Sintesi del pensiero di Cartesio
Cartesio e la
Rivoluzione Filosofica
di Anna Lisa Schino “Enciclopedia dei ragazzi” (2005)
Il
filosofo del "Penso, dunque
sono".
Cartesio è
uno dei fondatori del pensiero filosofico moderno. Temi del suo insegnamento
sono stati: il rifiuto del sapere
tradizionale insegnato nelle scuole, la necessità di dare un nuovo metodo alla ricerca filosofica e
scientifica che parte dall'uomo e dai contenuti del suo pensiero,
prendendo a modello la matematica, e la volontà di partire, per risolvere i
problemi della certezza della conoscenza umana, dell'esistenza di Dio e
dell'immortalità dell'anima.
La vita
Cartesius è la forma latinizzata del nome del
filosofo francese René Descartes, nato a
La Haye nel 1596 (in Turenna, nel bacino della Loira, con capoluogo Tours). Compie gli studi canonici nel
collegio gesuita di La Fléche, dove resterà circa nove anni seguendo i tre
corsi regolari di grammatica, retorica e filosofia.
Nel 1616 si laurea in diritto. Due anni dopo si arruola nell'esercito dei Paesi
Bassi guidato da Maurizio di Nassau, di religione protestante; s'imbarca quindi
per la Danimarca e raggiunge la Germania dove è scoppiata la guerra dei
Trent'anni.
(Nella prima metà del XVII secolo
d.C. l’Europa fu sconvolta da un conflitto religioso e politico che infuriò tra
i principati del Sacro Romano Impero. Le ostilità furono provocate dal
tentativo dell’imperatore Ferdinando d’Asburgo di convertire l’impero in un
unico stato centralizzato e cattolico. Questo conflitto, durò a fasi alterne
per trent’anni: dal 1618 al 1648).
Passa l'inverno del 1619 in grande
solitudine ("chiuso dentro una stufa", come lui stesso scriverà),
studiando e meditando: sta cercando di definire il vero metodo della scienza
per costruire un nuovo sapere.
Tra il 1620 e il 1625, abbandonata
la vita militare, compie numerosi viaggi soprattutto in Italia e in Francia. Si
stabilisce quindi a Parigi, dove frequenta gli ambienti letterari e mondani e i
circoli scientifici. Nel 1628 decide di gettare le basi di una nuova filosofia.
Si ritira quindi nei Paesi Bassi, dove maggiore è la tolleranza verso le nuove
teorie filosofiche e scientifiche, e lì prosegue le sue ricerche.
Nel 1637 pubblica a Leida tre saggi
(Diottrica, Meteore e Geometria)
assieme a un'importante prefazione intitolata Discorso
sul metodo. Contemporaneamente, intavola un fitto scambio di lettere con
studiosi di tutta Europa. Scrive quindi un saggio di metafisica, le Meditazioni sulla filosofia prima,
pubblicate a Parigi nel 1641 assieme alle Obiezioni,
avanzate da altri filosofi ai quali aveva mandato il testo in lettura, e alle
sue Risposte.
Nel frattempo decide di scrivere un
intero corso di filosofia nel quale le sue idee vengono presentate sotto forma
di tesi: sono i Principi di
filosofia (1644).
Inizia quindi (1647) una
corrispondenza con la regina Cristina di
Svezia, figlia di re Gustavo
II Adolfo di Svezia,
assai interessata alle sue idee, e nel 1649 si lascia convincere a
intraprendere un viaggio in Svezia per darle lezioni. Proprio a Stoccolma muore
per un'infreddatura nel 1650.
Il
progetto e il metodo
Fin dall'inizio delle
sue ricerche su musica, ottica, matematica e geometria, Cartesio segue un piano
preciso: è il progetto di una scienza interamente nuova, sganciata dall'insieme
di nozioni che si insegnavano nelle scuole. Per garantire piena libertà alla
ricerca sul mondo fisico e alla riflessione sulla psiche umana, Cartesio
afferma l'esistenza di due sostanze radicalmente diverse: la sostanza estesa, propria dei corpi che
si estendono nello spazio; la sostanza
pensante, propria della mente.
Il passo successivo è
quello di disfarsi del patrimonio di conoscenze generalmente accolto, che
Cartesio respinge in blocco, convinto che anche un solo uomo possa costruire un
nuovo edificio del sapere, se riesce a individuare il metodo esatto. Questo
metodo è offerto dalle matematiche che forniscono la struttura logica, cioè il
modello di ragionamento deduttivo da utilizzare. Tale modo di procedere viene
sintetizzato nel Discorso sul metodo in quattro regole: evidenza (non accogliere come vera una
cosa a meno che non ti sembri tale con piena evidenza, cioè accogli solo quelle
affermazioni sulle quali non puoi formulare il benché minimo dubbio), analisi (dividi ogni difficoltà che
incontri in particelle), sintesi
(organizza i pensieri con ordine, partendo dai più semplici per arrivare ai più
complessi), enumerazione e revisione
(fai verifiche ed enumerazioni complete e generali).
Fisica e
metafisica
Nel trattato incompiuto sul Mondo Cartesio
propone le sue ipotesi sulla struttura corpuscolare del mondo fisico: parla
della natura della luce, della teoria dei vortici di materia eterea al centro
dei quali ruoterebbero in cielo stelle e pianeti, espone le leggi del moto (tra
cui la legge d'inerzia), la sua fisiologia, anatomia e psicologia. Il tentativo
di spiegazione è rigorosamente meccanicistico: tutti i fenomeni fisici,
biologici e psicologici appaiono a Cartesio conseguenze necessarie del moto di
corpuscoli (particelle di materia, dalle forme e grandezze diverse), impresso
originariamente da Dio, ma sottoposto a leggi meccaniche immutabili.
Il percorso metafisico (così come si sviluppa nel Discorso
sul metodo e nelle Meditazioni sulla filosofia prima)
inizia invece dall'esercizio del dubbio più radicale, rifiutando tutte le
conoscenze acquisite. I nostri sensi ci ingannano, per esempio un remo immerso
in acqua ci appare spezzato, e in alcuni casi non sappiamo neppure se siamo
svegli oppure sogniamo. Non solo temiamo di essere ingannati dai nostri sensi,
ma potremmo anche essere ingannati da un genio (o spirito) maligno, molto più
potente dell'uomo. Tuttavia, mentre dubitiamo, sappiamo di essere portatori di
un pensiero: se vengo ingannato, se ho pensieri anche falsi, in una parola se
dubito, esisto in quanto sono un'entità spirituale che pensa (dubito, ergo sum ‒ scrive Cartesio ‒ cioè "dubito, dunque esisto"). È a partire da questo punto che il filosofo inizia la
ricostruzione del sapere, affermando la precedenza della sostanza pensante (l'anima) sulla sostanza estesa (il corpo): so di pensare prima di sapere di avere
un corpo fisico esteso.
Dal
pensiero al mondo
L'analisi del pensiero autocosciente (so di pensare) conduce
quindi a stabilire che l'essere è inseparabile dal pensiero: il pensiero è un
attributo che mi appartiene necessariamente e io so di esistere come essere
pensante. E proprio dall'analisi di questo atto di autocoscienza Cartesio trae
il suo fondamentale criterio di verità: posso dire "penso, dunque sono" in quanto vedo con la massima chiarezza
che per pensare bisogna essere, dunque si potrà dire come regola generale che
le cose che noi concepiamo molto chiaramente e molto distintamente sono vere. Tale conclusione sarà
poi ampiamente criticata, nel Seicento, dal filosofo inglese Thomas Hobbes.
A partire dal possesso
di questa prima verità, Cartesio cerca se sia possibile uscire dalla sfera del
pensiero per recuperare una realtà fuori di esso.
La consapevolezza di
esistere come essere pensante è una garanzia che, oltre a me, esiste anche una
realtà esterna, la realtà del mondo fisico, descritto nei Principi
di filosofia in
termini meccanicistici. Anche per quanto riguarda l'uomo, il processo delle
funzioni vitali e del sistema nervoso viene descritto in termini puramente meccanici, fino al sopraggiungere
della morte, intesa come dissoluzione della macchina umana.
Cartesio afferma
quindi un netto dualismo tra corpo
materiale (che funziona in base a principi propri) e sostanza spirituale (che è innanzi tutto coscienza); quest'ultima è
unita ed è in relazione con il corpo attraverso la ghiandola pineale, collocata al centro del cervello.
Dal mondo
a Dio
La via di ricerca è dunque quella
dell'analisi dei contenuti del pensiero, cioè delle idee. Proseguendo su questa
strada, troviamo che nella mente dell'uomo è presente l'idea di Dio come essere
eterno, infinito, onnipotente e creatore; tale idea non può essere stata
prodotta dall'uomo, che è invece limitato e finito. Dunque l'idea d'infinito
(idea che ci appare chiara e distinta) è innata e deve avere la sua causa in un
essere infinito (Dio appunto) che l'ha messa in noi. Risolto il dubbio e
ottenuta la certezza metafisica dell'esistenza di Dio, Cartesio può quindi
affermare che il criterio delle idee chiare e distinte e l'esistenza di un
mondo esterno conoscibile dall'uomo in maniera veritiera poggiano su una garanzia offerta da Dio.
Cartesio
scienziato
Assai
importante è l'opera scientifica di Cartesio, che è stato un grande matematico,
soprattutto per il nuovo metodo da lui introdotto in geometria: il metodo delle coordinate che permette di
individuare un punto del piano per mezzo di una coppia ordinata di numeri.
Questo metodo consente di tradurre i problemi algebrici in problemi geometrici
e viceversa, fondando una nuova scienza, la geometria analitica.
Anche in ottica Cartesio ha
conseguito risultati importanti, come la formulazione delle leggi della rifrazione; inoltre in meccanica si deve a lui un
enunciato del principio d'inerzia e
delle leggi della comunicazione del
movimento: ogni parte della materia ‒ scrive Cartesio ‒ conserva lo stesso
stato, fino a quando le altre parti, urtandola, non la costringono a cambiarlo;
inoltre, una volta che essa abbia cominciato a muoversi, continuerà a farlo con uguale forza, fino a quando le altre parti non
la fermeranno o ne impediranno il movimento. (Tratto da Anna Lisa Schino “Enciclopedia dei ragazzi” 2005)
Le
reazioni al pensiero di Cartesio
A Parigi, il gesuita Pierre Bourdin
organizza un dibattito pubblico nel quale vengono messe in discussione le tesi
filosofiche di Cartesio, in particolare le teorie esposte nella "Diottrica".
Cartesio rimane molto turbato da questi attacchi. Inizia in questo anno la
stesura dei "Principia philosophiae".
Sul piano culturale la situazione
precipita talmente che nel 1642 il senato accademico dell'università di Utrecht
vieta l'insegnamento della "nuova filosofia" cartesiana. A
Utrecht escono due libri di Voet e del suo ex allievo, Martijn Schoock, nei
quali è accusato di ateismo. Cartesio reagisce con l' "Epistola ad
celeberrimum virum D. Gisbertum Voetium".
Anche l'università di Leida condanna sul piano teologico
Cartesio, accusato ora di essere "più che pelagiano e blasfemo".
Amareggiato da questi voluti fraintendimenti del suo pensiero, parte per la
Francia. Dopo un soggiorno in Bretannia e in Turenna, a Parigi incontra Blaise Pascal, fragile e
malato, e con lui discute problemi relativi al vuoto, alla pressione dell'aria
e alle esperienze condotte da Torricelli. Tornato in Olanda, rielabora alcuni
suoi precedenti appunti di ricerche nel campo della fisiologia e inizia la
redazione di "Primae cogitationes circa generationem animalium"
(pubblicati postumi).
La Scienza cartesiana
Nell'infuriare delle
polemiche è per Cartesio di conforto l'interesse che per le sue ricerche
manifesta Cristina di
Svezia. Nell'inverno si reca
a L'Aja per conoscerla. Tra la fragile e melanconica principessa e il filosofo si stabilisce una forte intesa
intellettuale; Cartesio ne ammira lo spirito pronto e riflessivo. A lei
dedicherà i "Principia philosophiae". Il 20 novembre 1663 le sue
opere vengono messe all'indice dalla Congregazione romana.
Riflessioni
sulla filosofia di Cartesio
Cartesio, di fatto si pone il problema di rifondare il
sapere dopo la delusione alla quale lo hanno portato gli approfonditi studi canonici
compiuti nel
collegio gesuita di La Fléche. È in questo senso che possiamo parlare di
Rivoluzione, cioè azzerare tutto quanto impostato fino ad ora per ridisegnare
un nuovo impianto del sapere. Egli è scettico su tutto quello che la tradizione
gli ha trasmesso e arriva a promettere di fare un pellegrinaggio alla Madonna
di Loreto, se sarà da lei aiutato ad impostare le fondamenta del nuovo edificio
del sapere.
Il primo
passo è quello di impostare un metodo, una regola che possa stabilire il
corretto percorso del sapere. Questo percorso, come abbiamo visto, deve partire dall’Evidenza: “non accogliere mai nulla per vero che non sia più che
evidente, chiaro e distinto, senza nessuna possibilità di dubbio”. Seconda
regola l’Analisi, cioè dividere ogni
problema in sotto problemi più semplici. Terza regola la Sintesi, cioè condurre pensieri ordinatamente a cominciare dai più
semplici ai più complessi. Quarta regola la Revisione, ricontrollare tutti i passaggi e verificare che non si
sia perso nulla.
Fermiamoci
un momento sul primo passo, l’Evidenza,
che suggerisce di accogliere solo ciò che si presenterà in modo inequivocabile
e incontrovertibile. Ma qui Cartesio comincia a dubitare di tutto, il così
detto “dubbio cartesiano” adottato come metodo.
Con queste due frasi tratte dal “Discorso sul metodo”, Cartesio
distrugge il valore dell’esperienza, distrugge totalmente tutta la Metafisica classica,
tutto il sapere tradizionale.
In
altre parole Cartesio dice di non fidarsi dell’esperienza, ma della sola
ragione, negando quindi il realismo della filosofia greca e la filosofia
dell’essere di san Tommaso d’Aquino.
Ecco
perché si parla di rivoluzione radicale della filosofia. Con la filosofia
classica il pensiero, quando conosce la realtà si lascia penetrare da essa. È la realtà che guida il pensiero. Ora
invece si abbandona la realtà perché potrebbe essere una illusione, una pura
rappresentazione mentale, che si frappone fra il pensiero e la vera realtà. Non
possiamo più utilizzare come prima la realtà come inizio del filosofare, c’è
sempre il forte dubbio che quello che vediamo sia un’immagine come quella dei
sogni, che appaiono veri, ma che in realtà non lo sono. Tutto questa sembra di
un rigore encomiabile, ma di fatto capovolge e rende vana tutta la faticosa e
fantastica costruzione della filosofia classica, cioè mette in dubbio
l’esistenza dell’essere.
Cartesio
cerca di affermare che fuori del pensiero potrebbe anche esserci il nulla. La
nostra mente, secondo Cartesio, non coglie le cose in quanto tali, ma coglie
solo le modificazioni psicofisiche dei nostri sensi. Questo non ci garantisce
che esista davvero qualcosa al di fuori del nostro pensiero. È in dubbio il mio
rapporto con il mondo, c’è una separazione radicale fra il pensiero e l’essere.
L’essere non è più guida al pensiero. Non possiamo quindi porre l’essere come
fondamento per conoscere la realtà.
“Potrei immaginare che io sia frutto di un genio maligno che gode nell’ingannarmi e che mi fa credere anche
nella bontà delle logiche matematiche” dice Cartesio. Quindi nemmeno la
matematica potrebbe essere una scienza esatta, ma pure essa un inganno. Questo
scrupolosissimo scetticismo di Cartesio, che Aristotele, sant’Agostino e san
Tommaso avevano già liquidato con pochi ragionamenti perché contradditori in se
stessi, è ora il punto di partenza della nuova filosofia.
Visto quindi che il dubbio assoluto
mina alle fondamenta tutto il sapere e non c'è più un sapere sicuro, non ci
sarà neppure una morale sicura: quindi la necessità per
Cartesio, sino a quando non sarà ricostruito l'edificio del sapere, di
costruirsi un riparo, un alloggio provvisorio, una morale provvisoria.
La ragione cioè lo obbliga,
introducendo il dubbio assoluto, a sospendere tutti i suoi giudizi, ma questo significherebbe rinunciare
anche alla morale, perciò si sente obbligato a far entrare dalla finestra una
morale provvisoria le cui regole deduce dall'istruzione gesuitica ricevuta:
·
«obbedire alle leggi e ai costumi del proprio paese,
osservando con fermezza la religione nella quale Dio mi aveva fatta la grazia
di essere stato educato». Inoltre ispirare il proprio comportamento al modo di
agire delle persone di più buon senso, più assennate. Poiché, sostiene Cartesio
quello che più conta sono le azioni e non le parole;
·
sui problemi pratici più immediati, evitare gli eccessi e
seguire la strada di mezzo, anche se non si è molto convinti.
·
risolutezza nelle azioni, una volta decisa una strada
percorrerla sino in fondo altrimenti si rischia di fare come chi si è perso e
indeciso gira su sé stesso.
·
quando infine si vede che le cose non vanno come uno
desidera che vadano, allora, piuttosto che tentare di cambiare il mondo,
conviene cambiare se stessi.
In questo panorama di dubbi e
incertezze una sola cosa sembra essere certa e incontrovertibile: “Cogito ergo
sum”, il fatto che se penso, sbagliando o no, dubitando o no, vuol dire che comunque
almeno io sono. Attenzione però la frase completa è: “Cogito ergo sum res cogitans” , penso, quindi sono (non esisto, ma
sono) una sostanza che pensa. Penso,
quindi sono una sostanza che pensa.
La
pietra fondamentale della nuova filosofia, del nuovo edifico della filosofi, è
dunque l’esistenza del pensiero, il pensiero, almeno lui, esiste (Res
cogitans).
Oltre
che della propria esistenza il soggetto è anche certo delle proprie idee che
sono per Cartesio l’oggetto immediato del pensiero stesso, cioè la
rappresentazione che il soggetto ha necessariamente nell’atto del pensare. In
questo senso egli non riconosce alcuna autonomia ad esse (come aveva voluto
Platone) ma le considera assolutamente dipendenti dall’atto del pensare proprio
dell’oggetto: senza il pensare non ci sarebbero idee.
Cartesio: le Idee e
il loro rapporto con Dio
Se io sono sostanza pensante, il mio pensiero deve essere
caratterizzato da un contenuto, ovvero deve configurarsi come idea. Cartesio
distingue tre tipologie di idee:
1) IDEE INNATE: cioè nate con noi, sono come un patrimonio costitutivo della
mente (l'idea matematica, l'idea di Dio), idee cioè connaturate alla mente,
2) IDEE AVVENTIZIE: derivano, tramite la nostra sensibilità, da oggetti esterni e
sono indipendenti dall'uomo, idee cioè provenienti da cose esistenti
all’infuori del soggetto,
3) IDEE FITTIZIE (dal latino fingo, fingo, immagino):
finzioni da noi inventate (come l'idea dell'ippogrifo o quella della chimera).
Il rapporto tra le idee e la realtà è però dubbio: non ne garantisce la validità. Cartesio allora cerca un
punto fermo dal quale partire e che dia validità alle idee. Individua questo
punto in Dio: infinitamente buono e quindi incapace di falsità o inganno.
Cartesio,
prendendo da Sant’Anselmo, dice che in questo pensiero trovo l’idea di Dio,
essere perfetto, che non posso aver pensato io, che sono limitato, deve per
forza essere già dentro di me da prima. All’idea di Dio deve corrispondere
l’esistenza.
Dopo
la prima pietra (il pensiero) del nuovo edificio c’è la seconda che è Dio. Ora
se c’è Dio ed è l’essere perfetto, Dio non può ingannare (non è il genio
maligno), quindi diciamo che esiste la sostanza del pensiero ed esiste la
sostanza Dio, cioè la realtà del pensiero e la realtà di Dio. Dio è allora il
garante che mi conferma che la realtà fuori di me esiste. Dio comunque non
garantisce tutti gli aspetti della realtà esterna, ma solo quelli
quantificabili (aspetto matematico della realtà alla maniera di Galileo).
Cartesio attribuisce a questa realtà esterna al soggetto il carattere dell’Estensione. In altre parole Dio
garantisce che questo tavolo è 3 metri per 1 metro, ma non garantisce che sia
davvero marrone come appare.
Quindi
in Cartesio c’è il pensiero, c’è l’essere e c’è anche Dio. Non è più l’essere che fonda e guida il pensiero, ma è il pensiero che rifonda l’essere.
Tutto parte dal soggetto e non dall’oggetto. Cartesio è il padre del soggettivismo moderno e della filosofia
moderna. Cartesio rompe i ponti con la realtà che poi cerca disperatamente di
ricomporre con qualche acrobazia.
Cartesio
ora si trova di fronte a due sostanze, il
pensiero e la realtà. La “Res
cogitans” (la cosa pensata) è incorporea, è consapevole e libera, mentre la
“Res extensa” (la realtà fisica) è
corporea, è nello spazio, è inconsapevole ed è determinata.
Considerazioni finali
Ma
come è possibile spiegare l’uomo nel quale queste due sostanze interagiscono continuamente pur essendo
opposte una all’altra? Cartesio qui si inventa la funzione della ghiandola pineale che dice essere l’elemento che presiede a questi
continui scambi fra pensiero e realtà, così come regola gli scambi fra le due
parti uguali e simmetriche del cervello, emisfero destro ed emisfero sinistro. Ovviamente
questa spiegazione di tipo biologico ha poco a che fare con la filosofia. Sarà poi
un rompicapo per i suoi continuatori, che dovranno risolvere il problema del
rapporto tra il pensiero e la realtà, così drammaticamente e inesorabilmente
scissi dal grande e famoso filosofo che è stato Renato Cartesio.
Abbiamo
visto quindi che Cartesio (e poi vedremo anche Bacone) ha prodotto nel pensiero
occidentale questa enorme frattura fra pensiero e realtà, affermando che la
realtà è spiegabile solamente in termini matematici. Le scienze matematiche e
quelle fisiche sembrano essere gli unici modi sicuri per spiegare la realtà. Ciò
che non è matematicamente spiegabile non è reale? Il fine o lo scopo di una
cosa o di un atto non è misurabile quindi non esiste? Nasce qui l’antifinalismo, la realtà non ha più un
fine, uno scopo. Vedremo poi che Leibniz non sarà per nulla d’accordo e
contesterà decisamente l’antifinalismo.
Agostino e Cartesio
Nell’opera: “La controversia accademica”, Agostino nega
allo scetticismo che si possano confutare le verità matematiche o il principio
di non-contraddizione o l'autocoscienza umana. Anticipando di oltre un
millennio Cartesio, Agostino dirà "Se m'inganno sono". Con la
differenza che mentre Agostino voleva dire che, comunque la si pensi, non si
può dubitare della propria esistenza, ovvero lo scetticismo non può arrivare a
negare ciò che lo pone; in Cartesio invece l'esistenza veniva posta come
conseguenza logica del dubbio individuale. La differenza era inevitabile per
questa ragione: il "sum" dell'uno voleva dire "comunque sono",
nell'altro voleva dire "dunque sono". In Agostino il
"sum" voleva essere la controprova di un'esistenza che non dipende da
noi, in quanto di origine divina; nell'ateo Cartesio l'esistenza è come una
conseguenza logica del Cogito, cioè non è data da qualcuno o da
qualcosa di esterno al soggetto, ma si autopone. Con Cartesio nasce
la filosofia borghese, quella che non tollera la dipendenza ontologica dalla
tradizione ecclesiastica (né d'altra parte quella dalla natura né quella dalla
collettività). Con Agostino invece nasce una teologia cristiana agganciata al pensiero
realista di Platone.
Baruch
Spinoza (1632 – 1677)
Filosofo olandese, è ritenuto a ragione uno dei
maggiori esponenti del razionalismo del XVII secolo, antesignano dell'Illuminismo e anche della moderna esegesi biblica.
"Dopo che l’esperienza mi ha insegnato che tutto ciò che
per lo più accade nella vita comune è vano e futile … mi sono alla fine deciso
a ricercare se non potesse esserci qualcosa che fosse un vero bene e fosse
anche comunicabile, e tale che, da solo, cioè quando tutti gli altri fossero
respinti, bastasse ad appagare l’animo". (Trattato sull’emendazione
dell’intelletto - 1661)
Vita
Baruch Spinoza
nacque ad Amsterdam il 24 novembre 1632 da una famiglia di
mercanti ebrei, sefarditi di origini spagnole, stabilitisi in Portogallo e poi
fuggiti in Olanda in seguito alle pressioni dell'intolleranza religiosa
cattolica seguita all'annessione del Portogallo da parte della Spagna.
La sua educazione
iniziale si svolse nella comunità israelitica di Amsterdam (detta «Talmud
Torah», ovvero «studio della legge), dove poté studiare l'ebraico e i testi
biblici, ma anche impratichirsi con i classici latini (Cicerone e Seneca) e
cominciare lo studio della scolastica e di filosofi contemporanei come Bacone e
Descartes (Cartesio) che insegnava nella vicina Leida. Completò la sua educazione presso un libero pensatore di
formazione cattolica, il gesuita Franciscus van den Enden. L'ambiente ebraico
in cui crebbe era altrettanto chiuso e conservatore di tanti altri ambienti
religiosi rigidamente ortodossi. Spinoza era insofferente della rigida
ortodossia ebraica. Per questo motivo si arrivò a uno scontro in cui finì per
essere scomunicato e malamente espulso dalla sua comunità nel 1656. Gli venne
proibito di frequentare la sinagoga, perfino i suoi parenti lo allontanarono,
la sorella tentò di diseredarlo, un membro della comunità particolarmente
fanatico tentò di pugnalarlo. Non si sa cosa sia successo tra Spinosa e la sua
comunità per arrivare a tanto. Disponiamo solo del documento di 'cherem' un
resoconto che fu stilato per l'occasione dai reggenti della comunità, pieno di
ingiurie e di feroci maledizioni.
Spinoza lasciò dunque
Amsterdam per stabilirsi in un villaggio (Rijnsburg, presso Leyda), quindi
trovò sistemazione a L'Aja. In
osservanza al precetto rabbinico di imparare un mestiere manuale, Spinoza era
diventato molatore e tagliatore di lenti ottiche, cosicché riuscì a mantenersi
autonomamente, venendo a rifiutare più volte aiuti in denaro e incarichi
professionali (nel 1673 rifiutò di insegnare all'Università di Heidelberg) per
salvaguardare, come egli stesso ebbe a dire, la sua libertà di pensiero.
Condusse un'esistenza appartata e modesta, guadagnandosi da vivere solo col suo
lavoro di tornitura e pulitura di lenti per occhiali. Fu però in stretto
contatto epistolare con molti dei maggiori studiosi del suo tempo, come
Christian Huyghens e Henry Oldenburg, segretario della Royal Society, e con Jan
de Witt, capo dell'opposizione liberale agli Orange.
Fu
l’esistenza di un uomo modesto e lieto, raccolto nella meditazione, schivo di
onori, sprezzante della ricchezza, del tutto alieno da risentimenti e rancori,
ma non privo di quelle passioni simbolo stesso della vita. Da rifiutato era ben
consapevole di vivere in una società fanatica e intollerante, ma rimase sempre
sereno, deciso a salvaguardare la propria tranquillità interiore, non volendo
perdere la cordialità e la cortesia nei confronti di chiunque, ricchi o no,
gente semplice o esimi dotti.
Le Opere
La
prima opera filosofica composta da Spinoza fu un Trattato su Dio e su l'uomo e
la sua felicità (noto ora con il nome di Breve
trattato su Dio) che andò perduto e fu ritrovato e pubblicato verso la metà
dell'800 in una versione olandese. Nel 1663 fu pubblicato il solo scritto di
Spinoza apparso sotto il suo nome, i Princìpi
di filosofia cartesiana, con un'appendice di Pensieri metafisici, nei quali venivano accennate le divergenze
dell'autore da Cartesio. Nel 1670 comparve anonimo il Trattato teologico-politico che si proponeva di dimostrare che «in
una libera comunità dovrebbe essere lecito ad ognuno pensare quello che vuole e
dire ciò che pensa». Il libro fu subito condannato sia dalla Chiesa protestante
che da quella cattolica. Intanto, egli veniva lavorando alla sua opera
fondamentale, l'Ethica dimostrata secondo l'ordine geometrico,
che nel 1674 era terminata; tuttavia, Spinoza ne rinviò la pubblicazione perché
essa ne avrebbe immediatamente provocato la condanna; sicché l'opera fu
pubblicata solo dopo la sua morte, nel 1677, in un volume di Opere postume che
comprendeva, oltre l'Ethica, un Trattato politico, un Trattato sull'emendazione
dell'intelletto, entrambi incompiuti, e un certo numero di Lettere. Spinoza era
ammirato dai filosi di tutta Europa, Leibniz per esempio gli fece visita
personalmente.
Morì
di tubercolosi a soli 44 anni, il 21 febbraio 1677. Subito dopo la sua morte la
sua filosofia venne all’unanimità tacciata di "ateismo" (da ricordare
che all'atto della pubblicazione il suo Trattato teologico-politico fu ritenuto
empio e blasfemo sia dai cattolici che dai protestanti). Spinoza rappresentò
l’uomo della tolleranza e della ricerca instancabile, l’avversario di ogni
dogmatismo, di ogni chiusura intellettuale e morale, di ogni ortodossia
teologica, ecclesiastica o politica che ostacoli o vieti la libertà di pensare
e quella, non meno importante, di esprimere le proprie idee e di insegnare.
Opere
principali:
·
Breve trattato su Dio,
sull'uomo e la sua felicità (1661);
·
Trattato sull'emendazione
dell'intelletto (1661);
·
Trattato teologico-politico
(1676);
·
Etica dimostrata in ordine
geometrico (1677).
Il pensiero di
Spinoza
L’opera
cardine del pensiero di Spinoza è l’”Ethica ordine
geometrico dimonstrata”. L’intento è quello di
utilizzare gli strumenti tipici della matematica e della geometria per spiegare
Dio. Il metodo che introduce è quello induttivo geometrico. Spinoza sostiene
che i vari fenomeni naturali che esistono non sono altro che il “frutto di una necessità razionale assoluta”.
Questo per affermare che esiste un Dio e da questo Dio tutto procede in maniera
necessaria.
“Posto Dio, tutto procede con la stessa rigorosità con cui,
posta la natura del triangolo, tutti i teoremi concernenti il triangolo
“procedono” rigorosamente e non possono non procedere”.
Come il triangolo esiste e racchiude
in se tutti i teoremi e le caratteristiche matematiche e geometriche che lo
compongono, così Dio è un qualcosa che esiste, e non può non esistere, che si
impone e da Lui procedono automaticamente e meccanicamente tutte le cose.
Spinoza
cerca anche di tentare un distacco emotivo nei confronti di Dio, un
atteggiamento obiettivo, non influenzato da sentimenti, ma asettico, rigoroso e
puramente razionale. Questa preoccupazione aprirà poi un discorso che dura
tutt’oggi e cioè che di Dio è meglio che ne parlino gli atei, perché più
credibili e meno influenzati da sentimenti di devozione emotiva e irrazionale
(la Fede). Non è raro infatti anche oggi constatare che a parlare di Dio in
Parrocchia o in televisione siano invitati spesso filosofi notoriamente atei e
razionalisti che garantiscano il fatto di non essere influenzati dalla fede
(separazione netta dunque fra Fede e Ragione).
Con
Spinoza però si ritorna sul concetto di Sostanza di Aristotele che risponde
agli interrogativi sull’essere. Con Cartesio abbiamo la definitiva morte della
metafisica perché la realtà si spiega con la realtà senza nessun perché o senso
della realtà stessa. Con Spinosa recuperiamo il concetto che la realtà si
spiega con Dio. Nella metafisica si parla di sostanze differenti fra loro e
gerarchicamente organizzate, con Spinoza si parla di un’unica sostanza: “la sostanza è una ed è Dio”.
Qui
si fa riferimento a Cartesio per quanto riguarda la sua affermazione che
esistono due sostanze, il pensiero e la
realtà e al bisogno di Spinosa di riconciliarle immaginando l’esistenza di una
sola sostanza che le comprende entrambe e che è Dio. “Nella natura nulla è dato oltre la sostanza e le sue affezioni”.
La sostanza è Dio, tutto è in Dio. Il Dio di Spinoza è causa di sé (causa sui), è autofondamento (Fondamento
di se medesimo). Altro concetto, che c’è anche in Cartesio e in Sant’Anselmo, è
che se Dio è l’essere perfetto non gli può mancare l’essere.
Ricordando che Cartesio suddivide la realtà in res cogitans e res
extensa. Cioè con res
cogitans intende la realtà psichica a cui lui attribuisce le seguenti qualità:
inestensione, libertà e consapevolezza. La res
extensa rappresenta invece la
realtà fisica, che è estesa, limitata e inconsapevole. Queste due res che erano
considerate da Cartesio sostanze in senso secondario, diventano con Spinoza due
degli infiniti attributi dell’unica e medesima sostanza.
Non
c’è più bisogno di raccordare il pensiero res cogitans con la realtà
fisica res extensa, la mente con il
corpo, perché tutto quanto sta dentro la sostanza (pensieri, persone, cose,
idee, ecc.), la sostanza è Dio, Dio è tutto, Dio è in tutto. Da Dio tutto
procede in maniera automatica e meccanica. In Spinoza quindi la visione di Dio
è sostanzialmente panteistica.
Il Dio, unica
sostanza, di Spinoza è l’origine del mondo, “natura naturans” espressione latina, traducibile con natura naturante, che si trova
anche in Giordano Bruno. Il
verbo "naturare", un neologismo latino, vuole
rendere l'azione tipica della natura, ovvero il produrre della natura, la sua
stessa realtà.
Dio
è quella forza, quella energia che ha dato vita a tutta l’esistenza e a tutto
l’esistente. Dio è anche il Dio degli attributi, sostanza infinita perché
infiniti sono gli attributi, le qualità, le affezioni. L’uomo ne conosce solo
due: la res cogitans e la res
extensa (il proprio pensiero
e la realtà fisica).
Il mondo che
vediamo si manifesta in “modi”. I modi sono delle specificazioni degli
attributi, è la realizzazione di tutto ciò che vediamo e sentiamo in noi e al
di fuori di noi. E tutto questo è Dio. Dio è all’origine di tutto, ma è anche
dentro tutto. Dio produce le cose e rimane dentro le cose. Dio non è causa
trascendente che sta al di sopra, ma una causa immanente, che sta dentro le
cose. “Tutto ciò che è, è in Dio e nulla può essere o essere concepito senza
Dio”.
Il Dio di Spinoza è antitetico al Dio della tradizione giudaico
cristiana, non è un Dio Persona come nel cristianesimo,
quindi non è interessato ad un rapporto con l’Uomo, non ha una volontà e un
intelletto che si abbassi a quello dell’uomo. Dio è sostanzialmente una forza, una
forza che agisce per necessità, è un Dio che non ha provvidenza, cioè non
provvede e non crea, non ha suoi scopi (antifinalismo di Spinoza). Dio è una
forza che produce, ma non per amore, produce e genera tutto per necessità e non
per virtù.
Nascono qui le contrarietà con la sua
comunità ebraica che lo radierà dalla comunità. Il 27 luglio 1656 fu data lettura di un testo in ebraico di fronte alla volta della
sinagoga dello Houtgracht: un documento di cherem (scomunica), gravissimo e mai revocato che diceva: “I Signori del Mahamad rendono noto che, venuti a conoscenza già
da tempo delle cattive opinioni e del comportamento di Baruch Spinoza, hanno
tentato in diversi modi e anche con promesse di distoglierlo dalla cattiva
strada. … Avendo esaminato tutto ciò in presenza dei Signori Rabbini, i Signori
del Mahamad hanno deciso … Che sia maledetto di giorno e di notte, mentre dorme
e quando veglia, quando entra e quando esce. Che l'Eterno non lo perdoni mai.
Che l'Eterno accenda contro quest'uomo la sua collera e riversi su di lui tutti
i mali menzionati nel libro della Legge; che il suo nome sia per sempre
cancellato da questo mondo e che piaccia a Dio di separarlo da tutte le tribù
di Israele…”. Fu poi rappresentato
come Giudeo e Ateo in alcune stampe dell’epoca.
Gottfried
Wilhelm von Leibniz (1646 – 1716)
Leibniz si
preoccupa innanzi tutto di salvaguardare la Filosofia, che si occupa dei
principi universali e cerca il fine
della realtà, dal pensiero scientifico che si occupa invece di capire
come le cose sono fatte e che di conseguenza considera solo le cose
matematichezzabili (misurabili con certezza) e non si preoccupa del fine.
Egli è convinto che a fondamento della realtà (res cogitans e res
extensa) esiste un principio di
natura metafisica (e non fisica), una sostanza spirituale che lui chiama
“monade”. La monade è in definitiva una sostanza, ma non unica come
Spinoza, ma tante e infinite monadi, tante quanti sono gli enti. Ogni ente è
una monade e una monade è una forza originaria, una sostanza originaria
chiusa in se, distinta dalle altre, capace d’azione, che non comunica con le
altre che però vengono ordinate sapientemente da Dio che ne ricava una
“armonia prestabilita”, cioè il migliore dei mondi possibile.
«la
monade non è altro che una sostanza semplice che entra nei composti; semplice
cioè senza parti».
La monade di Leibniz non è l’atomo
fisico ma l’atomo metafisico, è puro pensiero, è un essere completo e
indistruttibile, centro di attività e di forza che contiene nella sua natura
tutti i proprî predicati, quindi tutta la propria storia; ogni monade è indipendente
rispetto alle altre e si svolge chiusa in sé stessa e tuttavia in armonia,
con lo sviluppo delle infinite altre monadi create da Dio e in ciascuna si
rispecchia tutto l’universo che essa esprime secondo la propria posizione.
Pensiamo
di prendere due orologi, uno che rappresenta il pensiero (la mente), l’altro
la realtà (il corpo). In Cartesio un orologio influenzerebbe l’altro e
viceversa grazie alla ghiandola pineale. Per Leibniz invece, usando il
concetto di monade, questi due orologi sono creati dalla mente perfetta di
Dio che li ha fatti talmente perfetti, combinati e sintonizzati, che, pur non
comunicando fra loro, lavorano automaticamente e meravigliosamente
all’unisono.
A Gottfried Leibniz, matematico, si deve il termine "funzione" (utilizzato per la prima volta in un testo
di matematica a stampa nel 1692)
che egli usò per individuare le proprietà di una curva.
A Leibniz,
assieme a Isaac Newton, vengono
generalmente attribuiti l'introduzione e i primi sviluppi del calcolo infinitesimale, in
particolare il concetto di integrale,
per il quale si usano ancora oggi molte sue notazioni. È considerato il
precursore dell'informatica e
del calcolo automatico: fu inventore di una calcolatrice meccanica detta Macchina di Leibniz.
La
concezione finalistica dell’universo
di Domenico
Massaro – Enciclopedia Treccani
Nel
segno dell’armonia
Leibniz è una delle personalità più versatili e complesse
della modernità, che coltivò interessi molteplici, dalla filosofia alla
matematica, dalla storia alla logica, alla politica. In un’epoca segnata da
crisi e lacerazioni, nutrì con tenacia il sogno della conciliazione tra le
religioni e dell’unificazione dei popoli d’Europa sotto le insegne di un
rinnovato impero universale di tipo medievale. Obiettivi impossibili da
raggiungere, ma di un valore simbolico che trascende il momento storico in
cui furono elaborati (tanto da risultare in gran parte ancora oggi
suggestivi). E sempre sotto il segno dell’armonia si colloca l’altro grande
disegno che impegnò il filosofo per tutta la vita: l’unificazione del
meccanicismo proprio dell’età a lui contemporanea (la natura retta da
rapporti di causa-effetto) con il finalismo degli Antichi (la natura ordinata
da una Mente in vista del raggiungimento di un fine prestabilito: per es. il
Sole creato apposta per consentire la vita).
Scienza
ed empietà
Sin
da giovane, Leibniz fu attratto dalla filosofia, che egli intende in modo
pratico come difesa della fede in Dio e, più in generale, come maestra di
vita. Un progetto che culminerà nella Teodicea,
l’opera che sin dal titolo proclama l’intento di giustificare razionalmente
la bontà di Dio e la libertà umana, due aspetti che molti intellettuali del
tempo - come Pierre Bayle, autore del celebre Dizionario storico-critico - mettevano in discussione a causa
della presenza del male, sia morale che fisico (ingiustizie, vizi e peccati;
ma anche terremoti, alluvioni, disastri naturali). Una giustificazione che il
filosofo ritiene tanto più necessaria dopo Cartesio. Quest’ultimo, infatti,
con la nota distinzione tra res
extensa e res cogitans, aveva assecondato, secondo Leibniz,
la tendenza atea che si cela nella scienza moderna, dominata dalla pretesa di
spiegare l’universo come una grande macchina in cui non c’è posto per Dio, ma
solo per i corpi, le forme, le figure e il moto (caratteri geometrici, come
aveva detto Galileo).
Una
tendenza che non a caso sfociava nella negazione del finalismo, cioè
dell’idea che anche il più piccolo degli esseri (un insetto) non fosse
l’insignificante frutto del caso, ma avesse un valore derivante dal fatto che
il Creatore lo aveva scelto e dotato di tutte le perfezioni necessarie alla
propria vita e all’esistenza degli altri esseri, in un sistema integrato e
armonico.
Empie sono, dunque, la scienza e la filosofia moderne agli occhi di Leibniz, come dimostrano gli esiti estremi raggiunti con Hobbes, secondo cui l’universo è popolato solo da corpi, e con Spinoza, che identifica Dio e Natura in una visione deterministica che non lascia spazio alcuno alla considerazione delle cause finali (v. B. Spinoza, Sul concetto di causa finale).
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Commento di don
Claudio Crescimanno
Dopo aver tentato di comprendere la posizione e
l’orientamento mentale e filosofico di questi ultimi autori, facciamo alcune
considerazioni. Questi autori sembrano proporre una filosofia che sfida il più
elementare e comune buon senso.
A suo tempo, a proposito del realismo dei filosofi greci
avevamo già fatto cenno a Jean-Jacques
Rousseau (che poi
vedremo) dicendo che questi esordisce in uno dei suoi lavori affermando che “per capire la realtà dobbiamo per prima cosa
togliere di mezzo i fatti”, cioè la realtà stessa. Questo lo avevamo rilevato per evidenziare il grande salto che ci
sarebbe stato tra una filosofia completamente appoggiata alla realtà, o meglio
che parte dalla realtà (Aristotele, ecc.) ad una filosofia moderna che prende
le distanze dalla realtà per capirla meglio. Per capire la realtà, per prima
cosa dobbiamo togliere di mezzo la realtà.
Guardiamo questa svolta della
filosofia prendendo come punto di osservazione il passato, cioè la sua visione realista,
quella della filosofia di Aristotele, quella della patristica e della
scolastica fino a san Tommaso.
La filosofia realista si concentra
su tre temi o oggetti: Dio, L’Uomo, il mondo. La prima cosa a cui il
filosofo presta attenzione e conosce è il mondo, si imbatte nel mondo,
sperimenta il mondo, tocca la realtà del mondo (si sporca le mani in esso).
Osservando il mondo impara a conoscerlo. A partire da ciò che è, e dai
presupposti per cui è ciò che è, postula e poi dimostra l’esistenza e gli
attributi fondamentali di Dio (motore immobile, intelligenza creatrice e
architetto dell’Universo, ecc.). Questo lo aiuta a capire poi l’Uomo e lo vede come
l’essere più vicino a Dio e il mondo come base per la vita dell’Uomo e punto di
osservazione della realtà visibile e non visibile. Dal Mondo conosco Dio, da
Dio conosco l’Uomo.
Con il modernismo si ha una
rivoluzione epocale. Viene azzerato tutto ciò che è stato pensato, ponderato e
dimostrato prima, per mettere in piedi una diversa filosofia. Rifiuto totale e
senza mezzi termini della filosofia classica per la quale ora non c’è più
posto. Si riparte d’accapo e non si utilizzano più gli encomiabili sforzi
precedenti per costruire mattone su mattone la verità con ragionamenti assodati
e verificati dai più illustri pensatori, filosofi e teologi, come si era fino
ad ora fatto. Si butta via tutto, il bambino insieme all’acqua sporca.
La filosofia moderna non è più lo
sviluppo delle tappe precedenti, perché ora è il processo conoscitivo che è
completamente nuovo e rivoluzionario. Non si parte più dal mondo, dalle cose,
cioè dalla realtà così come ci appare e come tocchiamo con mano e con i sensi,
ma dal pensiero dell’uomo. L’uomo è una sorta di uomo dimezzato del
quale consideriamo una sua sola componente: il pensiero. È una vera e propria
rivoluzione antropologica. È il pensiero dell’uomo che immagina Dio, è il
pensiero dell’uomo che determina il mondo e le cosa. È il pensiero che va a
cercare degli oggetti che si proporzionino a lui. Non è più la realtà che si
impone alla mia conoscenza attraverso a come è fatto il mondo e che mi fa
capire che c’è qualcuno che lo ha fatto, perché il mondo non ha in se la
ragione necessaria e sufficiente della propria esistenza. Dalle caratteristiche
con cui è fatto il mondo (la sua bellezza, la sua bontà, la sua verità, ecc.)
capisco alcune caratteristiche di Colui che l’ha fatto.
Adesso non è più così, il pensiero
proporziona a se la realtà che gli sta intorno, decide lui cosa è e cosa non è.
Non è più la realtà, quella visibile e quella invisibile che si impone a me per
ciò che è. Ora è il mio pensiero (non io come persona composta da anima, corpo,
sensi e sensazioni, affetti, coscienza ecc.), solo il mio pensiero è colui che
proporziona a se gli oggetti della conoscenza.
Dio non ha più una sua fisionomia,
conosciuta attraverso le cose che mi parlano di Dio. Per esempio se le cose
sono belle, Colui che le ha fatte sarà il Bello per eccellenza, cioè la
Bellezza. Ora Dio ha la fisionomia che il pensiero gli da. A Cartesio Dio serve
come garante della sperimentabilità delle cose e questa per lui è la fisionomia
di Dio. Per Spinoza Dio è la Sostanza che poi si disperde e si scioglie nelle
singole sostanze che poi sono l’unica Sostanza, una unica cosa presente e
realizzata nelle cose che io tocco e io vedo.
Quindi Dio ha la fisionomia che gli
do io. Il mondo ha la fisionomia che gli do io. Un oggetto che ho davanti, per
esempio un bicchiere, è vero se per il mio pensiero è vero. Non come prima che
lui c’è e il mio pensiero lo coglie e quando io non ci sono lui è sempre li ed
esiste ugualmente anche senza la mia presenza. Ora il bicchiere ha diritto di
esistenza e di cittadinanza nella misura, nel tempo e nel modo che il mio
pensiero gli consente di essere e di stare. La ricerca della Verità che tanto
aveva appassionato gli antichi è ora un abito fuori moda.
Il Coraggio della Verità
(Joseph Ratzinger)
Il coraggio della
Verità e la gioia nella Verità sono connotati essenziali della fede cristiana. Solo
di qui possiamo nuovamente comprendere il compito missionario della Chiesa. È
solo di qui che esso riceve il suo diritto e il suo senso: l’uomo ha bisogno
della Verità, il mondo ha bisogno della Verità. Senza di essa, la nostra vita
rimane non vera: cioè perduta e senza salvezza. La Verità, che ci viene donata,
non è nostra creazione. Non ce ne possiamo vantare, ma nemmeno ci è permesso
nasconderla per falsa modestia. Noi derubiamo il mondo, per così dire, della
più importante materia prima, di cui esso ha bisogno per vivere, quando
seppelliamo angosciati la Verità, come ha fatto quel servo di cui parla il Vangelo,
il quale nascose il suo talento invece di farlo fruttare […].
I nostri limiti e quelli delle parole umane non devono indurci a cadere
nel relativismo, che rinuncia alla Verità. Con Gesù Cristo, Dio si è rivelato e
ci ha fatto dono della Verità: Dio vuole la salvezza di tutti e ci vuole al
servizio della salvezza proprio come lampade della Verità, accese in questo
mondo (così come questo mondo è oggi). Dobbiamo risvegliare la consapevolezza
di questa grande responsabilità che ci è stata affidata. Essa deve riempirci di
gioia per il fatto che, come testimoni della Verità, noi possiamo, dobbiamo, cooperare
alla salvezza del mondo. (Tratto da “Omelie romane”, 1983, contenute in
“Collaboratori della Verità” dell’allora cardinale
Joseph Ratzinger ed. San Paolo)
Dall’enciclica
“Veritatis splendor”
di GIOVANNI PAOLO II,
6 agosto, festa della Trasfigurazione del Signore, dell'anno 1993
Introduzione
Lo splendore della verità rifulge in tutte le opere del Creatore
e, in modo particolare, nell'uomo creato a immagine e somiglianza di Dio (cf Gn
1,26): la verità illumina l'intelligenza e informa la libertà dell'uomo, che in
tal modo viene guidato a conoscere e ad amare il Signore. Per questo il
salmista prega: «Risplenda su di noi, Signore, la luce del tuo volto» (Sal 4,7).
Gesù Cristo, luce vera che illumina ogni uomo.
Chiamati alla salvezza mediante la fede in Gesù Cristo, «luce vera
che illumina ogni uomo» (Gv 1,9), gli uomini diventano «luce nel
Signore» e «figli della luce» (Ef 5,8) e si santificano con
«l'obbedienza alla verità» (1 Pt 1,22).
Questa obbedienza non è sempre facile.
In seguito a quel misterioso peccato d'origine, commesso per istigazione di
Satana, che è «menzognero e padre della menzogna» (Gv 8,44), l'uomo
è permanentemente tentato di distogliere il suo sguardo dal Dio vivo e vero per
volgerlo agli idoli (cf 1 Ts 1,9), cambiando «la verità di Dio
con la menzogna» (Rm 1,25); viene allora offuscata anche la sua
capacità di conoscere la verità e indebolita la sua volontà di sottomettersi ad
essa. E così, abbandonandosi al relativismo e allo scetticismo (cf. Gv 18,
38), egli va alla ricerca di una illusoria libertà al di fuori della stessa
verità. Ma nessuna tenebra di errore e di peccato può eliminare totalmente
nell'uomo la luce di Dio Creatore. Nella profondità del suo cuore permane
sempre la nostalgia della verità assoluta e la sete di giungere alla pienezza
della sua conoscenza. Ne è prova eloquente l'inesausta ricerca dell'uomo in
ogni campo e in ogni settore. Lo prova ancor più la sua ricerca sul senso
della vita. Lo sviluppo della scienza e della tecnica, splendida
testimonianza delle capacità dell'intelligenza e della tenacia degli uomini,
non dispensa dagli interrogativi religiosi ultimi l'umanità, ma piuttosto la
stimola ad affrontare le lotte più dolorose e decisive, quelle del cuore e
della coscienza morale.
Ogni uomo non può sfuggire alle
domande fondamentali: Che cosa
devo fare? Come discernere il bene dal male? La
risposta è possibile solo grazie allo splendore della verità che rifulge
nell'intimo dello spirito umano, come attesta il salmista: «Molti dicono:
"Chi ci farà vedere il bene?". Risplenda su di noi, Signore, la luce
del tuo volto» (Sal 4,7). La
luce del volto di Dio splende in tutta la sua bellezza sul volto di Gesù
Cristo, «immagine del Dio invisibile» (Col 1,15),
«irradiazione della sua gloria» (Eb 1,3),
«pieno di grazia e di verità» (Gv 1,14):
Egli è «la via, la verità e la vita» (Gv 14,6). Per questo la risposta decisiva
ad ogni interrogativo dell'uomo, in particolare ai suoi interrogativi religiosi
e morali, è data da Gesù Cristo, anzi è Gesù Cristo stesso, come ricorda il
Concilio Vaticano II: «In realtà, solamente
nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell'uomo. Adamo, infatti, il primo uomo, era
figura di quello futuro, e cioè di Cristo Signore. Cristo, che è il nuovo
Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore, svela anche
pienamente l'uomo all'uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione». Gesù
Cristo, «la luce delle genti», illumina il volto della sua Chiesa, che Egli
manda in tutto il mondo ad annunciare il Vangelo ad ogni creatura (cf Mc 16,15). Così la Chiesa, Popolo di Dio in mezzo
alle nazioni, mentre è attenta
alle nuove sfide della storia e agli sforzi che gli uomini compiono nella
ricerca del senso della vita, offre a tutti la risposta che viene dalla verità
di Gesù Cristo e del suo Vangelo. È sempre viva nella Chiesa la coscienza del
suo «dovere permanente di scrutare i segni dei tempi e di interpretarli alla
luce del Vangelo, così che, in un modo adatto a ciascuna generazione, possa
rispondere ai perenni interrogativi degli uomini sul senso della vita presente
e futura e sul loro reciproco rapporto».
I Pastori della Chiesa, in comunione
col Successore di Pietro, sono vicini ai fedeli in questo sforzo, li
accompagnano e li guidano con il loro magistero, trovando accenti sempre nuovi
di amore e di misericordia per rivolgersi non solo ai credenti, ma a tutti gli
uomini di buona volontà. Il Concilio Vaticano II rimane una testimonianza
straordinaria di questo atteggiamento della Chiesa che, «esperta in umanità», si pone al servizio di ogni uomo e di
tutto il mondo.
La Chiesa sa che l'istanza morale
raggiunge in profondità ogni uomo, coinvolge tutti, anche coloro che non
conoscono Cristo e il suo Vangelo e neppure Dio. Sa che proprio sulla strada della vita morale è
aperta a tutti la via della salvezza, come
ha chiaramente ricordato il Concilio Vaticano II, che così scrive: «Quelli che
senza colpa ignorano il Vangelo di Cristo e la sua Chiesa, e tuttavia cercano
sinceramente Dio, e sotto l'influsso della grazia si sforzano di compiere con
le opere la volontà di Dio, conosciuta attraverso il dettame della coscienza, possono
conseguire la salvezza eterna». Ed aggiunge: «Né la divina Provvidenza nega gli
aiuti necessari alla salvezza a coloro che senza colpa da parte loro non sono
ancora arrivati a una conoscenza esplicita di Dio, e si sforzano, non senza la
grazia divina, di condurre una vita retta. Poiché tutto ciò che di buono e di
vero si trova in loro, è ritenuto dalla Chiesa come una preparazione al
Vangelo, e come dato da Colui che illumina ogni uomo, affinché abbia finalmente
la vita».
L'oggetto della presente Enciclica
Sempre, ma soprattutto nel corso degli
ultimi due secoli, i Sommi Pontefici sia personalmente che insieme al Collegio
episcopale hanno sviluppato e proposto un insegnamento morale relativo ai
molteplici e differenti ambiti della vita umana. In nome e con
l'autorità di Gesù Cristo, essi hanno esortato, denunciato, spiegato; in
fedeltà alla loro missione, nelle lotte in favore dell'uomo, hanno confermato,
sostenuto, consolato; con la garanzia dell'assistenza dello Spirito di verità
hanno contribuito ad una migliore comprensione delle esigenze morali negli
ambiti della sessualità umana, della famiglia, della vita sociale, economica e
politica. Il loro insegnamento costituisce, all'interno della tradizione della
Chiesa e della storia dell'umanità, un continuo approfondimento della
conoscenza morale.
Oggi, però, sembra necessario riflettere sull'insieme
dell'insegnamento morale della Chiesa, con
lo scopo preciso di richiamare alcune verità fondamentali della dottrina
cattolica che nell'attuale contesto rischiano di essere deformate o negate. Si
è determinata, infatti, una
nuova situazione entro la stessa comunità cristiana, che ha conosciuto il diffondersi
di molteplici dubbi ed obiezioni, di ordine umano e psicologico, sociale e
culturale, religioso ed anche propriamente teologico, in merito agli
insegnamenti morali della Chiesa. Non si tratta più di contestazioni parziali e
occasionali, ma di una messa in discussione globale e sistematica del
patrimonio morale, basata su determinate concezioni antropologiche ed etiche.
Alla loro radice sta l'influsso più o meno nascosto di correnti di pensiero che
finiscono per sradicare la libertà umana dal suo essenziale e costitutivo
rapporto con la verità. Così si respinge la dottrina tradizionale sulla legge
naturale, sull'universalità e sulla permanente validità dei suoi precetti; si
considerano semplicemente inaccettabili alcuni insegnamenti morali della
Chiesa; si ritiene che lo stesso Magistero possa intervenire in materia morale
solo per «esortare le coscienze» e per «proporre i valori», ai quali ciascuno
ispirerà poi autonomamente le decisioni e le scelte della vita.
(continua in http://w2.vatican.va/content/john-paul-ii/it/encyclicals/documents/hf_jp-ii_enc_06081993_veritatis-splendor.html )
La Rivoluzione moderna
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