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La filosofia moderna inizia con l'Umanesimo (XIV secolo circa), cioè
con la rivalutazione dell'uomo e della sua esperienza eminentemente terrena, e termina
con la figura di Immanuel Kant (1724-1804) che aprirà la
strada al Romanticismo e alla filosofia contemporanea. Il tratto distintivo
di quest'epoca è un accentuato antropocentrismo (Concezione
secondo cui tutto ciò che è nell'universo è stato creato per l'uomo e per i
suoi bisogni, per cui l'uomo si viene a trovare al centro dell'universo e può
considerarsi misura di tutte le cose) a questo si unisce un costante
riferimento a valori assoluti, fino a quando in alcuni pensatori, soprattutto
verso la fine del XVIII secolo con l'Illuminismo, si avrà
l'abbandono di un tale connubio, che porterà all'inizio della post-modernità
tipica del positivismo e dell'età odierna.
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La filosofia
rinascimentale vede una rinascita del neoplatonismo e del
pensiero di Plotino, identificato
allora interamente con quello di Platone e alcuni concetti propri
dell'aristotelismo.
Tra gli esponenti di
spicco del neoplatonismo vi fu in Germania Nicola Cusano (1401-1464), cardinale, teologo, filosofo, umanista, giurista, matematico e astronomo tedesco. Questi formulò una
metafisica basata su quella che era stata definita teologia negativa nelle
opere risalenti al V secolo attribuite
a Pseudo-Dionigi l'Areopagita, affermando con Socrate
che vero sapiente è colui che, sapendo di non sapere, possiede perciò una dotta
ignoranza: da un lato riconosce che Dio è al di là di tutto, persino del
pensiero, ed è perciò irraggiungibile dalla filosofia; dall'altro però Dio va
ammesso quantomeno sul piano dell'essere, perché è la meta a cui la ragione
aspira. La filosofia deve culminare così nella religione. Dio pertanto è il fondamento della razionalità, ma di Lui
possiamo avere solo una conoscenza intuitiva perché la
Verità non è qualcosa da possedere ma da cui si viene posseduti. Il cardinale Cusano è
anche noto perché fu il primo a studiare la cicloide e ad utilizzare lenti concave per la
correzione della miopia.
In Italia abbiamo Marsilio Ficino e Pico della Mirandola. Ficino concepì il platonismo come una
vera e propria preparazione alla fede cristiana, intitolando la sua opera più
celebre Theologia platonica. Mentre Pico della Mirandola conciliò
il platonismo con l'aristotelismo,
esaltando il valore dell'uomo come l'unico essere vivente a cui Dio abbia
concesso il dono della libertà.
In un tale rinnovato
clima culturale riprese vigore una disciplina emblematica ed ermetica di questo
periodo: la magia e l'alchimia,
che funsero per certi aspetti da apripista alla chimica e alla scienza
moderna. Cultore dell'alchimia fu individuato, nell’800, in pieno
illuminismo, Giordano
Bruno, che invece fu un cultore della magia per il controllo
della mente umana, senza alcun riferimento razionale e scientifico, ma solo intuitivo
(e che non ebbe nulla a che fare con l’alchimia) e che introdusse il concetto
di infinito in
rottura con la visione geocentrica dell'universo, anche questo senza nessun
supporto scientifico e razionale, ma solo intuitivo.
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Le radici del pensiero moderno nascono con la rivoluzione in ambito
religioso. La modernità è una rottura rispetto allo sviluppo e all’evoluzione
culturale, religiosa e sociale precedente, prodotto della filosofia
classica greca e del suo matrimonio con la filosofia cristiana medioevale. A
metà 1.400, tutta l’Europa aveva un’unica religione (cristiana cattolica) e di
conseguenza un’unica cultura. Un secolo dopo l’Europa è completamente diversa.
Situazione tipica del passaggio di una vera e propria rivoluzione, che butta
via tutto il passato ed erge un nuovo modo di essere, cioè una nuova cultura in
sostituzione totale della precedente. La causa di tutto questo la si può
identificare in un ristretto gruppo di protagonisti che per il ruolo che hanno
svolto e le azioni conseguenti al loro pensiero hanno prodotto un vero e
proprio capovolgimento in campo religioso.
1. Martin Lutero (1483-1546),
monaco agostiniano che opera in Germania,
2. Giovanni Calvino (1509-1561),
teologo francese che opera a Ginevra,
3. Filippo Melantone (1497-1560),
teologo tedesco amico di Lutero,
Per capire cosa hanno fatto e le relative conseguenze culturali ed esistenziali dobbiamo analizzare le condizioni e le situazioni storiche culturali in cui si è svolta la loro attività riformatrice o meglio rivoluzionaria, in campo religioso, perché non hanno riportato la religione alla purezza iniziale (sarebbe stata una Riforma), ma l’hanno sostituita con un’altra di loro invenzione (quindi una Rivoluzione). Analizziamo le cause che hanno contribuito a creare l’”abitat” (economico, culturale, sociale, religioso) adatto perché il pensiero e le azioni dei nostri protagonisti facessero da miccia per far esplodere la rivoluzione.
Una prima causa è la causa religiosa. Bisogno diffuso di una
maggiore autenticità religiosa. C’è un fermento di popolo che invoca un ritorno
alla povertà e purezza evangelica (movimenti pauperistici) all’interno del
tessuto religioso dell’epoca e quindi nella stessa Chiesa e nelle sue
istituzioni. Ma anche movimenti che richiedono una riforma moralizzatrice che
recuperasse i valori del cristianesimo soffocati dalla polvere delle lotte per
il potere e per il governo dei popoli, la ricerca di privilegi e la presenza di
costumi degenerati e corrotti anche nello stesso clero.
Come causa religiosa c’è anche la sempre più evidente disgregazione
della teologia scolastica, cioè praticamente l’abbandono di quanto
costruito dalla scolastica. Non si studia più sulle “summe” originali che hanno
portato la scolastica ai suoi passati splendori, come: le sentenze
dell’italiano Pietro Lombardo, vescovo di Parigi, testo base di
Teologia, la summa teologica di san Tommaso e la sua “contra
gentiles”, l'Itinerarium mentis in Deum” di san Bonaventura, le opere del Cardinale
francese il Beato Ugo di San Vittore con il
suo “De sacramentis christianae fidei”, dove sviluppò anche la chiave per la comprensione
delle sacre scritture distinguendo tra il significato letterale (historia)
e il senso profondo oltre le righe (allegoria), ecc.
Si studia sui sunti dei sunti di altri, cioè su scritti filtrati e
rifiltrati da successivi studiosi che di fatto ne impoveriscono lo spirito e la
carica della scoperta originale. La portata profonda e culturale di vero
interesse per i temi della teologia va scemando, ci si perde in questioni
marginali che non entusiasmano più.
Ci sono poi le cause politiche che ci mostrano che
l’idea della realtà, cioè dell’Europa fatta dai popoli e dalle nazioni si sta
sciogliendo in favore dell’avvento degli stati nazionali che sono di fatto
degli stati assoluti. Questi ultimi sono il risultato più evidente del protestantesimo
che concentra il potere temporale e il potere spirituale nella persona del re,
cosa che rafforza il suo potere temporale e mette in secondo piano la
spiritualità dei sudditi che dipende ora da un Vescovo che a sua volta è
suddito del re. Il capo della Chiesa nazionale non può più ora giudicare
l’operato del monarca e autorizzare i suoi sudditi a disobbedirgli in presenza
di suoi comportamenti contrari alla legge divina, come invece il Capo della
Chiesa Cattolica può e deve fare anche a costo del martirio.
Queste le principali cause che spiegano come questa rivolta (fatta passare
come riforma) abbia attecchito, mentre le altre precedenti, avevano comunque
trovato un terreno omogeneo e unito da una comune cultura che riusciva ancora a
sopportare e gestire comportamenti fuorvianti.
Si è avuta per molto
tempo l'abitudine di considerare i lunghi secoli del "medioevo", come
secoli di ristagno intellettuale. Le eresie individuali o eresie collettive
furono non soltanto manifestazioni dello straordinario fermento intellettuale e
sociale che ha segnato quel periodo, ma anche proteste incessantemente
rinnovate contro il regime feudale e clericale del tempo. Le eresie, senza
dubbio, pretendono di collocarsi unicamente e principalmente sul piano teologico
o religioso. Ma in realtà esse rientrano nell'anti-feudalesimo,
nell'anti-clericalismo, dei borghesi delle città che aspiravano a maggiore
libertà e indipendenza. Esistevano già allora gli stessi problemi sociali che
si pongono ai nostri giorni, ma si traducevano nel linguaggio del tempo, che
era il linguaggio teologico. L'emancipazione comunale, in specie, fu in stretta
relazione con le eresie medioevali. I conflitti sociali fornirono in ogni caso
alle eresie un ambiente favorevole per il loro sviluppo. E questo è un fatto da
non perdere di vista.
I moti pauperistici e apostolici del basso Medioevo (povertà evangelica nell'ambito della chiesa romana e uguaglianza sociale nell'ambito della società) non ebbero il successo sperato in quanto predicavano gli ideali del cristianesimo primitivo in un contesto geo-politico caratterizzato sempre più dallo sviluppo commerciale della borghesia, la quale, seppur ostile alla Chiesa, li combatteva per salvaguardare i propri privilegi e interessi.
I primi a denunciare
l’allontanamento avvenuto da parte delle istituzioni religiose, da quelli che
erano i valori morali e spirituali del Cristianesimo, e a ridare nuova dignità,
furono dei colti e pii intellettuali come Pier Damiani e Anselmo d’Aosta.
Monasteri di grande fama, come l’abbazia di Cluny, le congregazioni di
Camaldoli e di Vallombrosa, acquistarono enorme peso religioso e politico.
Tuttavia le esigenze fin qui emerse, rimasero vive e inappagate finché
sfociarono nel XIII e XIV secolo in nuovi e vasti movimenti riformatori, che in
molti casi divennero eresie vere e proprie. Il primo caso è quello degli Umiliati,
diffuso soprattutto nella Lombardia, di ispirazione evangelica e pauperistica,
che trovava largo ascolto tra gli artigiani. Il secondo è quello dei Catari (o
Albigesi) che vale la pena di approfondire per il peso che ebbero nella
rivoluzione della fede.
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Già
nell’XI e XII secolo si formano diversi movimenti che nascono dal basso
e che evidenziano il distacco che si era formato fra il popolo e la gerarchia
ecclesiastica. In effetti in diversi luoghi il clero viveva distante dalla
gente e spesso arroccato sulla difesa dei propri privilegi e dei propri
interessi politici e materiali scatenando risentimenti e inaffidabilità dei
loro insegnamenti evangelici. Di contro sorsero movimenti eretici giustificati
dalla situazione, ma decisamente contrari alla verità evangeliche come i più
famosi Catari. I Catari si diffusero nel basso medioevo, e in particolare tra il 1150 e il 1250, un'eresia dualista che si fondava essenzialmente sul rapporto
oppositivo tra materia e spirito. Appoggiandosi ad alcuni passi del Vangelo, in
particolare quelli in cui Gesù sottolinea l'irriducibile opposizione tra
il Suo regno celeste e il regno di questo mondo, i Catari rifiutavano in
toto i beni materiali e tutte le espressioni della carne. Professavano
un dualismo in base al quale il re d'amore (Dio) e il re del male (Rex mundi) rivaleggiavano a
pari dignità per il dominio delle anime umane. La propaganda catara ebbe una
forte presa tra i ceti più umili. Essi sfruttarono il clima di delusione
seguito alla riforma gregoriana, che aveva mancato di riformare la Chiesa secondo la
povertà predicata da Cristo e ritenuta tipica del cristianesimo delle origini. Il loro modo di vivere era
encomiabile, fondato sull'esercizio di povertà, umiltà e carità. Era questo il
fondamento della facile diffusione dell'eresia, poiché era più vicino alla
povera gente di quanto non lo fossero gli alti prelati con le loro sottili
discussioni teologiche.
I Catari
consideravano il mondo terreno e tutte le creazioni dell’uomo, tra cui in primo
luogo la Chiesa, come opere del male, contro cui bisognava assumere un
atteggiamento di antitesi totale anche violenta. Giungevano persino a rifiutare
il matrimonio, per non avere figli, e a giustificare l’annullamento del corpo
mediante il suicidio con il digiuno fino alla morte (Endura) . Il
Catarismo si diffuse nell’Italia del Nord, in Provenza e nella Linguadoca,
penetrando poi anche in tutte le altre classi sociali e divenendo sempre più
pericoloso, per la sua estensione e per la radicale condanna e odio per il
Cattolicesimo e per le autorità costituite.
I Catari
crearono una propria Chiesa con un preciso ordinamento gerarchico e pratiche
religiose definite. I Catari vedevano l’anima come originata da una divinità
buona, il corpo da una cattiva. L’unico modo di liberarsi da questa condanna è
la lotta senza quartiere al corpo. Rapporti sessuali liberi, ma non per
procreare, l’aborto come liberazione della donna dal male che cresce in lei.
Artigiani, commercianti e usurai non erano tenuti all’onestà per dispregio
della morale cattolica. Tutto quello che è materia di fede predicato dalla
Chiesa è male e va contrastato e trasformato in un odio mortale contro i
cattolici.
I
Catari avevano costituito il loro principale centro organizzativo ad Albi, in
Francia Meridionale. Al movimento cataro si associarono poi parecchi nobili che
utilizzarono la lotta alla Chiesa per appropriarsi dei suoi beni approfittando
della devastazione e profanazione delle Chiese e Conventi (perfino delle tombe
ad esse connesse) e dell’uccisione indiscriminata di prelati, preti, religiosi
e religiose da parte di bande di catari.
La
Chiesa cattolica tentò ripetutamente di riconvertire i seguaci di tale dottrina
con l’aiuto dei Francescani e dei Domenicani molto stimati dal popolo. Essi
cercarono di recuperare alcuni dei loro valori veramente evangelici, ma
cercando di correggere il loro disprezzo per il corpo e la Chiesa e tutto ciò
che non era da loro considerato spirituale. È rimasto famoso l’intervento di
sant’Antonio da Padova (1195-1231), francescano, chiamato a predicare il
Vangelo a Rimini, città all’epoca piena di catari. Gli eretici si rifiutarono
di ascoltarlo, allora lui predicò ai pesci in riva al mare (gli animali erano
considerati dai catari esseri impuri). I pesci miracolosamente accorrono alle
parole di Antonio, e, stretti uno all’altro, manifestavano la loro approvazione
fremendo e muovendo le acque come se battessero le mani.
Vi fu infatti un lungo periodo di
sopportazione di questa eresia perché, in particolare Bernardo
di Chiaravalle guardava a loro con
interesse: sebbene la loro predicazione non fosse accettabile da parte della
Chiesa. Il modo di vivere dei meno violenti era encomiabile, fondato
sull'esercizio di povertà, umiltà e carità, era più vicino alla povera gente di
quanto non lo fossero gli alti prelati con le loro sottili discussioni
teologiche e il loro lusso.
Fu proprio per contenere l'estendersi del fenomeno cataro che, dopo
infruttuosi tentativi da parte di alcuni legati papali, San Domenico concepì un nuovo
tipo di predicazione: per combattere i Càtari bisognava usare i loro stessi
principii, vale a dire, oltre alla predicazione, operare in povertà, umiltà e
carità.
Cosa che fece lo stesso San Francesco (vero riformatore,
con San Domenico, della Chiesa Cattolica). Questi interventi da parte di Santi
come San Bernardo, San Francesco e san Domenico di Cuzman e di molti altri, non
risolsero però l’eresia.
Il papa Innocenzo III (1160-1216), bandì allora contro di essi nel 1208 una vera e propria crociata che ebbe il suo sanguinoso epilogo
nel maggio 1243 con l’assedio di Montségur, deciso dopo il massacro di due
inquisitori domenicani e del loro seguito. Si inserisce qui l’ennesimo episodio
della “leggenda nera” del medioevo che attribuisce all’abate cistercense Arnaud
Amaury, responsabile politico della crociata contro gli albigesi, la frase: “Uccideteli
tutti (eretici e cattolici), Dio riconoscerà i suoi”.
Nonostante le serie indagini sui documenti storici relativi non risulta sia mai
stata pronunciata, ma continua ad essere invece citata da chi ancora oggi si
ostina ad alimentare la “leggenda nera” dei “secoli bui”.
Per
debellare l'eresia catara il papa Gregorio IX aveva poi creato
nel 1231 il Tribunale dell'Inquisizione, recuperando la tradizione giuridica romana per garantire una corretta
difesa dell’inquisito ed un corretta modalità di intervento dell’inquisitore.
Diversi storici vedono qui la nascita del processo moderno. Chiamò a
svolgere questo ruolo i Domenicani e i Francescani dei quali aveva grande stima. A Gregorio IX
infatti si devono anche i processi di canonizzazione di san Francesco (1228), di san Antonio da Padova (1232), di san Domenico di Cuzman (1234) e di Elisabetta d'Ungheria (1235). (Vedi di Rino Cammilleri “l’Inquisizione” – i Quaderni
del Timone).
La storia di questa eresia come di altre di questo periodo ovviamente è
molto più complessa per l’intreccio anche di lotte politiche fra i vari poteri
e interessi, sia spirituali che temporali della Chiesa, della borghesia, come
dei principi e dei regnanti che approfittavano dell’assalto ai beni della
Chiesa per impossessarsene e aumentare il loro potere. In questo periodo
comunque tutto è condizionato dalla fede e dalla religione. Le eresie qui
nascono da un vero bisogno di purificazione e di recupero dei valori originali,
non sono contro la religione o il papa, ma contro inquinamenti e sovrastrutture
della religione.
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San Francesco d’Assisi appare in questa situazione con la missione di ricucire lo strappo fra popolo e Chiesa gerarchica e combattere le eresie derivate da questo rapporto sbagliato che si era creato e che metteva in crisi i cristiani e la loro fede. Francesco con gli Albigesi condivise la povertà apostolica, la predicazione itinerante, la condotta irreprensibile, il ruolo attivo dei laici. Francesco con l’esempio innanzi tutto e con la predicazione recupera la povertà evangelica riconciliandola con la Chiesa e la sua Rivelazione divina senza cadere nella demonizzazione del corpo e della materia che è pur sempre creatura di Dio.
Francesco propone una gioiosa vita spirituale, una totale
sottomissione alla Chiesa e il rispetto incondizionato alla dottrina cattolica
e questo di fatto è una vera e propria riforma interna della Chiesa che
riacquista la sua credibilità e ritorna ad essere guida e riferimento. Che
tipo di spiritualità ne esce con San Francesco? Povertà francescana. Povertà
evangelica. Spoliazione francescana. Cioè la totale subordinazione di tutte le
creature all’Assoluto che è Dio. Tutte le creature, in quanto creature sono
Umili e in quanto umili sono bisognose di Dio. La creatura è povera perché ha
bisogno della salvezza di Dio. Ne deriva quindi il concetto di fraternità. Se
ci sentiamo creature di un unico Dio ci sentiamo anche fratelli. In questa
fraternità francescana si riconosce che in ogni umile creatura si rispecchia
Dio. Ogni creatura porta
con sé un'orma, un vestigium del Dio che l'ha creata. Con san
Francesco, non si sale dimostrativamente verso Dio, perché Dio sta li, già
nelle sue creature, nelle sue creature più umili. Sono queste l’immagine di
Dio. Quindi il cuore della questione non è più nell’intelletto, ma nella
volontà.
LA RIVOLUZIONE DI LUTERO
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Questione morale o questione dottrinale? Su questo argomento i testi di
storia della filosofia e della religione che vanno per la maggiore e che i
nostri figli studiano a scuola e nelle università, ci presentano, per
esempio, la riforma protestante come una logica conseguenza del degrado del Clero,
estremamente ignorante e impreparato, nonché corrotto e con comportamenti
amorali, per non parlare poi delle più alte cariche ecclesiastiche, della loro
eccessiva invadenza nella politica e nella gestione del potere temporale,
nonché da condotte morali deprecabili, dal lusso, da un intellettualismo che
teneva lontano il popolo, ecc.
Troviamo
invece degli scritti di Martin Lutero, ancora monaco agostiniano, che ci
parlano del suo prolungato soggiorno a Roma, due anni e mezzo prima della sua
rivoluzione religiosa, nei quali descrive ai suoi amici di quanto è rimasto
edificato dalla Roma dei papi, da come vive il Clero, da come è la corte
pontificia, dalla bellezza delle sue liturgie, dall’organizzazione delle sue
opere caritative in favore dei poveri e perfino dei “matti” (nascono in questo
periodo i primi manicomi) oltre ai ricoveri per i malati (i futuri ospedali).
Questo ci fa capire che la rivolta di Lutero non è una questione morale, ma una
vera e propria questione dottrinale, sui contenuti della fede.
C’è qui un
passaggio fondamentale che caratterizza da subito il pensiero moderno, cioè il
passaggio da una idea comunitaria, da una idea di popolo della religione ad una
idea prettamente individualistica e di conseguenza emotiva della religione.
Alla fine del medioevo e all’inizio dell’età moderna l’uomo si scopre
preoccupato e nello stesso tempo desideroso di guardare nell’abisso della sua
interiorità e ne rimane terrorizzato. Rimane terrorizzato dal male che legge
dentro di se. Un male che non trova più risposte nella teologia del momento. Le
risposte della religione non lo soddisfano più. Ha bisogno di sentirsi
ulteriormente rassicurato, rassicurato dal perdono di Dio e quindi sentirsi
comunque salvo nonostante il riconoscersi peccatore. Ha un gran bisogno di
sentirsi rassicurato su questo.
Ha bisogno
di una certezza che però non è più oggettiva, extramentale, cioè che c’è
comunque al di fuori di noi stessi anche quando non esistiamo, quella, per
intenderci, data dalla dottrina della Chiesa, dal suo catechismo, dalla fede
professata. Il veicolo di questa salvezza e certezza era data dal sentirsi in
amicizia con Dio e di essere da Lui salvato perché appartenente ad un popolo,
al Suo popolo, cosa che si sperimenta attraverso la Liturgia, atto comunitario per
eccellenza.
L’uomo alle
soglie del modernismo questa certezza, questa salvezza, questo essere popolo di
Dio non lo sente più, non lo soddisfa più. Vuole essere garantito di questa
salvezza in modo più soggettivo. Si deve cioè sentire, emotivamente sentire,
che ha la salvezza assicurata. Una fede cioè che non viene da una appartenenza
alla Chiesa, cioè al popolo di Dio, con una fede che condivide con altri, ma da
qualcosa che sente dentro di se, tutta sua, individuale, interiore, soggettiva
e quindi emotiva. Il sentimento della propria salvezza. Non gli basta più
appartenere alla Chiesa, non gli basta più ricevere la Grazia attraverso i
sacramenti, non gli basta più sentirsi appartenere al popolo dei salvati.
La domanda
ora è questa: “Come faccio ad essere sicuro di essere salvato?”, e la
risposta che lo consola è: “Sono salvo perché Dio non mi considera peccatore”
è come dire che Dio fa finta che l’uomo non sia un peccatore.
“Questa
convinzione mi dà certezza, perché la coscienza del mio peccato è sempre in me
e mi condanna, tanto vale che me la tenga così com’è, anzi faccio di questa mia
sensazione (emotiva) il mio punto di forza per sentirmi contemporaneamente
peccatore e salvato. Salvato perché peccatore. Proprio perché mi sento
peccatore sono autorizzato a sentirmi anche salvato”.
L’impatto di
questa posizione, che è certamente posizione religiosa e teologica, ma che è
anche antropologica perché cambia la visione dell’uomo, diventa anche posizione
sociologica che cambia la visione della Società. È finito un mondo e ne
comincia un altro.
Lutero
sintetizza il suo pensiero in cinque punti o rifiuti, in contrapposizione
(sostituzione) al pensiero ed alla prassi del cattolicesimo
romano, quello consolidato
ormai da 1.500 anni di studi e di ragionamenti severi e puntuali. Le sole cose
che valgono sono:
- Sola Scriptura (la sola Bibbia);
- Sola Fide (la sola Fede);
- Sola Gratia (la sola Grazia);
- Solus Christus (solo Cristo);
- Soli Deo Gloria (solo la gloria di Dio).
Queste espressioni
possono essere raggruppate in questo modo:
"Confidiamo nella sola
Scrittura, affermiamo che la giustificazione è per sola grazia,
attraverso la sola fede, a causa di Cristo soltanto, e
tutto alla sola gloria di Dio". Quindi ci si salva con:
Rifiuto
della tradizione, cioè “sola
Scriptura”, che vuol dire che la teologia non è più l’incontro fra filosofia
(le grandi conquiste della ragione e del pensiero) e la rivelazione divina.
Negazione quindi della grande sintesi medioevale fra il pensiero dei greci e il
Vangelo che crearono la grande teologia medioevale. Il che vuol dire che la
ragione non ci interessa più, conta solo la fede. La ragione, cioè la
filosofia, ha d’ora in poi un percorso suo proprio, parallelo alla fede, ma non
più di incontro e di arricchimento reciproco.
Diventa
quindi possibile per il credente ammettere una cosa dal punto di vista della
ragione e contemporaneamente ammettere il suo contrario dal punto di vista
della fede. Come credente credo una cosa, come pensante ne credo un’altra
(principio della doppia verità che sfocerà nel relativismo).
Rifiuto della Chiesa. Non serve più la sua
mediazione perché l’appartenenza ad un popolo non ha più senso, ora la
religione è diventata un fatto puramente personale, individuale, intimistico,
emotivo. Non serve più la comunità dei credenti. Ci si trova a pregare e a
cantare insieme agli altri (essenza del culto luterano), ma non come popolo di
credenti, ma come singoli individui in cerca di un momento di condivisione
emotiva.
Sola fide indica la dottrina
che la giustificazione (interpretata nella teologia protestante come: "essere
dichiarati giusti da Dio"), la si riceve per fede, sulla base della fiducia nelle promesse
dell'Evangelo. "la tua
fede ti ha salvato" (Luca 18:42).
Questo esclude che la giustificazione ed i benefici della
salvezza possa essere ricevuti attraverso le opere o i meriti. Essi sono solo
frutto dei meriti di Cristo. Il peccato, infatti
contamina l'uomo al punto che qualunque sua opera buona sarebbe del tutto
insufficiente ai fini della salvezza. Le buone opere sono, semmai, il risultato
della salvezza, allorché lo Spirito Santo gradualmente
ci renda conformi a Cristo. Non quindi, le nostre opere o cerimonie religiose e
devozionali sono funzionali alla salvezza, ma solo la fede in Cristo, la nostra
adesione incondizionata a Lui e la rinuncia a qualsiasi nostra pretesa o
merito.
Rifiuto di tutti gli
strumenti utilizzati per entrare in comunione con Dio e che sono stati
parte fondamentale della religiosità antica e medioevale. Lutero, che ha come
suo uditorio naturale la classe emergente della borghesia, appoggia quel
disprezzo per le devozioni popolari e quella ricerca di una religione più
raffinata e intellettuale che caratterizza questo ceto che sta venendo alla
ribalta. Le manifestazioni popolari vengono disprezzate (Santa Messa, feste
patronali, devozioni alla Madonna e ai Santi, processioni, ricorrenze religiose
di ogni tipo) perché richiamano manifestazioni di devozione di popolo, di
gruppo, di comunità, di Chiesa.
I Sacramenti, per
Lutero, non possono dare nessuna Grazia, perchè Sola gratia indica
la dottrina per la quale la salvezza dalle fatali
conseguenze del peccato è
possibile solo mediante un sovrano atto di grazia di Dio, non
qualcosa che il peccatore possa meritarsi o chiedere attraverso la preghiera e
i sacramenti, quindi con una sua partecipazione alla propria salvezza. La
salvezza, quindi, è un dono immeritato. L'unico "attore" nell'opera
della salvezza è Dio. Essa non è in alcun modo il risultato di cooperazione fra
Dio e l'essere umano che ne è coinvolto (i Sacramenti appunto). "Infatti
è per grazia che siete stati salvati, mediante la fede; e ciò non viene da voi;
è il dono di Dio"(Efesini 2:8).
Questo è un fondamentale punto di rottura
fra la dimensione Naturale e la dimensione Soprannaturale. Per Lutero il
peccato ha corrotto la natura, la natura umana è il cumulo dei peccati
dell’uomo, dei suoi difetti delle sue malvagità. Quello che conta davvero è
l’uomo soprannaturale, generato dalla Grazia, e gradito a Dio. Questo concetto
influenzerà tutto il modernismo portandolo, o a rifiutare in toto il
soprannaturale e quindi privilegiare solo il naturale e la materia (filosofia
che prevarrà), oppure a negare e disprezzare il naturale e la materia
considerando solo l’uomo spirituale, puro e angelico e di fatto completamente
fuori dalla realtà e con risvolti spesso violenti contro chi non accetta questa
visione (I catari avevano già percorso questa strada che ora però trova il
terreno più adatto).
Rifiuto di qualunque mediazione umana fra
Dio e l’uomo. Solus Christus indica la dottrina che Gesù Cristo è la piena, completa e definitiva
rivelazione di Dio. Egli è l'unico Mediatore possibile fra Dio gli uomini, e la
salvezza dalle conseguenze del peccato è possibile solo attraverso di Lui.
Questa dottrina respinge l'idea che vi possano essere altri personaggi (vivi o
morti) oltre a Gesù Cristo,
attraverso i quali si possa ottenere salvezza davanti a Dio: non esistono, cioè
altre vie che portino a Dio, come Gesù stesso ha affermato: "Io
sono la via, la verità e la vita; nessuno viene al Padre se non per mezzo di
me" (Giovanni 14:6)
e come conferma il Nuovo
Testamento: "In nessun altro è la salvezza; perché
non vi è sotto il cielo nessun altro nome che sia stato dato agli uomini, per
mezzo del quale noi dobbiamo essere salvati" (Atti 4:12).
“Ad Jesum Per Mariam” è cancellato, così come tutte le preghiere di
intercessione dei Santi e le relative manifestazioni popolari in onore dei
patroni, ecc.
C’è solo
Cristo, in un
rapporto esclusivo, immediato, verticale e diretto con Lui. Viene a rompersi
così quell’armonia e quella sintonia che esisteva fra le due dimensioni
fondamentali della persona: la sua individualità e la sua appartenenza ad una
comunità. La dimensione individuale e la dimensione sociale. Tutta la modernità
sarà segnata dal conflitto fra l’individuo e la società. Fino ad arrivare alle
grandi aberranti, sanguinose, terrificanti ideologie del XX secolo che, o
privilegiano l’individualismo assoluto (egoismo, razzismo e
nazionalismo), o sacrificano l’individuo per un collettivismo dove l’uomo
scompare. Nel doppio senso che di lui non si tiene conto che come massa, oppure
che viene fisicamente eliminato o deportato se in disaccordo con il potere.
Rifiuto di venerare o elevare alla gloria degli altari
altri che Dio
Soli Deo gloria indica la dottrina
per la quale si afferma che solo Dio è degno di ogni gloria ed onore. Nessuno
può vantarsi d'alcunché o accampare meriti suoi propri, come se un qualsiasi
bene provenisse da lui. "Tu sei degno, o Signore e Dio nostro, di
ricevere la gloria, l'onore e la potenza: perché tu hai creato tutte le cose, e
per tua volontà furono create ed esistono (Apocalisse 4:11).
Il Soli Deo
gloria si contrappone così all'esaltazione di una qualsiasi creatura o
prodotto umano, quale che sia la sua elevata condizione, che deve essere così
considerata idolatria. Non ci sono quindi autorità religiose o civili,
ideologie o realizzazioni umane che possano vantare alcunché di per sé stesse,
perché tutto ciò che hanno e sono deriva da Dio, al quale solo va rivolto il
culto, la lode, la preghiera.
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Lutero
regala alla modernità il “primato del soggetto”. Arriviamo alla
radicalizzazione di questo concetto quando con la rivoluzione francese l’uomo
si chiamerà “il cittadino”. Ma non esiste il cittadino, l’uomo vive in una
famiglia, in un paese, in un quartiere, in una comunità. Non esiste il
cittadino perché non siamo monadi erranti. Invece tutta la modernità è
affermazione di questo “primato del soggetto” che non vuol dire “primato della
persona” che è una conquista del cristianesimo, ma primato della individualità
dell’essere umano. Che è di fatto il primato della sua solitudine, che è il
primo frutto di Lutero regalato alla modernità: la solitudine.
Siamo ancora
oggi influenzati da questo rifiuto di Lutero. Viviamo ancora oggi in un
contesto nel quale più che chiederci cosa è vero o falso, giusto o sbagliato,
cosa è buono e cosa è cattivo, cosa è bello e cosa è brutto, per poter
scegliere il vero, il giusto, il buono, il bello, ci chiediamo se una cosa è
nuova o vecchia, cioè cosa è di moda, dando per scontato che il nuovo è
automaticamente più vero, più giusto, più buono, più bello del vecchio. Il
nuovo è diventato automaticamente sinonimo di migliore. Questo modo di
giudicare le cose e gli eventi ha qui le sue radici e sembrano ben piantate:
negazione della tradizione, negazione della storia, negazione dell’esperienza
di chi ci ha preceduto, negazione del passato e come si dice “buttiamo via il
bambino con l’acqua sporca”. Saggezza e sapienza passata non seve più, acqua
passata (sporca).
Libertà di fare ciò che si vuole, diritto di
fare ciò che si vuole, dovere degli altri di lasciar fare ciò
che uno vuole, unico limite la libertà degli altri. “La mia libertà finisce
dove comincia quella dell’altro … purché non sia avverso al mio modo di pensare
e di concepire la vita, perché la vita è mia e me la gestisco io, non voglio
intrusioni”.
Quindi la
libertà concepita non come l’apertura di ogni essere umano che va incontro e si
apre verso gli altri esseri umani, ma come perimetro e confine dentro il quale
nessuno ha il diritto di interferire. Di fatto pongo delle mura a difesa della
mia individualità. Mura difensive che sono per evitare il contatto con gli altri
e non certo favorire il contatto costruttivo. Altro frutto che porta
all’isolamento e alla solitudine dell’uomo moderno.
Nasce con
Lutero una quasi naturale diffidenza e sospetto per le istituzioni. Le
istituzioni debbono meritarsi prima la mia fiducia, altrimenti non le seguo o
le combatto. Ma la cosa ha anche questo risvolto, quando faccio io parte
dell’istituzione vedo a mia volta con sospetto e diffidenza chi ha bisogno
dell’istituzione e non riuscirò ad essere benevolo e comprensivo più di tanto
con chi ha diritto ad essere servito dall’istituzione. Con il modernismo ha
origine questo perenne conflitto fra individuo e istituzioni, create per lui,
ma più spesso occasione di dominio invece che di servizio. Questo vale
ovviamente nel rapporto individuo Chiesa, individuo Stato, individuo Società.
La
ribellione e conseguente rivoluzione di Lutero fu anche occasione da
parte delle numerose categorie sociali oppresse dai feudatari, dai nobili
e dai governanti, come i servi della gleba, i contadini e i lavoratori
braccianti, che non riuscivano a sfamare le loro famiglie, di avere il coraggio
di ribellarsi, appunto contro le istituzioni, i Signori, gli ecclesiastici, i
ricchi (aristocratici e borghesi), cioè i detentori del potere e i nemici della
libertà, come di fatto insegnava Lutero.
La cosa
indispettì il grande riformatore Lutero, che in Germania, paese in cui il
divario fra ricchi e poveri era molto più alto che altrove, aveva sempre
appoggiato la borghesia e i governanti nella lotta contro il potere e
l’intrusione della Chiesa Cattolica e del papa. Lutero scatenò allora una
violenta reazione di cui abbiamo testimonianza in questo suo proclama e le cui
vittime erano prevalentemente contadini come lo erano i suoi genitori:
“Su, su,
principi, all'armi ! Venuta è l'ora meravigliosa che un principe possa con le
armi meritarsi il paradiso più facilmente che con la preghiera! Sterminate
questi "cani rabbiosi", questi volgari ladroni e parricidi!” E giustificava qualunque
metodo di repressione.
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Martin
Lutero nasce a Eisleben, in Germania, il 10 novembre 1483 (primo di sette figli). Di origini contadine, studiò
inizialmente a Magdeburgo presso i Fratelli della vita comune, dove conobbe le
tematiche della devotio moderna. Nel 1501 studia all'Università di
Erfurt, dedicandosi alle arti liberali, e nel 1505 consegue il titolo di magister
artium. Spinto da una forte vocazione a farsi monaco, entra nel convento
agostiniano di Erfurt, dove nel 1506 pronuncia i voti e nel 1507 viene ordinato
sacerdote. Studia soprattutto le Sacre Scritture, San Paolo, Sant'Agostino, le
Sentenze di Pietro Lombardo, teologi agostiniani come Gregorio da Rimini e
Agostino Trionfo, e altri autori di orientamento occamista. Nel 1512,
trasferito al convento di Wittenberg, vi consegue il dottorato in teologia, e,
l'anno dopo, tiene corsi di esegesi biblica all'università. Nel 1517 rende
pubbliche a Wittenberg 95 tesi contro la vendita delle indulgenze, che ebbero
vasta diffusione e suscitarono reazioni contrastanti. Nel 1518 viene prima
chiamato a Roma a discolparsi e poi dichiarato eretico. Grazie alla mediazione
del principe Federico di Sassonia, ebbe la facoltà di presentarsi di fronte al
legato pontificio, cardinale Caetano, durante la dieta di Augusta. Lì rifiutò
di ritrattare le sue tesi, arrivando, l'anno dopo, a negare il primato del papa
e l'infallibilità dei concili e dichiarando le Scritture unica norma della
fede. Nel 1520 il papa emanò la bolla Exurge domine, con cui
condannava 40 proposizioni di Lutero, il quale rispose con un opuscolo
durissimo, nel quale definiva il papa Anticristo. Nello stesso anno, Lutero
compose tre fondamentali opere: La cattività babilonese della Chiesa,
in cui riduce i sacramenti a tre soli, il battesimo, la penitenza e
l'eucarestia; Alla nobiltà cristiana della nazione tedesca, che
dette inizio alla ribellione della Germania contro la Chiesa di Roma; Sulla
libertà del cristiano nella quale scrive: «Per la sola fede senza
le opere, l’anima è resa giusta, santa, vera, tranquilla, libera e ricolma di
ogni bene e resa figlia di Dio» . Nel 1521 venne scomunicato e bandito
dall'impero. Iniziò allora la traduzione tedesca della Bibbia, che la rese
accessibile a vaste cerchie popolari. Si impegnò poi in una polemica con
Erasmo, al cui Sul libero arbitrio replicò nel 1525 con Il
servo arbitrio. La rapida diffusione del suo messaggio gli impose, negli
anni successivi, di occuparsi di questioni organizzative, avvalendosi anche di
collaboratori come Filippo Melantone. Muore a Eisleben il 18 febbraio 1546.
(vedi anche: C. Crescimanno e N. Tarquini “Lutero il riformatore eretico”
I Quaderni del Timone)
Martin Lutero di Angela
Pellicciari (inserto)
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Dietro la rivoluzione di Lutero più che un sincero
spirito di purificazione si scorge un’inspiegabile insofferenza verso Roma.
Finita la guerra e vinti i totalitarismi, l’Europa è ancora in pericolo, forse
più di prima: il vero nemico non è stato sconfitto.
Nell’immaginario culturale del nostro Paese il nome di Lutero è associato al vento di novità che attraversò l’Europa all’inizio del Cinquecento e al rimpianto di non aver potuto conoscere da vicino questa stagione di rinnovamento per via di un cattolicesimo oscurantista e impermeabile al cambiamento, responsabile, secondo molti, di aver lasciato l’Italia in un torpore che la affligge ancora adesso.
Ma fu davvero così? Davvero la Riforma luterana offrì
una spinta positiva allo sviluppo sociale ed economico mentre la cultura della
Controriforma regalò all’Italia arretratezza, dipendenza e incapacità di
iniziativa?
Angela Pellicciari rifiuta questa teoria e a partire
dai testi indaga in profondità la figura del monaco tedesco e le ragioni del
suo pensiero, per smascherarne limiti e contraddizioni.
Dietro la rivoluzione di Lutero più che un sincero
spirito di purificazione si scorge un’inspiegabile insofferenza verso Roma e
mal celate ragioni politiche. Lutero parla unicamente ai principi tedeschi,
dimenticando l’universalità del messaggio cristiano, e invita alla battaglia
contro un nemico soprannaturale, il papato istituito da Satana. Il suo
linguaggio carico d’odio ha la forza dirompente della propaganda attraverso la
insistente demonizzazione dell’avversario, affermazioni apodittiche che non
necessitano spiegazioni. Lutero dimostra di conoscere a fondo tutti gli
artifici della retorica e persino il potere di suggestione dell’immagine: il
disprezzo per Roma è fomentato anche attraverso l’immediatezza di caricature
oscene e dissacranti, realizzate a Wittemberg da Lucas Cranach il Vecchio, che
ritraggono il pontefice come capra, asino, drago infernale o l’anticristo.
Lutero smonta uno dopo l’altro tutti i capisaldi del
cristianesimo, dai Sette Sacramenti al libero arbitrio, passando per la devozione
alla Madre di Dio e la salvezza universale, generando confusione e aprendo la
strada, secondo l’autrice, “alle contraddizioni della modernità che,
sganciata la libertà dalla verità esige e pretende solo il dettato della
coscienza individuale”. I suoi scritti reclamano libertà di
interpretazione, libertà d’azione, ma quale libertà può esserci nella
prospettiva di una terribile predestinazione? Spogliato del libero arbitrio,
diviso tra un corpo e un’anima in perenne lotta tra loro, l’uomo nella visione di
Lutero non è che un fantoccio nelle mani di un Dio capriccioso, che determina
salvezza e dannazione in nome di un imperscrutabile disegno, e del demonio che
con Lui si contende la sovranità sui comportamenti umani. Nessuna
responsabilità; quindi, nessun impegno possibile a lungo termine, ma anche
nessuna speranza. Lutero imbroglia le carte e si perde in contraddizioni e
paradossi, liquidando con facilità quanto nelle scritture contraddice le sue
teorie e proponendo in cambio come assunti indiscutibili le sue personali
interpretazioni.
Con questo brillante saggio Angela Pellicciari delinea le coordinate essenziali per capire la Riforma e il suo promotore, stimolando una riflessione intellettualmente onesta che non può non tener conto anche di considerazioni scomode.
Dal capitolo: “Niente Gerarchie Religiose: Una
Visione Democratica?”: “L’uomo non è responsabile
delle proprie azioni, proprio come recita il titolo “De servo arbitrio”. Quindi
non c’è per lui né ci può essere alcuna ricompensa o alcuna condanna. C’è
semplicemente l’imperscrutabile volontà di Dio che dall’eternità destina
qualcuno all’inferno, qualcun altro al paradiso. Doppia predestinazione: Dio
non predestina tutti alla salvezza, come afferma la dottrina cattolica, Dio
salva o condanna gli uomini senza che questi abbiano alcuna possibilità di
sfuggire al proprio destino. […] Tutti uguali: il grido rivoluzionario che ha
riempito di cadaveri le città e le campagne negli ultimi secoli, anche nel caso
del monaco agostiniano ottiene il risultato opposto a quello auspicato. Tutti
uguali? In Lutero la diseguaglianza fra gli uomini è così radicale da diventare
metafisica: alcuni sono creati per la salvezza, altri per la dannazione. Così,
mentre nella Chiesa cattolica l’autorità consegnata a Pietro non cancella
affatto la reale uguaglianza di tutti gli uomini di fronte a Dio e fra di loro,
la visione protestante, che nega l’autorità spirituale (il papa è Servus
servorum Dei), finisce per teorizzare un abominio”. (tratto da Angela Pellicciari – Martin Lutero – ed.
Cantagalli).
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L’ORIGINE DELLA RIFORMA
Il 31
ottobre 1517 un frate agostiniano tedesco di nome Martin Lutero attaccò
alla porta della Cattedrale di Wittenberg un lungo foglio dove
erano elencati 95 tesi (argomenti) contro la Chiesa cattolica
e contro la vendita di indulgenze.
Durante il
Medioevo era diventata pratica comune la concessione del perdono
per i peccati commessi con il pentimento e la preghiera, ma anche
con il versamento di un obolo. Cosa che di fatto aveva messo in
secondo piano gli aspetti spirituali del Sacramento della Confessione.
PERCHÉ LA RIFORMA AVVENNE NEL
CINQUECENTO?
Nel corso
del XIV secolo alcuni preti, come ad esempio John Wycliffe in Inghilterra,
avevano chiesto una riforma della Chiesa cattolica. Wycliffe aveva anche tradotto
la Bibbia dal latino in inglese. La traduzione della Bibbia nelle diverse
lingue nazionali fu un fatto molto importante per la Riforma, perché permise
alle persone di leggere e comprendere da sole il testo sacro. Nel XV secolo
anche Jan Hus, un prete della Boemia (nell'attuale
Repubblica Ceca), iniziò ad affermare la necessità di una riforma, ma i suoi
nemici lo condannarono al rogo con l’accusa di essere eretico. Fu solo nel XVI
secolo che la Riforma iniziò a diffondersi.
Due nuovi
fattori diedero grande impulso alla diffusione della Riforma: l’umanesimo e l’invenzione
della stampa. L’invenzione della stampa (1450), permise la produzione e la
diffusione dei libri in centinaia di copie. La stampa aiutò le idee dei
protestanti a diffondersi più rapidamente.
DOVE NACQUE
LA RIFORMA?
Le prime
fasi della Riforma avvennero in Germania e in Svizzera.
A quel tempo la Germania si chiamava Sacro Romano Impero ed era composta da
molti piccoli stati, ciascuno dei quali con un proprio principe. Da lì si
diffuse in Francia, nei Paesi Bassi, in Inghilterra e in Scandinavia.
LA PROTESTA
DI LUTERO
Martin
Lutero diede inizio alla Riforma nel 1517. Si ribellò alla Chiesa
cattolica e stabilì il proprio ideale di una cristianità protestante. Lutero
non credeva che si potesse ottenere il perdono per i propri peccati da un
prete, o grazie da un’indulgenza. Egli pensava invece che ciascuno dovesse
stabilire un proprio patto con Dio. Il modo per farlo era studiare
la Bibbia e vivere secondo la fede (giustificazione per fede), e che il
fedele non avesse bisogno del papa, dei sacerdoti e della Chiesa, perché questi
non avevano alcuna origine divina.
Nel 1520 papa
Leone X concesse 20 giorni a Lutero per ritirare le sue idee. Lutero
fu allora convocato dall’imperatore Carlo V per rinnegare
pubblicamente le proprie tesi. Lutero rifiutò e fu condannato per eresia.
Riuscì a
salvarsi grazie al Principe di Sassonia Federico il Saggio, che
organizzò un finto rapimento per farlo sparire e lo nascose nel suo castello a
Warburg. Insieme al Principe di Sassonia, altri stati tedeschi si convertirono
alla nuova religione protestante, sottraendosi così all’autorità del papa e
dell’imperatore che avevano a lungo sopportato.
Dopo la
morte di Lutero, tra gli stati cattolici e quelli protestanti
dell’impero germanico scoppiò la guerra. Nel 1547 i protestanti furono
sconfitti dall’esercito di Carlo V nella battaglia di Mühlberg, dopo di che
furono perseguitati. Nel 1555, con la pace di Augusta,
Carlo V riconobbe e accettò la divisione che era stata causata dalla Riforma, e
permise ai principi e ai loro popoli di abbracciare la fede luterana. Grazie
alla pace di Augusta, il Sacro Romano Impero conobbe cinquant’anni di pace.
CALVINO IN
SVIZZERA
Giovanni
Calvino era un
sacerdote francese. Aveva aderito alla Riforma protestante e si era rifugiato a Ginevra per
sfuggire alla persecuzione da parte dei cattolici francesi. Egli stabilì nella
città una repubblica protestante, governata da un consiglio
cittadino. Calvino sosteneva il principio della predestinazione. Dio ha
già stabilito chi sono i predestinati al Paradiso, e l’uomo
non può fare nulla per
influenzare
la sua decisione. Calvino
riteneva, inoltre, che i predestinati riflettessero la grazia divina attraverso
le virtù della parsimonia, dell’operosità e del duro lavoro.
LA RIFORMA
SI DIFFONDE
la Riforma
prese piede rapidamente, dalla Germania alla Scandinavia
e nel 1536 in Svezia, Danimarca, Norvegia e Islanda si
erano già convertite alla religione protestante nella sua versione luterana. In Francia,
il re Francesco I e suo figlio Enrico II perseguitarono
duramente i protestanti francesi calvinisti (Gli ugonotti). Questa guerra
fu dolorosa e segnata da molti episodi crudeli come il massacro della
notte di San Bartolomeo, del 24 agosto 1572, nel quale migliaia di ugonotti
in tutta la Francia furono uccisi a sangue freddo.
Nei Paesi
Bassi (che erano all’epoca un dominio spagnolo) il nord del paese si
convertì al protestantesimo calvinista, mentre il sud (l'attuale
Belgio) rimase cattolico. Questo scatenò una guerra civile che durò dal 1568 al
1648 e divise l’Olanda dal Belgio.
La notte
di San Bartolomeo è il nome con il quale è passata alla storia la
strage compiuta nella notte tra il 23 ed il 24 agosto 1572 dalla fazione cattolica contro gli Ugonotti (i Calvinisti francesi) a Parigi, in un clima di rivincita
indotto dalla vittoria della battaglia di
Lepanto che ha liberato l’oriente dalla secolare minaccia
dei mussulmani e dal crescente prestigio della Spagna. Il massacro ebbe luogo a partire
dall'ordine del re Carlo IX di
uccidere il capo militare degli ugonotti l'ammiraglio Gaspard de Coligny.
Due giorni dopo l'attentato, peraltro non riuscito, gli organizzatori persero
il controllo della situazione e, in un eccidio indiscriminato durato diverse
settimane vennero uccise migliaia di persone. La tradizione storiografica ha
ritenuto che la strage sia stata organizzata da Caterina de' Medici e
Carlo IX per evitare che una controffensiva dei protestanti francesi colpisse
la famiglia reale dopo il tentato omicidio dell'ammiraglio ugonotto.
Ad ogni modo, la strage, colpendo gli ugonotti con l'uccisione di molti
nobili influenti e numerosi soldati, segnò una svolta nelle guerre di
religione francesi, utilizzata anche per diffondere fra i
protestanti l'idea che «il cattolicesimo [fosse] una religione sanguinaria e
traditrice»
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LA RIFORMA IN INGHILTERRA
La Riforma
inglese prese piede quando il re Enrico VIII decise di
divorziare dalla prima moglie, Caterina d’Aragona, per sposare Anna
Bolena senza il permesso del papa. Il papa scomunicò Enrico,
il quale rispose separandosi dalla Chiesa cattolica. L’Atto di
Supremazia del 1534 abolì l’autorità del papa in Inghilterra e
nominò lo stesso Enrico a capo della nuova Chiesa
d’Inghilterra. Nel 1536 Enrico attaccò i monasteri cattolici,
distruggendone gli edifici e confiscandone le terre.
Assertion of Liberty of Conscience by the Independents
of the Westminster Assembly of Divines, 1644.Durante la rivoluzione inglese i calvinisti puritani produssero
la celeberrima Confessione di fede di
Westminster, pilastro
costituzionale del presbiterianesimo nelle terre anglofone.
Nel 1533,
tuttavia, la regina Maria I (detta la Sanguinaria)
reintrodusse la religione cattolica e perseguitò i protestanti. La sua
sorellastra, la regina Elisabetta I, completò invece la Riforma
inglese, fondando la Chiesa protestante d’Inghilterra (o Chiesa
anglicana) così com’è ancora oggi.
LA CHIESA
CATTOLICA E LA CONTRORIFORMA
Mentre la
Riforma protestante si diffondeva in tutta Europa, e tra cattolici e
protestanti scoppiavano guerre sanguinose, la Chiesa cattolica capì che era
giunto il momento di dare una risposta al desiderio di rinnovamento
espresso sia da una parte del clero che dai fedeli. Era inoltre necessario
cercare di arginare il diffondersi del protestantesimo e
salvaguardare l’unità dei cristiani, o almeno quel che ne rimaneva dopo la
predicazione di Lutero e di Calvino.
Questo
movimento prese il nome di Controriforma, cioè “Riforma contro la
Riforma protestante”. Sarebbe più corretto dire una vera riforma della Chiesa
cattolica in risposta alla rivoluzione protestante che ha creato una nuova e
diversa Chiesa, non più universale (cattolica) ma frammentata in chiese locali
guidate da Re, principi e governanti ribelli al papa e al suo Magistero.
Il primo
papa a impegnarsi nella Riforma fu Paolo III, eletto nel 1534. Egli
decise la formazione di nuovi ordini religiosi, ad esempio i gesuiti (o Compagnia
di Gesù, ordine monastico fondato dallo spagnolo Ignazio da Loyola),
per rendere più efficace la predicazione e l’insegnamento della dottrina
cattolica. Nel 1542 istituì l’ Inquisizione romana, un tribunale
che doveva combattere il diffondersi del protestantesimo, cioè dell’eresia di
Lutero, cercando di aiutare gli inquisiti a capire quali erano i veri
fondamenti della fede cattolica e perché il protestantesimo era una eresia.
Infine, nel 1545 convocò il Concilio di Trento, un’assemblea di
tutti i vescovi della Chiesa che durò fino al 1564 e che prese importanti
decisioni sia sui punti fondamentali della fede sia sull’organizzazione della
stessa Chiesa cattolica.
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Ci sono voluti 1.500 anni di cristianesimo per creare un’armonia tra Ragione e Fede, una armonia fra dimensione Naturale e dimensione Soprannaturale, un armonia fra la dimensione Individuale e la dimensione Sociale. Una modalità insieme razionale e spirituale per discernere, cioè per distinguere, il bene dal male. Ora in 50 anni va tutto in pezzi. Tutta la modernità sarà un esteso campo in cui si raccoglieranno tutti i frutti avvelenati di questa disarmonia.
La rivoluzione nella Scienza
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Partiamo dal concetto greco di scienza, l’Epistème, un sapere
incontrovertibile, che nessuna forza poteva abbattere. Aristotele aveva
classificato le scienze in Teoretiche, che si studiano per il puro desiderio di
sapere e scienze Pratiche che appunto si studiano per fini pratici, ed infine
scienze Poietiche che riguardano la produzione dell’uomo, le arti per esempio.
La Fisica era collocata da Aristotele fra le scienze
teoretiche, cioè nell’ambito del sapere disinteressato. Con Bacone invece,
scoppia la rivoluzione, la Fisica si studia per un fine pratico. Si studia la
realtà fisica per coglierne i segreti e saperla dominare. Lo slogan sarà
“Sapere è Potere”. La natura sarà studiata per sfruttarla.
Già la Magia era per il Mago il penetrare la natura per
coglierne i segreti e usarli per dominare gli altri. il Mago usava strumenti
magici appunto, ma poi qualcuno di loro scoprì e inventò strumenti più adatti a
carpire i veri segreti della natura e ad utilizzarli per dominarla e per
risolvere problemi pratici.
Nacquero quindi studi più profondi e rigorosi a beneficio non
del singolo mago, ma dell’uomo. Aristotele diceva che la scienza suprema era la
conoscenza delle cause e dei principi primi, del perché ultimo delle cose, solo
allora si poteva dire di conoscere davvero qualcosa.
Allo scienziato
moderno non interessa più il perché ultimo delle cose.
La Scienza moderna dice che è illusorio pensare di poter
conoscere l’essenza delle cose, il perché ultimo delle cose. Ci dobbiamo
limitare a descrivere il modo in cui i fenomeni si svolgono.
Quindi, mentre la scienza classica cercava di rispondere al
perché delle cose. La scienza moderna vuol solo rispondere al come.
Per esempio Galileo Galilei studia e scopre l'isocronismo del pendolo, cioè come oscilla e le sue
leggi, ma non gli interessa sapere chi ha mosso il pendolo, e perché, lo studia
per come gli appare il fenomeno e cerca di rilevarne le leggi, ma non si chiede
chi e perché è all’origine del fenomeno.
Altro punto importante fu la rivoluzione copernicana, la nuova visione dell'universo elaborata da Niccolò Copernico, autore della teoria eliocentrica,
che pone il Sole al centro del sistema di orbite dei pianeti, opposta a quella geocentrica,
che prevedeva invece la Terra al centro del sistema solare.
Francesco Bacone (1561 – 1626)
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Sir Francis Bacon, afferma che dobbiamo studiare la natura facendola parlare da sola,
cioè senza sovrapporci le nostre idee, ma ascoltarla così com’è e servircene.
Questo è possibile se ci liberiamo da tutti i pregiudizi. Bacone ne elenca
alcuni e li chiama idoli.
“Idola
tribus”,
idoli della tribù, preconcetti derivati dalla storia e dalle credenze del
proprio gruppo di appartenenza (valori, cultura, tradizioni, ecc.);
“idola
specus”,
le nostre convinzioni personali e intime;
“idola
fori”,
le chiacchere delle piazze e dei luoghi di convegno, il “si dice”;
“idola
theatri”, tutto il sapere tradizionale che fino ad ora ci hanno rappresentato
come in un teatro i filosofi e i teologi.
Dopo queste premesse che ci permettono di
ascoltare senza pregiudizi la natura, Bacone ci presenta un metodo: le “tabule”
sulle quali scrivere dove avviene il fenomeno da studiare: “tabula presentiae”; quelle sulle quali scrivere dove lo stesso
fenomeno non avviene: “Tabula absentiae”;
quelle sulle quali scriviamo le quantità delle presenze del fenomeno nei vari
luoghi dove lo si trova: “tabula
graduum”.
Purtroppo questo metodo risultava piuttosto
macchinoso e senza fine, diciamo che non era un metodo veramente scientifico. A
Bacone mancava la Matematica, che invece ben maneggiava Galileo Galilei che per
questo è il vero iniziatore della Scienza moderna.
Galileo Galilei ( 1564 – 1642)
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Galileo introduce le
“sensate esperienze” (esperienze dei sensi e contemporaneamente con un senso,
cioè con un criterio), cioè esperienza di quanto però è quantificabile,
misurabile, osservabile con sicurezza. Solo così ciò che osservo e analizzo, se
quantificabile e misurabile, è valido per tutti. Quelle qualità del fenomeno in
esame che non sono misurabili e quantificabili saranno dati secondari e
comunque catalogati a parte perché per questi non ci può essere assenso comune.
Altro punto
interessante di Galilei è l’aver capito l’importanza del cannocchiale per lo
studio del Cosmo e con questo scopre che i pianeti non sono fatti di materia
incorruttibile come Aristotele aveva detto, ma con l’osservazione di crateri,
macchie e altro si è reso conto che anch’essi sono fatti di materia
corruttibile come la terra.
Altra scoperta fu
l’aver individuato i 4 satelliti di Giove, il che fece capire che come i
pianeti avevano dei satelliti che giravano loro intorno, non poteva essere che
alla Terra girasse attorno tutto l’universo. Questo rafforzò l’interesse per la
teoria Copernicana. Il canonico polacco Niccolò Copernico, aveva infatti
ripreso la teoria greca di Aristarco da
Samo dell'eliocentrismo, la teoria
opposta al geocentrismo, che voleva
invece la Terra al centro del
sistema. Merito suo non è dunque l'idea, già espressa dai greci, ma la sua
teorizzazione e il suo approccio scientifico. Teoria accettata e studiata anche
dagli scienziati cattolici e dal papa. Copernico però ebbe la prudenza di non
definirla una verità in contrasto con la Bibbia, ma solo una ipotesi per meglio
studiare l’Universo, anche perché non era ancora possibile una sua
dimostrazione rigorosamente scientifica.
A sfavore del grande
Galileo agì spesso il suo “caratteraccio” che gli inimicò alcuni colleghi che
si vendicarono mettendolo in cattiva luce con la Chiesa.
Nella Chiesa Cattolica,
di contro, c’erano degli scienziati dello stesso livello di Galileo, il più
noto, e che abbiamo già incontrato nel processo a Giordano Bruno era il vescovo
gesuita San Roberto Bellarmino, che, insieme al papa, erano molto interessati
alle teorie di Galileo. Purtroppo, a causa del suo bel carattere, Galileo si
intestardì su alcune sue teorie che gli fu dimostrato non era possibile
trasformare in verità scientifiche secondo il suo stesso metodo. Cioè lo stesso
Galileo non le aveva ancora scientificamente verificate, come la stessa teoria
copernicana, verificata solo 10 anni dopo. Peggio ancora, nella sua opera
massima: “Il Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo”, prese in giro lo stesso papa Urbano
VIII facendogli fare la figura del
sempliciotto ignorante nel personaggio “Simplicius”. Proprio Urbano VIII che gli era stato amico ancora prima di
salire al soglio pontificio e che al momento era impegnatissimo a tamponare la
Riforma protestante e gli attacchi alla interpretazione cattolica delle
scritture. Momento più che inopportuno per ragionare serenamente su delle
ipotesi che non erano ancora verificate e che il Bellarmino gli aveva suggerito
di lavorarci sopra ancora come ipotesi.
Dal processo a Galileo, che ne seguì, se ne ricavò poi la leggenda nera del “Caso
Galilei” montata dagli illuministi per sostenere l’”oscurantismo” della Chiesa Cattolica, unica Istituzione che
resisteva tenacemente alle nuove “mode” del modernismo. (Vedi di Rino
Camilleri “il caso Galileo” edizioni: i
Quaderni del Timone).
“Vita di Galileo” di Bertolt Brecht
È
l’opera che ha lasciato un profondo solco di incomprensioni e disinformazione
sulla vicenda di Galileo Galilei, trasformando Galileo in un martire
dell’oscurantismo della Chiesa Cattolica ed eroe della battaglia della Ragione
contro la Religione. Versione accettata e sviluppata dalla maggior parte dei
testi scolastici e universitari e dall’opinione pubblica.
L'opera si concentra sulla vita di Galileo Galilei, con particolare attenzione al
processo dell'inquisizione e all'abiura dello scienziato (cioè
su di un punto controverso del processo, quello che interessava di più per
denigrare la Chiesa). Si sa con certezza che già nel 1933 Brecht stava lavorando, assieme ad
altri scrittori di ispirazione socialista come Feuchtwanger e Heinrich Mann, ad un progetto per la trasposizione
scenica dei processi dei più grandi personaggi della storia, tra i quali egli
annoverava Socrate, Catilina, Gesù, Jan Hus, Martin Lutero, Maria Stuarda e, appunto, Galileo Galilei, tutti in
qualche modo protagonisti (più o meno forzati) della resistenza al potere
liberticida ed eroi del progresso socialista e della vittoria della Ragione
sulle superstizioni e sulla religione.
L’interesse per i grandi processi della
storia viene qui legandosi con il tema dominante della “Vita di Galileo”, che è
quello della propagazione della verità in condizioni di censura e violenza, e
avente come argomento le difficoltà eroiche che incontra chi vuole combattere
la menzogna e l’ignoranza e scrivere la verità (quale verità?). L’opera ha
centrato il suo obiettivo, ma non quello della vittoria della Verità, ma quello
dell’onnipotenza della parola manipolata per i propri scopi.
Sofia Vanni Rovighi (1908 – 1990)
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Filosofa
e docente universitaria italiana di storia
della filosofia all'Università
Cattolica di Milano dal 1951 al
1978. Si interessò di storia del pensiero
medievale, in particolare di San
Tommaso d'Aquino, e di filosofia
moderna e contemporanea.
Seguono in proposito alcune sue interessanti considerazioni
su Galileo, la “filosofia” e la “nuova scienza” che ci aiutano a non farci
trascinare nella inutile e continua contrapposizione fra Ragione e Fede o se
volete fra Filosofia e Scienza tratte dal volume di Marco Paolinelli “Contro il
monismo epistemologico” – Filosofia e scienza nel pensiero di Sofia Vanni
Rovighi” EDUcatt. 2009.
La nuova scienza e il
pensiero moderno
Quelle
di Galileo (1564 -1642) e di Leibniz (1646 – 1716) sono le due figure di
pensatori alle quali Sofia Vanni Rovighi fa ricorso per illustrare i caratteri
di quel nuovo tipo di sapere che è la “scienza moderna”, e per precisare la
distinzione tra questo nuovo tipo di sapere e il sapere filosofico; un ruolo
minore, nella sua trattazione di questo tema, giocano Francesco Bacone e
Cartesio, mentre lo sfondo è costituito dal sapere aristotelico che è un sapere
sostanzialmente unitario, pur con la sua distinzione fra Fisica, Matematica e
Metafisica, motivo per cui Sofia Vanni Rovighi parla anche in relazione ad esso
di “monismo epistemologico”.
L’importanza
è che la “novità” di Galileo, afferma Sofia Vanni Rovighi, non sta certo nel
fatto che egli ha rivendicato la libertà e l’autonomia della ragione, come a
volte si ripete; questo è certo un valore in cui Galileo crede, ma la
“spregiudicatezza radicale” è caratteristica dell’atteggiamento filosofico in
quanto tale. Va detto che egli distingueva molto bene l’autorità umana, che era
pronto a discutere, e l’autorità della Rivelazione divina, in cui credeva
fermamente. L’importanza
di Galileo, ciò per cui Galileo merita un posto, e un posto di rilievo, nella
storia del pensiero anche filosofico, sta altrove. Galileo, osserva Sofia Vanni Rovighi, non ha una
filosofia distinta dalla sua fisica, ma “la sua fisica ha avuto una grande
importanza nella storia della filosofia”; Galileo ha un posto di rilievo, nella storia della filosofia
“come creatore di quel nuovo tipo di sapere che egli chiamava filosofia, ma che noi chiamiamo scienza. Dimostrare come ha fatto
Galileo che quello che si chiamava allora globalmente filosofia non è l’unico tipo di sapere, dimostrare che occorrono nuovi precetti di architettura per
risolvere problemi davanti ai quali la filosofia scolastica aveva fallito,
significa fare opera di grande significato filosofico, anche se non si è filosofi nel senso che noi diamo a
questa parola”.
A Leibniz, poi, Sofia
Vanni Rovighi attribuisce il merito di avere riconosciuto in che cosa consista
la distinzione tra filosofia e la “nuova scienza”; di aver visto cioè che si
tratta di due saperi distinti, ma non tali da doversi escludere o fagocitare
l’un l’altro.
Dalla “quarta di
copertina” del libro di Marco Paolinelli
La produzione di Sofia Vanni Rovighi è
testimonianza del suo profondo e costante interesse per il tema del rapporto
filosofia-scienza, un interesse personale che assumeva anche, talora, la forma
di un rimpianto per non aver potuto approfondire maggiormente le sue conoscenze
in campo scientifico . Oltre all’interesse personale, la muoveva anche la
consapevolezza che questo tema è strettamente legato alle radici della
Università Cattolica, in cui lei studiò e in cui svolse tutta la sua attività
di ricerca scientifica e di insegnamento. L’Università Cattolica fu infatti
ideata in epoca di positivismo imperante, quando – afferma Sofia Vanni Rovighi
– «la scuola superiore italiana era in buona parte una palestra di propaganda
antireligiosa nella quale si proclamava l’incompatibilità della fede con la
scienza. In questa situazione, alcuni fra i migliori cattolici italiani si
resero conto della necessità di una Università nella quale uomini che fossero
ad un tempo ricercatori seri e credenti convinti potessero dimostrare
concretamente l’armonia tra scienza e
fede ed insegnassero ai giovani col più rigoroso metodo scientifico, senza
bisogno di far propaganda religiosa, ma semplicemente facendo vedere che ciò
che si può scientificamente dimostrare non ha nulla a che fare con le negazioni
dei dogmi» . Queste linee dicono la sua convinzione e il suo atteggiamento di
fondo: non amava nessuna apologetica affrettata o strumentale, che avrebbe
sapore di ‘propaganda’ (lo stesso termine ‘apologetica’ le era alquanto
sospetto), ma una pura ricerca della verità (perché la ricerca della verità non
può non essere al tempo stesso ricerca della Verità). I tempi comunque cambiarono,
e al soffocante clima positivistico successe un predominante clima
neoidealistico, con la sua scarsa stima per il sapere scientifico. Sofia Vanni
Rovighi continuò a coltivare il suo interesse per la scienza, non solo perché
detestava il seguire le mode e lo ‘spirito del tempo’, ma per un reale
apprezzamento per la scienza e il suo valore per l’uomo (valore non solo
pratico, ma anche teoretico). Per questo motivo, è con orgoglio che ricorda
come «mentre il predominante influsso idealistico nella cultura italiana aveva
eliminato dalle facoltà di filosofia tutti gli insegnamenti scientifici,
l’Università Cattolica era la sola a mantenerli».
FEDE E SCIENZA - Un dialogo necessario
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J.
Ratzinger - Ed. Lindau, 2010
[…] La capacità del cristianesimo di dialogare con ogni forma
di pensiero e di cultura, mantenendo al contempo una propria identità definita,
proviene dalle sue origini. È importante sottolineare, infatti, come la
diffusione del pensiero cristiano sia iniziata proprio attraverso un movimento
di mediazione fra la cultura ebraica e quella greca. Tale movimento può essere
descritto come l’incontro tra la fase sapienziale dell’Antico Testamento e il
razionalismo, perno della cultura classica. Sempre schematizzando, da questo
incontro il cristianesimo ha tratto la propria visione del reale, la quale si
basa sulla comprensione razionale del mondo, sapendo però che ciò non sarebbe
possibile se la struttura ordinata e comprensibile del reale non fosse il
riflesso della sapienza creatrice. Alla luce di tale consapevolezza, come
abbiamo visto, la domanda sul posto occupato dallo spirito all’interno della
nuova visione scientifica del mondo, si rovescia radicalmente. «Se – infatti –
la priorità della materia determina oggi il modo di porre la questione, nella
riflessione della sapienza biblica e greca si trova la posizione opposta: si
suppone la priorità dello spirito, che lo spirito sia in condizione di
suscitare la materia e sia da considerare come il vero punto di partenza della
realtà; resta quindi il problema inverso: esiste eventualmente una sporgenza
oscura, che non si lascia più ricondurre allo spirito creatore?» (Discorso
tenuto a Torino, 12 giugno 1998, pp. 193-194). Interrogativo che se ne
trascina dietro un altro, sul quale si gioca, come dicevamo in apertura, la
partita decisiva rispetto al significato della fede nel mondo contemporaneo: è
possibile, nell’era scientifica, una nuova evidenza che
includa ed armonizzi i risultati della ragione scientifica? La riposta,
sostiene Benedetto XVI, non può essere altrove se non in Cristo, nella sua
persona, evidenza tangibile ed esperibile, nella fede e attraverso la
Scrittura, della sapienza e dell’amore del Padre. […]
La Rivoluzione moderna
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