Le slides e la Dispensa
La rivoluzione
moderna"
Dopo
“Il genio dei Greci” e “La luce del Medioevo” ecco ora "La rivoluzione moderna",
epoca di grandi stravolgimenti. La modernità
segna un momento decisivo nella storia del pensiero filosofico occidentale.
Non esiste praticamente settore del sapere e della vita
dell’uomo che non sia stato profondamente trasformato e ripensato, con
categorie concettuali nuove e del tutto estranee alla grande tradizione
greco-cristiana, dai pensatori dell’epoca moderna. In quest’epoca si passa dalla
rivoluzione teologica di Lutero a quella scientifica di Newton e Galilei, dalla
svolta antropocentrica dell’umanesimo a quella politica di Hobbes e Rousseau,
dalla nuova prospettiva gnoseologica del razionalismo e dell’empirismo fino
alla grande rivoluzione copernicana del pensiero di Kant. Un processo
rivoluzionario che trova il suo approdo ultimo nel monumentale sistema
filosofico di Hegel, con una nuova logica che prelude al nichilismo
contemporaneo.
Questa terza tappa presenta una panoramica completa, a
carattere divulgativo, in dieci conferenze/lezioni per capire le ragioni e le
fonti della nostra cultura e il loro confronto con le altre che stanno entrando
in Europa e che ci trovano sempre più spesso impreparati a capirle e a far
conoscere i valori della nostra.
Partiamo
dal titolo di questa terza tappa "La rivoluzione moderna" perché la modernità la si comprende se la interpretiamo come
una vera e propria rivoluzione. In altre parole nei secoli della modernità
abbiamo un rovesciamento dei valori tradizionali e l’affermazione del loro
esatto contrario, cioè l’abbattimento dell’ordine naturale delle cose e
la dissoluzione del pensiero greco classico. Questo rovesciamento è iniziato
nel campo della Fede con Martin Lutero e si è propagato poi nella Filosofia con
Cartesio, Kant ed Hegel.
I
valori simbolo che troviamo come sottofondo a questi sconvolgimenti sono:
primo: il primato del
soggetto sull’oggetto, che si traduce poi nel primato del pensiero sulla
realtà. Non più cioè il pensiero come specchio della realtà. Il pensiero viene
completamente sganciato dalla realtà. In questo caso il pensiero diventa lui
stesso il creatore della realtà, diviene quindi onnipotente. Per la modernità
la realtà è un prodotto del pensiero;
secondo: la libertà,
anch’essa è vista e predicata totalmente sganciata dalla verità e diventa
“norma a se stessa”, diventa un diritto puro che può essere affermato solo se
si ha la forza di farlo rispettare;
terzo: negazione del
“peccato originale” perché viene affermato che “l’uomo è buono per natura” e
chi lo corrompe è la Società (Rousseau con il mito del “buon selvaggio”). Con queste premesse
scoppierà la Rivoluzione francese per affermare la sua triade di valori: “Liberté, Égalité, Fraternité” come una nuova
religione laica anch’essa sganciata dalla religione cattolica e dal suo “peccato
originale”.
Questi nuovi valori si
collocano in una visione di pensiero immanentista, cioè un Sistema filosofico fondato sul rifiuto
dell'esistenza di una realtà trascendente. Un sistema in cui non c’è più posto
per Dio e per una verità assoluta, trascendente la storia e trascendente l’uomo. È l’uomo che fa la
storia, lui solo.
Questo percorso lungo la storia del modernismo vuole essere una sorta di
catalogo delle diverse “rivoluzioni” che lo hanno caratterizzato, la cui
rivoluzione madre è la “Rivoluzione francese”, senza dimenticare il suo figlio
primogenito: “il Regime del Terrore” usato ancor oggi per conquistare e
mantenere il potere del rivoluzionario (o tiranno) di turno.
Il modernismo va circa la Scoperta dell’America 1492 (ma
molto più correttamente dal 1517 con Lutero) fino al grande sistema filosofico
di Hegel (primi ‘800). Prima però di affrontare questo argomento è opportuno
fare un distinguo su due parole che incontreremo e che spesso sono usate
impropriamente.
RIFORMA: è ciò che riporta una realtà al suo significato originario,
rivalorizzandola ma lasciandola inalterata nella sostanza. Molto simile ad un
RESTAURO di un’opera d’arte che viene riportata al suo antico splendore.
RIVOLUZIONE: totale cancellazione di una realtà e la costituzione, al
suo posto, di un NUOVO ORDINE.
Questo ci fa capire che per esempio la così detta Riforma
Protestante di Lutero, non è stata una Riforma, ma bensì una vera Rivoluzione
che ha cancellato la Chiesa Cattolica e proposto un “nuovo ordine”, una nuova
Chiesa, completamente diversa: la Chiesa Luterana. Una rivoluzione quindi in
campo teologico, con la quale vengono abbattuti i Sacramenti, il Sacerdozio,
l’Eucaristia, ecc.
Allo stesso modo vedremo altre rivoluzioni in altri campi,
quello politico, quello scientifico, quello filosofico, ecc. che non possiamo considerare riforme, ma vere
e proprie sostituzioni di valori e di riferimenti. Quindi la modernità è sicuramente epoca di
rivoluzioni. Questo perché con la modernità
viviamo una “svolta antropocentrica” (Jacques Maritain 1882 – 1973), cioè
centrata sull’uomo che viene visto, studiato e considerato sotto tutti i punti
di vista: sociale, culturale, filosofico, psicologico, psico-evolutivo,
artistico-espressivo, comportamentale, ecc.
L’uomo era già al centro del creato, era anzi
considerato il Capolavoro di Dio, era il vertice del creato. Veniva
detronizzato da questa posizione solo se si metteva al posto di Dio (peccato
originale), cioè se considerava se stesso come centro dell’Universo e libero di
agire secondo il suo capriccio (libertà senza riferimenti di valore).
La svolta antropocentrica significa che l’uomo
è posto al centro come criterio di giudizio della realtà e come responsabile di
organizzare tutta la realtà. È una contrapposizione radicale alla filosofia
medioevale e decreta la fine dei grandi Universalismi a cui tutti facevano comunque
riferimento. L’Universalismo papale, come quello imperiale (anche se in perenne
lotta fra loro) decadono inesorabilmente.
La Chiesa non è più considerata l’autorità che
investe il potere Imperiale. Ricordiamo l’episodio dello “schiaffo di Anagni”
dato da Sciarra Colonna (emissario di Filippo il Bello) a Bonifacio VIII e il trasferimento della sede papale ad
Avignone del papa francese Clemente
V (1305-1314) assoggettandola così al re di Francia. Quando
il papa Gregorio
XI (1370-1378) tornerà a Roma (1377), grazie alla paziente e insistente
mediazione di Santa Caterina da Siena, il papato non sarà più quello di prima e
la sua autorità verrà spesso contestata anche dai suoi Cardinali.
Il desiderio di libertà e di autonomia dei
popoli mette in crisi anche l’universale imperiale. Quindi crisi della Chiesa,
crisi dell’Impero, crisi dei grandi universalismi e cioè fine di quella
capacità che aveva il medioevo di ricondurre tutto a Uno, altro rispetto al
mondo, trascendete e polo di attrazione che dava senso a tutte le cose.
L’Universalismo medioevale infatti non è
antropocentrico, ma Teocentrico. Dio è al centro dell'Universo e perciò tutto
ciò che esiste ha un significato e una giustificazione soltanto riferendolo
alla divinità concepita come unico principio creatore di tutta la realtà.
L’uomo ora invece pensa alla realtà come una
propria costruzione. Vediamo questi aspetti in riferimento all’arte e alla sua
rivoluzione. L’arte medioevale di Gentile
da Fabiano ci mostra dei personaggi avviluppati in sontuose e abbondanti
vesti in ambiente pieno di personaggi e riferimenti sacri, dove l’uomo è quasi
nascosto e affogato in essi. L’arte di Masaccio
è già più concentrata sui personaggi, la loro corporeità e i loro volti.
L’ambiente e gli abiti sono essenziali e discreti. È l’uomo la parte più
importante.
Così l’architettura che dopo slanci verso il cielo
delle forme delle cattedrali gotiche protese verso l’infinito, con le vetrate
che parlano di luce e di Dio, abbiamo un Brunelleschi che ci dà sì il senso del
sacro e dell’imponente, ma ben definito, con un soffitto che sembra più voler
trattenere Dio e proteggerlo e proteggendoci a nostra volta dall’esterno. È
l’uomo, e ciò che lui costruisce, che attrae di più e lo fa sentire meno
bisognoso di Dio.
Che cosa viene meno con la modernità? Viene
meno il realismo filosofico. Tutta
la filosofia greca e quella medioevale è una filosofia all’insegna del
realismo, cioè la convinzione che pensare significa far apparire l’essere. Nel
momento in cui io penso, ragiono, rifletto, lascio che l’essere parli alla mia
ragione. I greci per indicare la verità usavano il termine “Alètheia”, cioè
qualcosa di non nascosto, di disvelato, che si mostra nel suo splendore. La
luce dell’essere che si riverbera nel pensiero. Realismo è dunque pensare che
la realtà esiste, che la realtà si manifesta nella sua verità e che il pensiero,
nel momento in cui il filosofo ragiona, obbedisce a come la realtà è. Il
pensiero si lascia riempire dal significato che l’essere ha.
È un significato indipendente dal pensiero. Non
lo crea il pensiero, la verità cioè non è creata dal pensiero, ma scoperta dal
pensiero, perché la verità vive di luce propria e incontrovertibile, non può
essere costruita a tavolino o nella mente del filosofo. Questo è il realismo
dei greci e dei filosofi medioevali.
Cosa avviene con il modernismo? Con il
modernismo si ribalta il rapporto fra certezza e verità. La verità rimanda a
una dimensione oggettiva, mentre la certezza è qualcosa di soggettivo. In altre
parole mi può capitare di essere certo di una cosa falsa. La verità invece è
quella che è al di fuori di me.
Per tutta la filosofia classica certezza e verità coincidono, il
pensiero coglie le cose come sono, con immediatezza, senza il bisogno di
nessuna mediazione. Ora invece viene meno questo rapporto immediato, nasce una
opposizione fra verità e certezza. Il pensiero moderno crede che esista una
frattura fra la mia rappresentazione mentale della realtà e la realtà stessa,
cioè la verità. In altre parole il pensiero moderno ci mette questo dubbio: “Non è detto che ciò che noi conosciamo sia
davvero come lo conosciamo, noi cioè conosciamo la realtà solo come appare a
noi”.
Il realismo, di fatto, ha sempre rappresentato
il “buon senso comune”. Il comune modo di pensare ci ha sempre fatto
considerare il mondo e le cose come esterne a noi e alla nostra mente, ma dalla
nostra mente naturalmente pensabile e credibile. L’essere esiste al di fuori di
me, prima di me ed esisterà anche dopo di me anche se la mia mente non lo potrà
pensare. Ora invece tutto viene ribaltato e messo in discussione.
Questo però porta ad un nuovo interesse per la
natura dopo che Guglielmo d’Ochkam ha convinto a tenere separate la filosofia
dalla teologia in un modo così estremo da tagliare con il suo rasoio qualunque
riferimento alla metafisica e alla scolastica e da portare l’attenzione su tutto
ciò che non ha, o non deve avere, alcun riferimento o spiegazione con il
trascendente, la natura così come è. La natura va studiata e osservata in se
stessa “iuxta propria principia” (Bernardino Telesio 1509 – 1588). Non dobbiamo sovrapporre alla natura le
nostre costruzioni mentali, ma lasciarla parlare per ciò che è.
Il
Rinascimento è un periodo artistico e culturale
della
storia
d'Europa, che si sviluppò a partire da
Firenze tra la fine del
Medioevo e l'inizio dell'
età
moderna, in un arco di tempo che va all'incirca dalla seconda metà del
XIV secolo fino al
XVI secolo,
con ampie differenze tra disciplina e disciplina e da zona a zona. Il
Rinascimento, vissuto dalla maggior parte dei suoi protagonisti come un'età di
cambiamento, maturò un nuovo modo di concepire il mondo e se stessi,
sviluppando le idee dell'
umanesimo nato
in ambito letterario nel
XIV secolo (da
Petrarca) e
portandolo a influenzare per la prima volta anche le arti figurative e la mentalità
corrente.
Una caratteristica poco evidenziata di questo periodo, ma
che è opportuno considerare per compensare i giudizi negativi sul medioevo e
quelli troppo positivi dell’età moderna è il fenomeno della Magia.
Di fatto tutti gli intellettuali, filosofi,
pensatori, scienziati di quest’epoca sono dei Maghi. Keplero, per esempio, che
sviluppa i grandi teoremi di astrofisica, era un Mago che faceva gli oroscopi
per principi, conti e duchi nelle corti rinascimentali che si contornavano di
questi personaggi.
La Cabala era molto diffusa ed era una
pseudo scienza che si rifà a dei numeri ricavati dalle lettere dell’alfabeto
ebraico che compongono la Bibbia e con complicati calcoli ne ricavano una
sapienza che era dichiarata essere addirittura antecedente alla Bibbia stessa.
Esiste cioè la convinzione che il mondo sia
qualcosa di cifrato e che solo i Maghi hanno la chiave d’accesso per scoprire
la vera sapienza, il vero senso del mondo. Non si crede più nel senso che dà al
mondo la legge divina e nella possibilità dell’uomo di raggiungerla, capirla e
viverla (san Tommaso). Si vuol invece credere che il mondo ha un significato
nascosto che solo il Mago può conoscere e penetrare con le sue formule magiche.
Ritorna così l’eresia dello gnosticismo, che
vuol convincere che solo chi ha una conoscenza profonda può salvarsi, solo chi
attinge a questa conoscenza nascosta e arcaica è capace di salvarsi. Sarà
questo uno stimolo che sfocerà poi nella scienza moderna, che per diversi
autori è proprio figlia della magia e che giustificherebbe molte delle diffidenze
fra Fede e Scienza tuttora esistenti. Insomma, quando si butta fuori dalla
porta Dio, dalla finestra entrano subito altri idoli a sostituirlo e così
credendo di liberarci di Dio e delle sue leggi, in realtà ci facciamo
schiavizzare da degli dei (ideologie) inventati da noi, che la storia ci ha
mostrato essere quelli veramente liberticidi e disumani e ovviamente per nulla
salvatori.
Il Rinascimento
scatenò in Europa una sete di divertimenti, di opulenza, di piaceri sensuali,
che incitò fortemente gli animi a sottovalutare le cose del Cielo, per
occuparsi molto più di quelle terrene. Ne seguì, nei secoli XV e XVI, un
sensibile declino dell'influenza della Religione nella mentalità degli
individui e delle società. A questo indifferentismo nascente, si aggiunse
spesso un'antipatia contro la Chiesa, con punte anche di estrema ostilità
militante. Questo stato d'animo concorse sensibilmente all'eruzione del
protestantesimo, e alle manifestazioni di razionalismo e scetticismo tanto
frequenti tra gli umanisti. Dall'indifferentismo nasceva naturalmente il libero
pensiero. Al principio, dominarono soltanto elementi influenti nella vita
intellettuale, nella nobiltà, fra alcuni Sovrani e nel Clero. Pian piano, poi, raggiunsero i
tessuti più profondi del corpo sociale. L'influenza di quei fermenti si faceva
notare in tutti i campi: la politica si era laicizzata, l'antica società
organica e cristiana era inghiottita dall'assolutismo dello Stato neo-cesareo,
l'influenza della Religione era diminuita nella vita di tutte le classi sociali,
principalmente nelle élite. Cresceva la sete di piacere e di guadagni. La
tendenza generale si spostava verso costumi più lassisti, più
"liberi", più facili e conquistava tutti gli ambienti. La mondanità
sfoggiava persino in alcune case religiose. Il mercantilismo stendeva i suoi
tentacoli per dominare ogni aspetto dell'esistenza. Insomma, il panorama era
molto simile a quello dei nostri giorni.
Una delle grandi scoperte che contribuì al radicale
cambiamento avvenuto nel rinascimento fu l’invenzione della stampa. La
fioritura delle Arti e delle Lettere nelle corti rinascimentali fu possibile grazie
all’introduzione nel 1440 della stampa a caratteri mobili e del torchio a vite
del tedesco Gutenberg. Grazie ad essa ci fu un’ampia diffusione e circolazione
di testi da leggere e discutere in tutta Europa. La borghesia, la nuova classe
sociale fulcro della nuova espansione economica, vide nella cultura un
importante elemento di nobilitazione.
A Firenze, la culla dell’Umanesimo, Cosimo de Medici nel 1444
fondò la Biblioteca di San Marco, la prima Biblioteca pubblica europea.
Incaricò poi Marsilio Ficino di creare l’Accademia platonica (1459), con il compito di studiare le opere degli antichi greci ed in
particolare di Platone e di Plotino, giunti in Europa dopo la caduta
dell’impero di Bisanzio, al fine di promuoverne la diffusione. Marsilio, nel 1463,
su ordine di Cosimo, mette mano per primo alla traduzione dei Libri ermetici, stampati poi nel 1471, a dimostrazione del
forte interesse che la Magia riscontrava nel mondo intellettuale di allora.
I Libri ermetici di Ermete Trismegisto (maestro
di sapienza dell'età ellenistica), sono un testo in cui erano rivelate dottrine segrete
risalenti agli antichi egizi insieme a direttive di ordine spirituale, summa di
Magia, di Alchimia, di Astrologia, di invocazioni angeliche e di filosofia
naturale. Questi libri danno una visione
dell’Universo ordinato secondo gradi di perfezione e il viaggio dell’anima
verso l’unione con Dio e il tutto. Marsilio Ficino vede in quella sapienza
antica la presenza di una rivelazione, di una pia
philosophia che si è attuata
nel Cristianesimo ma
della quale l'umanità di tutti i tempi era sempre stata partecipe.
« Ai tempi nostri la divina Provvidenza ama far poggiare la religione sull'autorità razionale della filosofia, fin quando al
tempo stabilito, come ha già fatto una volta, la confermerà ovunque con i miracoli. Per ispirazione quindi della Provvidenza abbiamo
interpretato il divino Platone e il grande Plotino. » (Marsilio Fucino, introduzione alle Enneadi).
La sua opera di traduzione avrà un
notevole influsso nel pensiero rinascimentale e nell’alimentare l’interesse per la Magia. Marsilio Ficino rimane
comunque un più che valido filosofo, umanista e astrologo italiano anche se più noto per la
traduzione dei libri ermetici, che hanno preoccupato non poco l'arcivescovo fiorentino Antonino,
che per le pur notevoli traduzioni in latino di Platone e Plotino.
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Filippo della famiglia dei Bruni, assunse il nome di Giordano
entrando a 17 anni nel convento di S. Domenico a Napoli, per una sua
particolare devozione al domenicano San Giordano. Dopo un acceso amore per
Cristo e una appassionato fervore per il cristocentrismo, passa dalla parte
opposta vedendo in Gesù un cattivo mago a cui opporsi con il suo essere un buon
mago. Sospettato di eresia, riparò a Roma (1576), di qui, deposto l'abito
ecclesiastico, andò peregrinando di città in città; fu a Ginevra , a Tolosa, a Parigi, in Inghilterra (1583-1585), dove per alcuni mesi insegnò a Oxford. Dopo un
breve soggiorno a Parigi, passò nell'agosto del 1586 in Germania, e tra il 1590 e 1591 a Francoforte. Nel 1591 accogliendo
l'invito di G. Mocenigo, si recò a Venezia dove, denunziato come eretico dal
suo ospite, fu nel 1592 arrestato dall'Inquisizione e processato. Si dichiarò
disposto a fare ammenda, ma, trasferito all'Inquisizione di Roma, e sottoposto
a nuovo processo, rifiutò di ritrattarsi, onde fu come eretico condannato al
rogo, che egli affrontò impavido a Roma in Campo de' Fiori (17 febbraio 1600).
Il segno che contraddistingue il pensiero di Giordano
Bruno è il carattere Magico – Ermetico della sua filosofia. Cosa si intende per
filosofia ermetica? È l’idea che c’è assoluta distanza tra il mondo e Dio. Dio
è l’assoluto trascendente che non può essere raggiunto dall’uomo. Ovvero non
può essere colto da tutti gli uomini. Solo alcuni illuminati ne hanno la
capacità attraverso la conoscenza (gnosi) che essi hanno dei segni che Dio
lascia nel mondo, attraverso gli archetipi o i pensieri che da Dio vengono
emanati nel mondo. Il filosofo che si affaccia nel mondo cerca di cogliere
queste vestigia o segni per avvicinarsi al divino.
In questa prospettiva non c’è posto per il Dio cristiano.
Il Dio di Giordano Bruno assomiglia di più all’Uno plotiniano, è una forza
infinita che sta nell’universo che è materia infinita e non crea il mondo, ma
emana e proietta in esso le sue immagini. Gli uomini ne hanno conoscenza
attraverso le ombre lasciate dal divino.
[Frances Amelia Yates (1899 - 1981) va annoverata tra
i primi studiosi a mettere in luce la forte impronta della tradizione ermetica
ed esoterica nella cultura moderna].
Bruno come altri
intellettuali del momento è un Mago, ma usa una magia particolare, lontana
dall’Alchimia e dalla Cabala, una magia che si dedica al controllo della mente.
Egli crede che attraverso l’arte della magia egli possa conoscere le immagini che Dio lascia nel mondo e controllare
questi pensieri. In fondo egli cerca la scienza che gli permette in certo qual
modo di manipolare la volontà e il desiderio degli uomini, di poter entrare
cioè, attraverso la conoscenza e lo studio della mente umana, nella mente degli
altri uomini.
Tutto questo
permetterebbe la possibilità di abbattere tutte le sovrastrutture che la
metafisica, il cristianesimo e la religione in genere, hanno creato; di negare
la loro concezione di Dio e di liberare l’uomo dal credere a cose impossibili e
deleterie come l’incarnazione di Gesù Cristo, la sua personalità divina e al
contempo umana, ecc. ecc.
Questo ci fa capire come, ovunque andasse, si scontrava
sistematicamente con i pensatori che incontrava, sia cattolici che protestanti
o altro, che addirittura lo cacciavano. Giordano in effetti cercava di
convincere altri delle sue idee e di crearsi un seguito di pensatori che lo
aiutassero a svilupparle, ma, nei vari ambienti in cui si inseriva, presto o
tardi veniva da loro espulso. Lui si sentiva un illuminato dalla conoscenza che
pensava di avere e di dover diffondere e dalla onnipotenza che gli dava
l’essere Mago e di utilizzare dei fondamenti della religiosità egiziana. In
particolare si sentiva esperto e diffusore della mnemotecnica,
una antica tecnica adoperata per memorizzare rapidamente e più facilmente
entità difficili da ricordare. La mnemotecnica sfrutta la naturale capacità
dell'uomo di ricordare le informazioni se sono trasformate in immagini o
storie, consentendo di aumentare la capacità naturale della
memoria umana.
Sono state usate nell'antichità dai grandi
oratori, perché
consentono, senza l'ausilio della lettura, di svolgere un discorso articolato
precedentemente preparato.
Mentre la cultura del
tempo vedeva nella cultura antica una saggezza che comunque aveva preparato il
terreno per accogliere la rivelazione divina che chiudeva il cerchio nella
ricerca di Dio e nel definire la Via, la Verità e la Vita degli esseri umani,
cioè delle Persone e della Società (il bene comune e le virtù necessarie per
una vita piena e santa), Giordano Bruno vede invece nel Cristianesimo e in
particolare nella figura del Cristo (impossibile per lui da accettare) un
corruttore della grande saggezza e cultura antica ed in particolare della religione egiziana in quanto ancora più
antica, originaria e veritiera (cioè migliore) di quella greca.
La religione egiziana
era una sorte di panteismo che divinizzava ogni cosa con risvolti magici che
davano l’impressione di poter controllare le forze della natura (non certo come
faranno poi i veri scienziati, ex maghi, con lo studio della natura e con le
continue verifiche di ciò che mano a mano scoprivano con caparbietà e impegno e
procedendo umilmente per tentativi ed errori).
Giordano Bruno,
contrariamente a quanto viene ancora oggi affermato, rappresenta una battuta
d’arresto nel percorso dalla Magia alla Scienza. È un uomo del Rinascimento in
quanto esalta la natura e la magia. È un uomo del modernismo in quanto combatte
la religione cattolica. È usato come simbolo dello scienziato che all’alba del
modernismo, preferisce morire piuttosto che rinnegare la sua scienza (che è
solo magia). Bruno è usato come paladino della libertà di pensiero e portatore dell’accusa
di intolleranza dei cattolici nei
confronti delle altrui (sue) opinioni.
Assieme al radicale
rifiuto del Cristianesimo e della figura del Cristo in particolare, il Bruno
affermava, senza alcun supporto razionale, ma per un semplice intuito, che:
- · l’anima non è immortale, ma migra da un
corpo all’altro, da un animale o vegetale all’altro senza nessun criterio o
logica;
- · non esiste l’aldilà e il comportamento
buono o cattivo non ha nessuna conseguenza;
- · non esiste una regola per discernere il
bene dal male (anomia);
- · inferno e paradiso, premio e punizione
sono degli artifici per regolare la vita del volgo ignorante;
- · il bene supremo è solo l’acquisizione
della Sapienza che dà pace civile e società prospera;
- · la religione non si può dire se è vera o
falsa, ma solo se è utile o meno alla società.
Tutto questo affermato
per semplice intuito del suo genio e della sua magia e con disprezzo per la
logica e per i ragionamenti ordinati e sequenziali insegnati da Aristotele.
Di
fatto: “… egli è stato individuato come
un simbolo potente ed efficace dalle forze culturali che si oppongono al
progetto spirituale e culturale della Chiesa, come la massoneria, l’ateismo
organizzato, l’esoterismo. Da queste, Bruno è visto come un emblema dell’uomo
libero, del Prometeo che si è liberato dai ceppi del passato e della
tradizione, dell’uomo moderno che prende in mano il proprio destino affrancato
da Dio, dai santi ed in particolare dalla paura dell’aldilà. Un eroe, insomma,
il pensatore laico che lotta contro “l’oscurantismo” e la “superstizione”,
concetti che protestanti prima e illuministi poi, associarono polemicamente
alla Religione Cattolica. Proprio in ragione di questo intreccio fra storia
vissuta e ideologia, il caso Bruno è
risultato particolarmente delicato”.
…
“La
vicenda di Bruno è esemplare della crisi della cultura europea del
Rinascimento. Con lui iniziò il rifiuto di un mondo in cui la religione era il
centro della vita quotidiana, il fondamento della Società, ciò che dava senso
alle arti e al pensiero. Un mondo in cui il destino dell’uomo e delle nazioni
trovava il suo significato in un aldilà in cui tutto, anche ciò che era meno
comprensibile, trovava senso e ragione. Quella di Giordano Bruno fu una
ribellione furiosa, sprezzante, contro tutto questo. Non esiste paradiso e
inferno, non esistono santi e peccatori. L’Uno, il principio ordinatore
dell’Universo, non si rivela, non si incarna, non va adorato. Esiste soltanto
l’essere umano, una creatura solitaria, persa in un universo vorticante, privo
di senso e di centro, che vale quanto una cimice o un filo d’erba. Dove il
valore e la gloria dell’uomo si misura soltanto nella sua intelligenza e nella
sua capacità di pensare”.
(Mario Arturo Iannaccone – “Il caso Giordano Bruno” - Quaderni
del Timone)
Quando si parla di Scienza
e di Chiesa il tasso minimo di ideologia presente nell'aria esige che si faccia
almeno un cenno a Giordano Bruno, e alla sua esecuzione in Campo dei Fiori. La
fama del filosofo Nolano, infatti, è dovuta senz'altro al fascino della sua
morte, da ribelle impenitente, più che alla sua produzione culturale, così
intrisa di magia, di astrologia, di vitalismo panteistico e, per questo, in
nulla moderna, né scientifica (F.Yates, "Giordano Bruno e la tradizione ermetica", Laterza). Una fama,
dunque, ottenuta dopo la morte, ma cercata con ossessione durante tutta la
vita, con una presunzione astrale, "accentuata
dalle pratiche magiche cui Bruno si dedica con crescente intensità e che
sviluppano in lui un senso di onnipotenza materiale e intellettuale assoluta"
(Matteo D'Amico, "Giordano Bruno avventure e misteri del grande mago nell'Europa del
Cinquecento", Piemme).
Tutta la sua esistenza, infatti, è in vista di una affermazione
personale, per sé e per la sua visione del mondo, contro avversari di tutti i
paesi e di tutte le confessioni, che divengono via via "porci",
"pedanti", "barbari e ignobili". Il giovane Bruno è già un
personaggio non comune, che ama raccontare di essere stato aggredito, a
sassate, dagli spiriti, e che ha il suo primo importante scontro teologico nel
1576 con un confratello domenicano, riguardo alla dottrina di Ario, e il
secondo nella capitale del calvinismo, a Ginevra. Vi giunge nel 1579, in cerca
di fortuna. Ma il suo comportamento è subito ambiguo ed aggressivo ad un tempo:
da una parte abbraccia il calvinismo, per essere accettato nei circoli
culturali e religiosi della città, e dall'altra attacca violentemente un
professore del luogo, dando alle stampe un libello contro di lui, e, a quanto
sostiene l'accusa, mentendo calunniosamente. Viene processato dai membri del
Concistoro, non cattolico, ma calvinista, e costretto in ginocchio a lacerare
il suo opuscolo, ammettendo la propria colpa. Lasciata Ginevra, che dunque non
lo capisce, Bruno approda a Parigi nel 1581: la sua fama di esperto nell'ars
memoriae gli vale la convocazione del re Enrico III, di cui diviene in breve
intimo confidente. Dopo soli due anni Bruno finisce a Londra, presso
l'ambasciatore francese Castelnau, in Salisbury Court, vicino al Tamigi. Qui,
secondo le recenti indagini di John Bossy ("Giordano Bruno e il mistero dell'ambasciata", Garzanti )
svolge un lavoro di spionaggio contro l'ambasciatore francese di cui è ospite,
a tutto svantaggio dei cattolici, arrivando addirittura a rivelare i segreti
carpiti in confessione. Infatti, pur essendo già da tempo un feroce nemico del
cattolicesimo e della Chiesa, considerati la causa della decadenza dell'Europa,
Bruno si finge zelante sacerdote e celebra riti in cui non crede,
nell'ambasciata francese, vantando poi d'altra parte la sua apostasia, presso
la corte di Elisabetta. Nel suo arrivismo giunge a svelare alla regina
l'esistenza di un complotto catto-spagnolo, in realtà inesistente, contro di
lei: scrive di esserne venuto a conoscenza in confessione. Nessuno gli crede. A
questo punto Bruno, sempre scalpitante, vuole una cattedra a Oxford. Come
ottenerla? Si offre volontario, con una umile missiva, in cui si presenta così:
"professore di una sapienza più pura
e innocua, noto nelle migliori accademie europee, filosofo di gran seguito,
ricevuto onorevolmente dovunque, straniero in nessun luogo, se non tra barbari
e gli ignobili,…domatore dell'ignoranza presuntuosa e recalcitrante…ricercato
dagli onesti e dagli studiosi, il cui genio è applaudito dai più nobili…".
Alla terza lezione verrà accusato di plagio e invitato a togliere il disturbo;
le sue invettive feroci contro i londinesi, e contro il prossimo suo in genere,
gli procurano, probabilmente, un breve arresto e determinano il ritorno
precipitoso a Parigi.
Ma qui, nel frattempo,
il clima politico è cambiato, e i Guisa, la nobile famiglia a capo della Lega
Cattolica, ha sempre maggior potere: Bruno non esita a mettersi al suo
servizio, e a chiedere di essere riaccolto "nel grembo della Chiesa cattolica".
In realtà, ancora una volta, fa il doppio gioco, tessendo rapporti con i
protestanti, benché nella sua opera filosofica "Spaccio della bestia trionfante" del 1584 avesse deprecato
violentemente, in mille maniere, la figura di Lutero. Nello stesso periodo
viene accusato da Fabrizio Mordente, inventore del compasso differenziale, di
volergli carpire l'invenzione: Bruno infatti ne è entusiasta, ma come già per
Copernico, ritiene che ai disprezzati matematici sfugga il valore magico ed
ermetico delle loro scoperte, che lui solo, invece, ha la capacità di
comprendere! Scomunicato dalla Chiesa cattolica e dai calvinisti di Ginevra,
cacciato da Oxford e da Londra, Giordano Bruno, nel 1586, dopo l'ennesima
disputa finita in rissa, deve abbandonare precipitosamente anche Parigi, perché
neppure il vecchio amico Enrico III è più intenzionato ad accoglierlo. La
destinazione, questa volta, è la Germania, e in particolare la città
protestante di Marburgo. Ancora una volta il filosofo di Nola ottiene, dietro
pressanti richieste, una cattedra universitaria, ma, detto fatto, entra in
conflitto col rettore, Petrus Nigidius, che lo aveva assunto e che ora lo
licenzia. Con la grinta di sempre Bruno riparte, per approdare a Wittenberg,
città simbolo del luteranesimo, dove, per cambiare, ottiene il diritto di
tenere corsi universitari. E' qui che Bruno cambia ancora casacca: in occasione
del discorso di addio, dopo soli due anni di permanenza, polemiche, e tanti
nemici, l'8 marzo 1588 tiene davanti ai professori e agli alunni dell'Università
un elogio smaccato della figura di Lutero, contrapposta a quella del papa,
presentato, secondo le migliori tradizioni del luogo, come un vero anticristo.
"Come ha usato Calvino contro la
Chiesa, così adesso usa Lutero: il cattolicesimo emerge come il vero grande
nemico" (M.D'Amico, op.cit.).
Chiaramente il gioco può riuscire sperando che a
Wittenberg non si conosca il libello bruniano di soli quattro anni prima, e
cioè lo "Spaccio della bestia
trionfante". In esso infatti Bruno auspicava che Lutero e i suoi
seguaci fossero "sterminati ed
eliminati dalla faccia della terra come locuste, zizzanie, serpenti velenosi",
essendo causa di guerre, disordini e discordie senza fine. Inoltre, tanto per
toccare con mano la "scientificità" del personaggio, Bruno spiegava
la metempsicosi, affermando che coloro i quali abbiano "viso, volto, voci, gesti, affetti ed
inclinazioni, altri cavallini, altri porcini, asinini, aquilini…",
"sono stati o sono per essere porci, cavalli, asini, aquile, o altro che
mostrano"! Lasciata Wittemberg, Bruno approda a Praga, la città prediletta
dall'imperatore Rodolfo II, che ne sta facendo una centrale di maghi,
alchimisti ed occultisti da tutta Europa. Rodolfo è un tipo bizzarro, preda, spesso
di allucinazioni e di crisi depressive. Ancora una volta Bruno cerca il potere,
aspira a coniugare le arti magiche, di cui si ritiene in possesso, con alleanze
potenti e concrete. C'è ormai in lui il desiderio di non rimanere un teorico,
ma di passare all'azione, di essere ispiratore di un rinnovamento del mondo, di
una palingenesi, che i segni dei tempi gli dicono vicina, e che lui vuole
guidare, con compiti e ruoli non secondari. Ma vuoi per il suo caratteraccio,
vuoi perché le vantate arti magiche in suo possesso non danno i frutti sperati
e promessi, anche Praga viene presto abbandonata per la città protestante di
Helmstadt, nel 1589. Chiaramente Bruno, brigando a suo modo, ottiene di poter
insegnare nell'università locale, e per l'ennesima volta, pur fingendosi
protestante e scagliandosi contro la Chiesa cattolica, suo bersaglio preferito,
viene in breve scomunicato dal pastore della locale chiesa luterana! Ciò
nonostante neppure in questa occasione gli viene a mancare quella disponibilità
di denari "che gli permette di fare
lunghi viaggi, di affittare appartamenti, di tenere a suo servizio,
regolarmente, segretari diversi, di pubblicare opere voluminose, di vivere
infine per lunghi periodi senza alcun lavoro fisso": denari, ipotizza
il D'Amico, che potrebbero giungere da quell'attività così redditizia di
informatore segreto che aveva appreso a Londra.
Nel 1590 Bruno è a Francoforte, senza grande
entusiasmo dei suoi allievi, che non riescono a comprendere quanto la
miracolosa mnemotecnica bruniana sia da lui mal insegnata, o mal conosciuta.
Dopo Francoforte, Zurigo, Padova, ed infine, nel 1591, Venezia. Nella città
veneta è accolto con curiosità da una cerchia di nobili da salotto, ed in
particolare da Giovanni Mocenigo, che è disposto ad ospitarlo e nutrirlo in
cambio dei suoi "segreti". Ma Bruno non è certo incline a fare il
precettore privato: il suo desiderio sembra essere quello di usare le sue
conoscenze magiche, espresse nei testi "De magia" e "De
Vinculis", per assoggettare nientemeno che il pontefice Gregorio XIV
ai suoi disegni di riforma religiosa e politica universale! Ritiene infatti di
saper controllare e dominare le forze demoniche presenti nella natura e di
poter soggiogare il prossimo con messaggi subliminali, formule magiche non
percepibili dagli incantati: "ritmi
e canti che racchiudono efficacia grandissima, vincoli magici che si realizzano
con un sussurro segreto…" ("De Vinculis"). A Venezia Bruno
concepisce dunque il suo folle disegno di "portare cambiamenti (politici) significativi, quantomeno nello
scacchiere italiano".
A tal fine progetta di rientrare nella Chiesa,
di recarsi a Roma dal pontefice Clemente VIII, per dedicargli un'opera, e, come
si diceva, probabilmente, per riuscire a condizionarlo tramite le arti magiche.
Non c'è grande nobiltà nei mezzucci con cui, contraddicendo patentemente il suo
credo, persegue i propri fini! Ma nello stesso 1591, cioè non appena si è fatto
un po' conoscere, viene denunciato al Santo Uffizio dal suo stesso ospite: al
Mocenigo è bastato un attimo per rimanere deluso dagli insegnamenti di Bruno, e
scandalizzato dalle sue bestemmie. Dopo i sogni di potenza, il filosofo nolano
precipita dietro il banco degli imputati: in realtà è già abituato ai processi,
alle abiure, alle fughe, e forse pensa, in cuor suo, di farla nuovamente
franca. La tattica difensiva è abile. Consiste nell'ammettere alcune accuse,
nell'attenuarne altre, e nel negare, infine, le più infamanti. Negare tutto
sarebbe troppo sciocco, vista la possibilità per il tribunale di venire in possesso
dei suoi scritti, e di indagare sul suo passato. Lo scopo è quello di "apparire persona rispettosa della autorità
della Chiesa e della sua dottrina, anche se momentaneamente posto al di fuori
di essa" (D'Amico). Arriva così a rinnegare alcune sue opere, e a
presentare i suoi passati riavvicinamenti alla Chiesa, compiuti sempre e solo
per convenienza politica, come testimonianza della sua sostanziale
"ortodossia". Il filosofo degli "eroici furori", in realtà,
non ha nulla di eroico: "tutti li
errori che io ho commesso…et tutte le heresie…hora io le detesto et abhorrisco…".
Come già coi calvinisti di Ginevra, il ribelle, la spia, l'arrivista in cerca
di poltrone universitarie, dopo aver attaccato ed inveito con astio rabbioso,
si inginocchia ed abiura, con pari teatralità e finta compunzione.
Ma Roma sospetta, e nel febbraio 1593 avoca a sé
il processo, che, in totale, durerà otto lunghi anni: il tribunale
inquisitoriale non emette condanne frettolose, ma procede con precisione e
scrupolo, convocando testimoni, compulsando le opere, rispettando tutte le
procedure, invitando ripetutamente ad abiurare. Bruno si dichiara disposto in
più occasioni a cedere: la condanna, e l'affido al braccio secolare, arrivano
dopo varie promesse di abiura, ed altrettanti ripensamenti. Nel giorno della
condanna giunge al papa un memoriale di Bruno. Ma perché lo fa, se aveva già
deciso di affrontare la morte? Probabilmente il memoriale, che non conosciamo,
conteneva l'ennesima disponibilità all'abiura: forse Bruno credeva di poter ancora
dire e disdire, senza conseguenze. A cosa si deve, allora, questa improvvisa
accelerazione del processo? Secondo la Yates, a un evento contemporaneo:
l'arresto di un altro domenicano ribelle, Tommaso Campanella. Non bisogna
infatti dimenticare l'epoca in cui ci troviamo: la Riforma ha portato alla
ribalta prima Lutero, con le conseguenti guerre dei cavalieri e dei contadini,
e poi personaggi come Matthison di Haarlem, un capo anabattista che si sentiva
"incaricato della esecuzione del
castigo divino contro gli empi, e mirava semplicemente al massacro universale",
e il "profeta Hofmann" di Strasburgo, "il quale andava dicendo di voler fondare la Nuova Gerusalemme"
e si accingeva a preparare la mobilitazione "dei cavalieri della strage che con Elia e Enoch appariranno impugnando
la spada e vomitando fiamme per sterminare i nemici del Signore".
Tommaso Campanella è un tipo umano simile: filosoficamente molto
vicino a Bruno, anch'egli ritiene che stia giungendo l'ora dei "grandi mutamenti, l'avvento dell'età
dell'oro e della instaurazione della repubblica universale": per
questo organizza una congiura, in meridione, cercando l'alleanza dei Turchi, ed
in particolare di feroci pirati come Bassàn Cicala, per realizzare uno stato
magico, dittatoriale, di impostazione comunista. La congiura viene sventata nel
1599 (Francesco Forlenza, "La
congiura antispagnola di Tommaso Campanella", Temi). Proprio tale
nuova minaccia, religiosa e politica, accelera forse la condanna di Bruno, che
morirà, alla fine, con dignità: ma dopo essere stato scacciato da almeno dieci
città diverse, condannato da cattolici, calvinisti, protestanti e professori
universitari; dopo essere stato spia, aver violato il segreto confessionale,
aver ripudiato se stesso, per convenienza, innumerevoli volte, e, infine, dopo
aver cercato, attraverso la magia e l'intrigo, di rovesciare l'ordine politico,
non solo quello religioso, del suo tempo. Spacciarlo per un puro, un eroe, uno
scienziato è un delitto contro la verità storica.
La condanna al rogo per
gli eretici (recentemente menzionata nel documento Memoria e
riconciliazione : la Chiesa e le colpe del passato del 12 marzo 2000), era comunque coerente
con la tradizione giuridica, le leggi, le convinzioni e gli usi del tempo (oggi
non condivisibili, ma allora naturali) è stata una condanna lecita moralmente,
e fu un esempio di assoluto rispetto giuridico e formale dell’imputato e del
suo diritto alla difesa. Il Sant’Uffizio, già normalmente rigoroso garante
della trasparenza e correttezza delle procedure inquisitoriali, nel caso di
Bruno si distinse davvero per l’attenzione e la prudenza con cui procedette,
giungendo a una condanna dopo ben 7 anni di dibattiti e consultazioni. La morte
di Bruno, per quanto tragica, se contestualizzata nel momento e nelle
condizioni storiche in cui avvenne, non ha nulla né di misterioso, né di
barbaro; è un esito, al contrario, perfettamente coerente con la vita spericolata
e trasgressiva del filosofo di Nola, con i suoi “spionaggi” e i suoi
"giochi proibiti" all’ambasciata francese di Londra, con i suoi
continui cambiamenti di fronte in terra protestante e cattolica, con la
sicurezza, forse un po’ eccessiva, nei suoi mezzi. Sarebbe stato messo al rogo
anche dalla calvinista Ginevra e dalla luterana Wittenberg. Ma, soprattutto, la morte del
grande mago e filosofo annuncia una sorda guerra intestina che travaglierà
l’Occidente nei secoli successivi : quella fra cristianesimo e modernità.
Per esempio la leggenda nera dell’inquisizione nasce qui. (Vedi: Rino
Cammilleri: “la vera storia
dell’inquisizione” – Piemme).
Il senso profondo di questo momento è il passaggio da
un’epoca che si chiude e un’epoca che si apre. Stiamo dando le spalle ad
un’epoca, quella della filosofia classica, antica e medioevale, che rappresenta
circa 2.500 anni di pensiero, dai primi tentativi di indagine sulla realtà
colta alla luce del pensiero e della riflessione, alle grandi sintesi dei
greci, alla Patristica con la sua innervatura evangelica nel pensiero classico
greco, e quindi alle grandi sintesi medioevali, per affacciarci quasi all’improvviso
in un mondo nuovo che nega quello appena passato. Un mondo nuovo con tutte le
caratteristiche della rivoluzione, che rinnega e scarta il passato e propone
qualcosa di totalmente diverso. Un mondo cioè che non esprime una evoluzione
che, facendo tesoro del passato si evolve in una crescita e in una maturazione
frutto dell’esperienza passata. Una vera e propria rivoluzione che butta via
tutto e ricomincia da zero, non solo, ma come ogni rivoluzione che si rispetti,
cerca di sopprimere e “uccidere” eventuali resistenze dei tradizionalisti e dei
conservatori.
2.500 anni di storia del pensiero occidentale
però non si cancellano facilmente. Essi hanno costituito un piattaforma di
valori e di idee ben interiorizzata nelle popolazioni e che ha come suo collante
principale la religione Cattolica ( ma anche poi quella Calvinista, Luterana,
ecc.). I “rottamatori”, come diremmo oggi,
di questo mondo classico sono al momento una élite di intellettuali e
maghi (dei quali Giordano Bruno è il più eclatante), che girano per le corti
dei principi e dei regnanti e che vengono accolti più per curiosità e per moda
che per un effettivo interesse filosofico, tant’è vero che poi se ne vanno o
vengono rigettati a stagione finita e qualcuno bruciato come eretico.
Ma poi a poco a poco la contrapposizione fra il
vecchio e il nuovo si fa strada è di fatto la vecchia piattaforma di valori
corroborati dalla religione cristiana e dalla ragione aristotelica e metafisica
viene combattuta. L’intento è quello di soppiantarla con una nuova che ha di
chiaro solo il desiderio di azzerare tutto l’impianto filosofico e metafisico
così caro ai tomisti e ai cristiani per issarvi la bandiera della libertà
assoluta. Di fatto si può riassumere il tutto come una progressiva frammentazione
di una visione unitaria che contraddistingue il pensiero filosofico classico
(antico, greco e medioevale). Questa unità è al centro di quella piattaforma di
valori che fino ad ora ha retto la vita dell’uomo occidentale e che è stata sorretta
dalla religione ed ora è vista come liberticida.
La modernità attraverso le varie rivoluzioni
che vedremo, ha già portato la separazione fra filosofia e teologia (Guglielmo
di Ockham e i primi maghi filosofi), avverrà poi la rottura dell’armonia fra
natura e grazia (Lutero), poi fra l’uomo e la società (Rousseau), quindi fra la cultura del luogo o del
momento e l’autoaffermazione dell’uomo (rivoluzione francese), ecc. fino ad
arrivare al nostro ’68. Progressiva frammentazione di una unità originaria che
va ora in pezzi un po’ alla volta. Questo è il conflitto che segna tutta la
modernità, fino a noi. Conflitto progressivo e sempre più violento, nel senso
che fa violenza, entra sempre più in profondità violentemente fino a
trasformare la frammentarietà in discioglimento. Si arriva così all’attuale
realtà culturale completamente disciolta nel relativismo: “è vero tutto e il
contrario di tutto”.
Dopo più di 2.000 anni di faticosa costruzione di
una unità, inizia ora con la modernità il suo dissolvimento e arriveremo quindi
a capire perché oggi siamo quello che siamo e perché. Nella prima e seconda
tappa del nostro “viaggio dei filosofi” abbiamo appreso la costruzione del
pensiero occidentale classico, in questa terza e quarta tappa assisteremo al
suo decomporsi, ma anche alla “lotta dura e senza paura” che la cultura
cattolica ha intrapreso grazie ai suoi papi e ai suoi santi per arginare la
decadenza dell’occidente e aprire gli occhi a chi non riesce ancora a vedere i
frutti cattivi della pianta cattiva dell’attuale “dittatura del relativismo” e
dei suoi egoismi, individuali e nazionali che alimenta.