita con i Successori di san
Pietro e degli Apostoli, se cura in molteplici modi la collaborazione con i
Paesi di missione e si lascia anche “contagiare” in questo dalla gioia nella
fede delle giovani Chiese."
"In Germania la Chiesa è organizzata in modo ottimo. Ma, dietro le strutture, vi si trova anche la relativa forza spirituale, la forza della fede nel Dio vivente? Sinceramente dobbiamo però dire che c’è un’eccedenza delle strutture rispetto allo Spirito. Aggiungo: La vera crisi della Chiesa nel mondo occidentale è una crisi di fede. Se non arriveremo ad un vero rinnovamento nella fede, tutta la riforma strutturale resterà inefficace."
"In Germania la Chiesa è organizzata in modo ottimo. Ma, dietro le strutture, vi si trova anche la relativa forza spirituale, la forza della fede nel Dio vivente? Sinceramente dobbiamo però dire che c’è un’eccedenza delle strutture rispetto allo Spirito. Aggiungo: La vera crisi della Chiesa nel mondo occidentale è una crisi di fede. Se non arriveremo ad un vero rinnovamento nella fede, tutta la riforma strutturale resterà inefficace."
(Dall’incontro del SANTO PADRE BENEDETTO XVI con la Chiesa di Germania il 24 e il 25 settembre 2011 a Freiburg im Breisgau)
La Rivoluzione moderna
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