sabato 6 maggio 2017

3t-7-Illuminismo e Criticismo: Kant

le slides e la Dispensa






























































L’Illuminismo, Umanesimo e Rinascimento


L’illuminismo, ricordiamo, è quel vasto movimento culturale europeo, sviluppatosi nel ‘700, che, come abbiamo già visto, predica l’assoluta fiducia nella ragione umana.
La ragione umana è pienamente in grado di illuminare le menti e di abbattere le superstizioni, i pregiudizi, i dogmatismi e le religioni.
Originario dell’Inghilterra, l’illuminismo si diffonde nel continente e trova pieno sviluppo in Francia, dove nascono e divulgano le proprie teorie i nomi più celebri della filosofia illuminista.
 Voltaire è sicuramente l’autore che meglio rappresenta i caratteri, gli ideali e i limiti della filosofia francese del ‘700. Fu uno scrittore estremamente fecondo, capace di sperimentare tutti i generi letterari, permeando i suoi scritti di spirito critico diretto contro le istituzioni e i pregiudizi che impediscono all’uomo di pensare con la propria testa.
Altro esponente di spicco dell’illuminismo francese è Jean-Jacques Rousseau, la cui opera filosofica verrà considerata ispiratrice della Rivoluzione francese. Da lui derivano infatti le idee sulla volontà generale e la sovranità popolare che i rivoluzionari faranno proprie e confluiranno nei documenti costitutivi della nuova Repubblica francese.
Ciò che ha legato fra loro nel corso del “secolo dei lumi”  pensatori e teorie diverse, dalla Francia all’Italia, dall’Inghilterra alla Germania è la fede nella ragione umana (che, d’ora in poi, si contrapporrà ferocemente alla fede nel Dio dei cristiani), capace di portare l’uomo alla costruzione di una nuova era di libertà, dalla superstizione e dai dogmi (specie quelli della religione cattolica).
L’Illuminismo è una grande epoca di rivoluzioni. Il Medioevo era finito con l’avvento dell’Umanesimo e del Rinascimento e l’Illuminismo ora prepara quel grande evento che sarà la rivoluzione francese e che segnerà la fine dell’epoca moderna e l’inizio della storia contemporanea.

Per "Umanesimo" si intende quel vasto movimento culturale che, iniziato negli ultimi decenni del Trecento e diffusosi nel Quattrocento, ha come caratteristica principale la riscoperta dell'uomo attraverso la ricerca e la letteratura dei classici latini e greci. Questa riscoperta è un'indispensabile premessa culturale del Rinascimento, con la quale la generazione dell'età umanistica sottolinea una netta distanza tra il mondo medioevale, caratterizzato da una visione della vita, che poneva Dio al centro dell'Universo e imponeva all'uomo una totale sottomissione al potere spirituale e temporale della Chiesa e la loro nuova visione in cui l'uomo è posto al centro dell'Universo ed è considerato artefice, padrone del proprio destino, al di là di ogni tipo di potere e di autorità.
Si diffonde una grande fiducia nell'intelligenza umana; si esaltano, in particolar modo, la dignità dell'uomo, la sua superiorità sugli altri esseri naturali, le sue innumerevoli capacità creative. Inoltre si afferma il concetto di humanitas, inteso come la voglia di conoscenza che distingue l'uomo da tutti gli altri esseri animati. Centri di diffusione della nuova cultura sono soprattutto le grandi corti signorili, in particolare la corte di Lorenzo de' Medici, detto il Magnifico, presso la quale si riuniscono moltissimi artisti e letterati del tempo. Infatti durante l'umanesimo si rinnovano le arti, la scultura e cominciano ad apparire alcuni personaggi importanti come Leonardo Da Vinci.

Rivoluzione. Fino al XVII  secolo questo termine è usato solo in astronomia. Il moto di rivoluzione (in genere con  traiettoria  ellittica) è il movimento che un pianeta o un altro corpo celeste compie attorno ad un centro di massa. La Terra attorno al Sole, un satellite attorno a un pianeta, una stella attorno al centro galattico.
Nel Medioevo si parla di Riforma, cioè ridare forma originale a qualcosa che con il tempo si è corrotto, la riforma della Chiesa di San Francesco, “ricostruisci la mia Chiesa”, dirà il Signore al poverello di Assisi. Si parlerà di Riforma della Chiesa con Lutero, ma come abbiamo visto, non nel senso di tornare più fedeli alle origini come poteva sembrare all’inizio della protesta luterana, ma per sostituire alla Chiesa Cattolica con un’altra chiesa completamente ricostruita da zero e quindi diversa. In questo caso è doveroso parlare di Rivoluzione, cioè abbandono o distruzione di tutto ciò che era prima e rifacimento dalle fondamenta di qualcosa di nuovo, come avvenuto nella rivoluzione scientifica, in quella filosofica, in quella politica e in quella religiosa, ecc.
In questi casi rivoluzione diventa un termine filosofico, preso in prestito dall’astronomia, ma con un significato completamente diverso.

La Rivoluzione illuministica


L’Illuminismo, come rivoluzione della nostra cultura, rimane un momento di grande esaltazione, di grandi speranze, di svolta epocale che apre finalmente la strada al progresso, alla pace del mondo, alla fratellanza universale, alla libertà da ogni possibile vincolo di sovrani e padroni. Soluzione di tutti i problemi, sociali, politici e morali, che la vita dell’uomo incontrerà d’ora in avanti.
Punto zero della Società moderna, ovvero la società moderna nasce qui e tutto il prima va buttato via e dichiarato non solo obsoleto, ma addirittura nocivo per la crescita e lo sviluppo della società e della libertà dell’uomo. Saranno chiamati appunto i “secoli bui” quelli che hanno preceduto il “secolo dei lumi”. L’illuminazione viene dall’intelligenza dell’uomo e non certo da quella di un Dio inventato dall’uomo a causa della sua ignoranza e dabbenaggine.

Attraverso il lume della ragione si vuole illuminare il buio del passato, in particolare la superstizione generata dalla fede e dalla religione cristiana.
L’Illuminismo si dimentica che è la filosofia greca e quindi il pensiero occidentale che esalta la ragione e che è la fede cristiana che la utilizza a piene mani e la sviluppa proprio nei “secoli bui” del medioevo. L’esaltazione della ragione, non avviene con l’illuminismo, con l’illuminismo avviene la mortificazione della ragione, relegata alle sole cose che si toccano (riduzionismo). 

il Ballo Excelsior: il trionfo dell'umanità incivilita (grazie ai lumi della ragione)
inaugurato alla scala di Milano l’11 gennaio 1881.

Per il medioevoIn principio era il Lògos”, cioè la Ragione di Dio, dell’Uomo e delle cose. È proprio la Scienza moderna figlia della Ragione, riscoperta dai classici, tradotti dai monaci medioevali. Per la religione cristiana la ragione era lo strumento ideale per conoscere e capire tutte le discipline esistenti, in primis la religione stessa. Cioè con la ragione si potevano varcare le soglie della Fisica, inoltrarsi nella Metafisica ed arrivare a Dio. Un Dio che è solo avvicinabile dalla ragione, ma la cui conoscenza sarà abbordabile grazie alla rivelazione divina che completerà l’ultimo tassello: chi è veramente Dio. Questo Dio rivelato sarà compreso meglio grazie proprio alla ragione che riuscirà a spiegarsi anche quello che umanamente era impossibile conoscere senza che Dio stesso incarnandosi venisse a spiegarcelo di persona.

L’Illuminismo, dimentica e abbandona tutto questo, bandisce la fede e creauna nuova religione, la religione della Ragione che tutto spiega (mentre spiega solo alcuni aspetti della realtà) e che non ammette che esista ciò che le ragione non può spiegare. Conseguenza è che tutto ciò che non è quantificabile e misurabile e che quindi la Scienza non può spiegare: non esiste (non ci interessa). Non passa nella loro mente che la Ragione ha il suo limite proprio nella sua impossibilità di decifrare quello che non è matematichezzabile. Questo però è un limite posto dall’uomo che si rifiuta di indagare nel campo del mistero e del trascendente, cosa che la ragione vera può fare o per lo meno tentare di fare, come hanno fatto i Greci, arrivando così al Dio dei filosofi, che poi la rivelazione divina perfezionerà. La tradizione, tutta la cultura passata, tutto ciò che l’uomo ha studiato, cercato di capire e consolidato, tutto il pensiero dei saggi e dei sapienti, non viene considerata una risorsa da utilizzare per capire sempre di più, ma valutata un peso inutile di cui liberarsi al più presto. Liberati dall’oscuro passato possiamo davvero emanciparci e guardare al futuro, diventare veramente adulti.

Novità dell’Illuminismo


Lotta alla Religione

Significati di:

Ecco perché l’illuminismo è un rivoluzione, perché sostituisce completamente e inesorabilmente tutto quanto costruito fino ad ora, con qualcosa di  completamente nuovo, cancellando ogni traccia di quanto è stato.
L’uomo deve tornare a quello stato di natura che era nel paradiso terrestre. L’uomo dotato di ragione ed immerso nella natura si emancipa. Si emancipa dai Sovrani, dai padroni, dal Papa, dai preti, da Dio (da ogni forma di autorità compresa quella della famiglia). L’uomo diventa adulto quando si libera di queste cose, cioè quando si sente veramente libero. La ragione diventa quindi uno strumento con un riscontro estremamente pratico, liberare l’uomo da ogni orpello che, si crede, ne limiti la crescita e lo sviluppo.

Già agli inizi del XX  secolo, un gruppo di filosofi della scuola di Francoforte (di stampo marxista e quindi figli dell’illuminismo), criticarono fortemente l’illuminismo. Cosa ha prodotto l’illuminismo, si chiesero? Ha prodotto una ragione strumentale che non pone più uno scopo all’esistenza e alla ragione stessa. Come è usata la scienza? È usata per permettere all’uomo il dominio sulle cose e sul mondo, cioè sulla realtà, ma solo su quella realtà misurabile, cioè solo sugli aspetti quantitativi. Ma come la mettiamo con gli aspetti qualitativi che sono quelli che lo distinguono dalla macchine e dagli animali? Quella qualità che lo porta ad essere visto come una creatura di Dio, anzi come un figlio di Dio. Escludendo la qualità e considerando solo la quantità, l’uomo diventa un pezzo della natura, uno dei tanti, e quindi studiabile, sezionabile, manipolabile, usabile, ecc. L’uomo che vuole dominare la natura, finisce per essere dominato dal freddo calcolo razionale di se stesso. L’illuminismo che vuole liberare l’uomo, lo consegna legato mani e piedi al razionalismo più spietato che lo tratta come una cosa.

Theodor Adorno (Francoforte, 1903  Visp, 1969) in “La dialettica dell’illuminismo” (1944) dice: “L’illuminismo, nel senso più ampio di pensiero in continuo progresso, ha perseguito da sempre l’obiettivo di togliere agli uomini la paura e di renderli padroni. Ma la terra interamente illuminata splende all’insegna di trionfale sventura”.
Già Adorno vede che la prima e la seconda guerra mondiale sono un prodotto dell’illuminismo come la stessa Auschwitz. Per lui c’è una perfetta identità tra la logica dell’illuminismo e la logica del dominio.
Italo Mancini (fondatore Istituto di Scienze Religiose di Urbino che oggi porta il suo nome) dice: ”secondo la lettura fatta da Adorno, che vede nello schematismo kantiano il tramite della ragione manipolante e scellerata che procede dalle orge terrificanti del marchese De Sade alla volontà di potenza di Nietzsche, alla cultura di Auschwitz, l’emblema del nazionalsocialismo. La ragione diventata finalità senza scopo. L’uomo è solo un pezzo di natura, non ha un senso, non ha un fine e per questo lo si può adoperare per qualunque scopo”.

Corrado Gnerre (docente di antropologia filosofica – Univ.  Europea Roma)
“Dopo la frantumazione della modernità, la storiografia contemporanea non sembra disposta a rivederne le origini culturali, ostinandosi in un culto acritico dell’Illuminismo senza evidenziare le contraddizioni insite nella filosofia dei lumi, prima fra tutte la sua pretesa antropocentrica (secondo cui la ragione dell’individuo è il fondamento immanente del reale) che si rovescia in un itinerario di auto-distruzione dell’uomo. D’altronde le contraddizioni sono esiti inevitabili di tutte le utopie… e l’Illuminismo è stato, nella sua essenza, una grande utopia”. (Corrado Gnerre: L’Illuminismo – ed. Solfanelli e Studiare la filosofia per rafforzare la fede – ed. Studi Apologetici “Joseph obœdientissimus”).

Joseph Ratzinger: L’uomo ha bisogno dell’eternità, ogni altra speranza è per  lui troppo breve. … se non è vero che egli è una materia di nessun valore [che può essere usato alla stregua di una cosa], se il suo valore si chiama eternità, questo suo valore conta in ogni momento e suggella tutta intera la sua esistenza. Se alle generazioni  future si promette il paradiso [il sol dell’avvenir, la pace mondiale, la libertà assoluta, ecc.] ma poi ad ogni singolo individuo soltanto la morte e il nulla, allora non si è promesso niente a nessuno. … un futuro che è solo futuro e non ha in se assolutamente nulla del presente, all’uomo non resta in mano niente; … Un presente che è solo presente, dietro al quale non vi è che il nulla, non possiede più speranza alcuna. Il nulla che lo segue manda in rovina anche il presente e lo rende insopportabile. Solo l’eternità può unire presente e futuro …[e] arriva sempre fin dentro tutti i nostri giorni. Coloro che ci hanno dissuasi dalla fede nel cielo [e nell’eternità]. … costoro non ci hanno regalato la terra [libera, illuminata e progressista] bensì l’hanno resa deserta e vuota; l’hanno coperta di tenebre [ingiustizie, guerre, corruzioni, oppressioni, ideologie liberticide, ecc.]. Dobbiamo perciò trovare di nuovo il coraggio di credere alla vita eterna con tutto il nostro cuore. Allora avremo anche il coraggio di amare la terra e di edificarle un futuro. Osiamo dunque nuovamente, come ricominciando da capo a credere alla vita eterna e a vivere per la vita eterna. Vedremo come, del tutto da sé, la vita diventerà più ricca, più grande, più libera; più agile e più dinamica [avrà un senso pieno]”. (Bollettino diocesano, 4 gennaio 1979).
L’Illuminismo e i suoi figli: il Capitalismo, il Marxismo, il Liberismo, hanno prodotto queste osservazioni sulle radici del male di vivere.


Articolo della rivista “Il Timone”- n  137 - novembre 2014.

Il Criticismo

Il criticismo è un indirizzo filosofico che si propone di studiare e giudicare i problemi della conoscenza filosofica scomponendoli in problemi elementari, per cercare di risolverli.[1] Esso restringe in tal modo il campo di indagine della filosofia, ma ritiene al contempo di acquisire una maggiore sicurezza sulla veridicità delle affermazioni che vengono fatte al suo interno.
Il metodo di cui si serve consiste nel criticare o analizzare la ragione tramite la ragione stessa, in modo da scoprirne i limiti e poter così giudicare fondati o infondati alcuni dei principi che essa suole affermare. Il criticismo è stato infatti chiamato anche filosofia del limite, in quanto tende a limitare o a circoscrivere le possibilità della conoscenza umana, per quanto in questo modo essa riesca ad approdare a forme di sapere più sicuro. Il criticismo, in fin dei conti, è un'analisi della ragione umana, che diventa insieme giudice e imputato nel tentativo di scoprire cosa può realmente conoscere e affermare con certezza.
1.     Il Criticismo si oppone al dogmatismo
2.     Fa della critica lo strumento della filosofia
3.     Significa valutare i fondamenti, le possibilità, la validità e i limiti delle esperienze umane
4.     Il Criticismo nasce con Immanuel Kant
Il maggior esponente di questa corrente filosofica è il pensatore tedesco Immanuel Kant, che ricorse alla metafora della colomba per illustrare come, a suo modo di vedere, i limiti imposti all'intelletto siano in realtà costitutivi della sua stessa possibilità di muoversi e di conoscere:

Immanuel Kant (1724  1804)

La Vita

Immanuel Kant nasce a Konigsberg nella Prussia orientale, il 22 aprile 1724 e lì trascorre la sua intera vita, una vita tranquilla, del tutto priva di avvenimenti di rilievo, in  forte contrasto con il clima politico di grandi rivolgimenti del secolo in cui è vissuto. Fu un filosofo tedesco del XVIII  secolo e oggi considerato come il pensatore più influente dei tempi moderni. Quando suo padre morì, Kant lasciò l'università per guadagnarsi da vivere come insegnante privato. Aiutato da un amico, riprese poi gli studi e conseguì il dottorato. Per i successivi 42 anni insegnò diverse materie, focalizzandosi solamente più tardi sulla filosofia. Oltre alle opere di filosofia, Kant scrisse una serie di trattati su vari argomenti scientifici, riguardanti in particolare il campo della geografia fisica.
Quello di Kant è il secolo dei lumi, ma anche il secolo dei sovrani illuminati, come Federico il Grande Re di Prussia, che fu amico di Voltaire e fautore di importanti riforme, nonché di politiche di promozione della cultura.
Nella prima formazione di Kant, convergono il razionalismo del filosofo illuminista Cristian Wolff e il rigore della religione “Pietista”, una forma del protestantesimo nata in Germania tra il ‘ 600 e il ‘700 che Kant respira in famiglia e nell’ambiente degli studi inferiori.
In seguito, negli anni degli studi universitari, assumono una grande importanza la matematica e la fisica di Newton. Gli studi successivi lo portano in contatto con le opere di Rousseau e quelle del filosofo empirista Hume, a cui Kant attribuisce il merito di  averlo svegliato dal sonno dogmatico.
Kant ormai ottantenne viene colpito dal morbo di Alzheimer nel 1804. Sulla sua lapide volle scolpito: “Due cose riempiono l’animo di ammirazione e venerazione sempre nuova e crescente: il cielo stellato sopra di me e la legge morale dentro di me”.

Aspetti della filosofia di Kant

1.   Gli scritti precritici
2.   La fondazione del sapere (Critica della Ragion Pura)
3.   La morale e il dovere (Critica della ragion Pratica)
4.   Il giudizio estetico e il giudizio teleologico (Critica del Giudizio)
5.   La religione, la storia e il futuro dell’umanità

 

Il Criticismo di Kant 


Il primo fondamentale problema che vuole risolvere il pensiero di Kant è quello di identificare le condizioni che danno all'uomo la possibilità di raggiungere una conoscenza valida sia nel campo delle nuove scienze della natura sia in quelle tradizionali della metafisica, dell'etica, della religione e dell'estetica.

«Ogni interesse della mia ragione (tanto quello speculativo quanto quello pratico) si concentra nelle tre domande seguenti:
1.  Che cosa posso sapere?
2.  Che cosa posso fare?
3.  Che cosa ho diritto di sperare?»

Nella matematica e nella fisica l'uomo esprime giudizi universali e necessari superando i limiti dell'esperienza sensibile. L'illuminismo aveva visto in questo il segno evidente di ciò a cui può giungere la ragione ma lo scetticismo di Hume aveva però contestato i fondamenti teorici della moderna scienza galileiana e newtoniana. Occorreva quindi giustificare le sue basi teoriche e identificare i fondamenti filosofici che rendono possibile per l'uomo superare i dati empirici immediati, limitati e contingenti, per arrivare a conoscenze universali e necessarie.

La metafisica era giunta alla conclusione di potersi porre come una vera scienza in quanto come questa - ma svincolandosi da ogni esperienza sensibile - era in grado di offrire all'uomo verità certe. Kant si domanda se questo avventurarsi della ragione oltre i limiti dell'esperienza sia possibile per risolvere il problema di Dio, dell'immortalità dell'anima, di leggi morali ed estetiche universali. Kant è convinto in base alla mentalità illuministica del suo tempo che tutte queste problematiche possano risolversi sottoponendole all'esame critico della ragione.
Kant è il filosofo che ha dato vita al criticismo, termine che deriva dalle sue tre opere più importanti: la Critica della ragion pura (1781), la Critica della ragion pratica (1788) e la Critica del Giudizio (1790).

CRITICA DELLA RAGION PURA


La filosofia di Kant è la filosofia del limite. Kant cerca cioè di approfondire quanto aveva già studiato John Locke  nella sua opera: Saggio sull'intelletto umano (1690) in cui cercava di capire come possa il nostro intelletto “conoscere” e quali sono i suoi limiti.
Affronta questo tema nella sua critica alla ragion pura. Questa critica è una specie di processo giuridico che viene fatto alla ragione portata dinanzi ad un tribunale per essere giudicata e vedere cosa davvero può conoscere. Cosa la nostra ragione può conoscere con verità, in modo scientifico e incontrovertibile e cosa non può proprio conoscere. Il giudice di questo tribunale è la ragione stessa, imputata e giudice al contempo.

In questa critica Kant si confronta con la filosofia dominante nel ‘600 e nel ‘700, cioè il razionalismo e l’empirismo. Questo perché si accorge che entrambe queste correnti hanno aspetti positivi, ma accompagnati anche da aspetti decisamente negativi.

È  possibile avere una Scienza della Metafisica?


Questo si chiede Kant, perché egli è un innamorato della metafisica e si chiede se la metafisica può assurgere al ruolo di scienza. In altre parole: “Tu ragione pura, puoi andare oltre i limiti dell’esperienza e quindi fare metafisica, cioè andare oltre la fisica?
Per Kant conoscere è giudicare, cioè unire un soggetto ad un predicato. Vediamo, dice Kant, che ragionamenti hanno fato in proposito quelli che ci hanno preceduto.

Giudizi analitici a priori

Sono quelli che si hanno prima dell’esperienza. Sono giudizi che la nostra ragione dà, senza ricorrere all’esperienza. Sono i giudizi tipici del razionalismo di Cartesio “Cogito ergo sum” (Discorso sul metodo, IV; Meditazioni metafisiche, II, 6). Il razionalismo infatti vuole fondare la conoscenza sulla sola ragione senza fare riferimento all’esperienza che ritiene fallace.

Kant osserva che questo modo di procedere ha un grande svantaggio, non permette di ampliare la conoscenza, sono infecondi, confermano solo ciò che è già presente e chiuso nella nostra mente. Hanno d’altronde il vantaggio di essere “universali”, necessari, chiari, validi per tutti.

Giudizi sintetici a posteriori


Sono quelli proposti dall’empirismo, e sono quelli che vengono dopo aver fatto esperienza. L’empirismo infatti ci dice che nulla è nella nostra mente se prima i nostri sensi non ce l’hanno messo. Conoscenza attraverso la sola esperienza. Anche qui abbiamo il vantaggio che questi giudizi sono fecondi, perché permettono di ampliare la conoscenza (prima non sapevo qualcosa, ora con l’esperienza lo so). Lo svantaggio è che non sono necessari e universali. L’empirismo infatti era poi sfociato nel più totale scetticismo perché affermava “Posso dire solo ciò di cui io faccio esperienza, ma questo finisce con la stessa esperienza che ho fatto”.

Kant qui fa riferimento al ragionamento di Hume che afferma che se una palla di bigliardo ne colpisce un’altra e la sposta, non vuol dire che tutte le palle colpite da un’altra facciano lo stesso, è valido ciò che io vedo in questo momento, ma non so se si ripeterà ogni volta, anzi ogni volta è una nuova esperienza che vale solo in quel momento. Non sottostà alla legge “causa effetto”. Noi possiamo solo dire che quella palla ne ha colpita un’altra e l’ha spostata, solo quella che io ho visto, cioè che ho sperimentato personalmente, ma non posso farne una legge universale.

Si ha scienza indubitabile, certa, incontrovertibile, dice Kant, solo quando riusciamo a prendere il buono dei primi e il buono dei secondi. Cioè produrre giudizi a posteriori che ci permettano di ampliare la conoscenza, ma che siano contemporaneamente anche giudizi a priori.
La matematica e la fisica avevano già raggiunto lo stato di Scienze e a Kant interessava verificare se anche la metafisica potesse avere quei requisiti per potersi dire scienza.

La rivoluzione copernicana di Kant


Su cosa si fondano dunque questi giudizi a priori sulla ragione e sui principi logici e quelli posteriori sull’esperienza? Questi a loro volta su cosa si fondano? Si fondano su come noi siamo fatti, dice Kant e così introduce la sua rivoluzione copernicana, cioè mette al centro il soggetto del conoscere e alla periferia gli oggetti della conoscenza.

Fino ad ora abbiamo visto che la nostra conoscenza è un adeguamento a come le cose sono fatte. San Tommaso d’Aquino diceva chiaramente che la conoscenza era “adaequatio rei et intellectus”  («un adeguarsi  dell’intelletto alla cosa»).
Il conoscere per Kant non vuole al centro l’oggetto, le cose, ma il soggetto, cioè l’uomo. Nella conoscenza non siamo noi che ci adeguiamo all’oggetto, ma è l’oggetto che ruota intorno a noi e si adegua a come noi siamo fatti.

Da buon illuminista Kant crede che la ragione sia una caratteristica comune a tutti gli uomini, cioè che funzioni allo stesso modo in tutti gli uomini. Tutti noi abbiamo delle strutture innate con le quali organizziamo il conoscere. Quindi le cose si debbono adeguare a come noi le percepiamo. È come se noi avessimo degli occhiali con lenti verdi, per la qual cosa noi vediamo la realtà tutta verdognola.
Questa è per noi la realtà, non ci importa del nostro filtro, per noi è tutto così, tutto verdognolo. Probabilmente, altro esempio, il cavallo vede la realtà in un modo diverso da noi, nelle dimensioni, nel colore e per come e dove ha gli occhi. Per lui la realtà si adegua al suo modo di vedere e di percepire, si adegua alle logiche del suo cervello che interpreta in modo del tutto particolare la realtà che i suoi occhi gli passano.
Qual è la realtà vera? Quella del cavallo? Quella  dell’uomo? Non lo sappiamo.

Insomma siamo noi che imponiamo alle cose le nostre strutture conoscitive. Kant le chiama le nostre forme pure a priori, come se fossero degli stampini, come quelli che usano i bambini quando giocano sulla spiaggia, nei quali noi immettiamo la sabbia bagnata delle nostre percezioni e gli imponiamo la forma dello stampino che abbiamo deciso essere quello giusto. Tutti noi siamo dotati di “stampini” con i quali conformiamo la sabbia della realtà. Nel conoscere c’è si il materiale, la sabbia bagnata, ma questa sabbia sottostà a come siamo strutturati o fatti noi. Questo quindi vuol dire che noi non conosciamo come sono davvero le cose, non conosciamo la loro vera essenza. Noi delle cose conosciamo solo i fenomeni così come appaiono a noi.  Kant è il filosofo dualista per eccellenza, dualista radicale. Un conto è la realtà come essa è davvero e che lui chiama Noumeno (cosa solo pensabile), e un conto è la cosa come appare a me, il Fenomeno.

È questo il soggettivismo moderno che con Kant trionfa e che è da lui  scrupolosamente analizzato da tedesco qual è. Soggettivismo che resisterà anche agli attacchi di Hegel che vedremo.
Kant non nega come Berkeley l’esistenza dell’essere, afferma che l’essere, al di fuori di noi, esiste ed è pensabile, ma che è inconoscibile e lo chiama Noumeno. Conosciamo solo come la realtà appare a noi nel momento in cui guardiamo un Fenomeno. Essa dipende dalla struttura del soggetto pensante (per come noi siamo fatti e col nostro bagaglio di giudizi analitici a priori, con i quali valutiamo e giudichiamo le cose).

Il trascendentale


Il trascendentale, termine kantiano, è ciò che noi mettiamo nella conoscenza a priori, e cioè l’insieme delle forme pure a priori che tutti noi abbiamo e con le quali organizziamo e strutturiamo la realtà, o meglio, i fenomeni per come noi  li percepiamo, non la realtà vera.
Hegel farà poi osservare che dall’antichità, fino all’epoca moderna, la conoscenza era un rapporto immediato fra certezza e verità (filosofia realista). Quello che io conosco è anche quello che è. Hegel aggiunge che invece da Cartesio a Kant viene interrotto il rapporto immediato fra certezza e verità e nasce una netta separazione fra i due e che con Kant arriva al suo apice.

Il soggettivismo


Kant ribadisce che una cosa è la Verità delle cose, un’altra cosa è la conoscenza soggettiva. La Verità c’è, è innegabile, ma non la conosceremo mai, non sapremo mai come il mondo è davvero. Sapremo solo come il mondo appare a noi. È questo il soggettivismo.
Questo soggettivismo, ancora oggi imperante, apre la strada ad un concetto di libertà che non trova più ostacoli nella morale, nell’etica, nei costumi, nella religione e nemmeno nella ricerca scientifica che va ad invadere anche le aree più intime e sacre dell’uomo: l’affettività, la procreazione, l’erotismo, l’istinto, il desiderio, ecc.


Il soggettivismo è una rivoluzione devastante, non ci sono più riferimenti assoluti, punti fermi, tutto è in balia del singolo e del suo modo di vedere la vita e il mondo. Non c’è una verità oggettiva, ma tutta la vita è come io credo che sia. Il riferimento reale e più pratico diventa di fatto il potere, il successo, il piacere, la capacità di manovrare gli altri, l’arrivismo, l’utilità pratica, la propria affermazione, il protagonismo, ecc. (il rifiuto di Dio è il cattivo frutto del soggettivismo, è il “non serviam” di Satana).

Sensibilità – Intelletto - Ragione.


Per Kant ci sono tre facoltà conoscitive dell’uomo e sono la sensibilità, l’intelletto e la ragione.

La sensibilità è la sfera dei sensi che è essenzialmente ricettiva e nella quale noi siamo apparentemente passivi. Noi però ci mettiamo a priori il concetto di spazio e quello di tempo. Per Kant spazio e tempo non sono realtà oggettive esterne a noi, ma sono forme pure a priori del soggetto che conosce. Sono le prime due forme di quello che abbiamo chiamato il trascendentale. Noi infatti non possiamo non collocare le cose che nello spazio e nel tempo. Non possiamo nemmeno immaginare una assenza di spazio (assenza di cose sì, ma non assenza di spazio). Questo perché lo spazio è qualcosa che ci appartiene a priori. Altrettanto non possiamo immaginaci l’assenza di tempo. Quando pensiamo all’eternità non riusciamo veramente ad immaginarla, ci rimane sempre come un punto interrogativo, come una cosa indefinibile.


Spazio e tempo sono forme pure a priori del soggetto, non sono realtà che esistono esternamente a lui. Noi la realtà la strutturiamo spazio temporalmente. C’è cioè una prima sintesi, un primo giudizio. Pensiamo per esempio alle norme giuridiche. Una delle loro caratteristiche principali è l’astrattezza, perché non possono contemplare un caso particolare, cioè non possono essere create su misura per ogni accadimento, ma sono norme astratte che si dovranno calare poi sul fatto concreto e particolare. Il fatto allora potrà rientrare nella norma. Noi tutte le volte che conosciamo, giudichiamo, cioè applichiamo le nostre forme pure a priori a del materiale sensibile. Forme pure a priori che sono vuote ed astratte.
Riassumendo c’è l’elemento sensibile a posteriori, cioè l’esperienza, che ci permette di ampliare la conoscenza (come voleva l’empirismo), ma c’è anche l’elemento a priori o le forme pure a priori (come voleva il razionalismo).

L’intelletto è la facoltà attraverso la quale pensiamo tramite concetti. Qui di forme pure ne abbiamo dodici. Kant si rifà alle categorie cioè ai  nostri concetti sommi (sostanza, causa effetto, contingenza, ecc.). Queste dodici categorie dell’intelletto si applicano al materiale sensibile che spazio tempo hanno già sintetizzato.

La ragione per Kant, è quella parte di noi che vuole conoscere da sola, con il solo ragionamento, in modo puro, senza sporcarsi con il materiale sensibile. Egli si chiede: “Ma la nostra ragione può conoscere in modo puro con il solo ragionamento? Senza cioè far ricorso a del materiale?” Vuol dire senza fare giudizi, senza applicarsi a qualcosa di concreto. Poter andare quindi anche oltre l’esperienza. Poter produrre idee pure.
La differenza fra ragione ed intelletto sta nel fatto che l’intelletto si applica alle categorie già strutturate nello spazio e nel tempo dopo l’esperienza sensibile, la ragione invece vuole andare oltre l’esperienza e produrre idee pure.

Io Penso. Tutta questa organizzazione, tutto questo che passa dai sensi e poi all’intelletto e poi alla ragione ha però bisogno di un’ultima super categoria che poi le governa tutte. Questa super categoria Kant la chiama “Io penso”. Noi potremmo chiamarla l’autocoscienza. Tutte queste sintesi necessitano di qualcuno dietro che sia consapevole di stare facendo queste sintesi. Kant la chiama la percezione pura trascendentale, che non vuol dire altro che ci si rende conto che c’è un soggetto dietro a tutto questo, un soggetto pensante (io penso). Quindi le forme pure a priori che sono l’elemento universale della conoscenza, sono due nella sensibilità, dodici nell’intelletto e la super categoria “io penso”.

Nell’estetica trascendentale ci sono le forme pure della sensibilità, nella logica le forme pure dell’intelletto, nella dialettica vediamo il cuore della critica alla ragion pura, di questo processo alla ragione per verificare ciò che essa può conoscere con verità e in modo scientifico, la dialettica è quella parte che Kant dedica alle idee della ragione, alle idee pure, quelle che non hanno un contenuto sensibile.
Queste sono di fatto le tre fondamentali idee della metafisica classica: l’anima (il soggetto), l’essere (il mondo) e Dio (di cui non si può dire nulla). Il soggetto, la realtà e Dio. Ricordiamo che la domanda di fondo di Kant è se la metafisica può essere scienza.


L’Anima non è una esperienza che noi facciamo, è una forma pura a priori. È ciò che permette l’esperienza. L’anima per Kant non è altro che una attribuzione indebita alla quale la nostra ragione da una sostanzialità, una immortalità, ma dell’anima non si ha scienza.


Il Mondo. Del mondo noi abbiamo solo una esperienza particolare. Abbiamo si una tendenza insopprimibile a voler capire cosa è il mondo, ma cosa è il mondo non lo sappiamo. Sappiamo solo come appare a noi, nelle limitate esperienze che facciamo. Quando la ragione da sola, senza l’esperienza, comincia a ragionare sul mondo non fa scienza, ma genera le così dette antinomie della ragione. Dà ragione a tesi opposte. I greci mi dicono che il mondo è sempre esistito e sempre esisterà e mi convincono, i medioevali mi dicono che il mondo è stato creato da Dio e finirà e mi convincono, san Tommaso d’Aquino mi convince, Giordano Bruno mi  convince, ecc.
Questo perché nessuno porta esperienze, è la ragione che in modo puro, senza il materiale sensibile, senza i fenomeni, vuol dire qualcosa di valido per tutti. Di valido per tutti si può però dire solo dell’apparenza delle cose, non le cose stesse. Nessuno ha la completa e reale esperienza delle cose del mondo e la ragione si perde in antinomie, in discorsi che ci convincono sia quando affermano una cosa che quando ne affermano un’altra (potenza della parola convincente). Questo perché non abbiamo un ancoraggio a qualcosa di materiale. Ci manca un assoluto che confermi la validità del nostro ragionamento e della nostra visione delle cose (Quid est veritas?  "Che cosa è la verità?” dirà Ponzio Pilato - ndr).


Dio. E di Dio cosa ci dice Kant?. Dio non è un fenomeno, non si può dire nulla su Dio, Dio si può dire che esiste, come si può dire che non esiste, comunque non è conoscibile. Quindi come non posso fare scienza con l’anima, non posso fare scienza con il mondo e non posso fare scienza con Dio.
I fenomeni sono come una piccola isola in un oceano infinito, dice Kant. Noi dobbiamo accontentarci di come è fatta questa piccola isola, della nostra piccola terra sicura, perché tutte le volte che la ragione vuole avventurarsi nel vorticoso mare della metafisica, cioè andare oltre l’esperienza, si perde, come si perde il navigante senza bussola e senza poter vedere la stella polare.

“Questo territorio, piccolo come un’isola, che per quanto possa essere bella rimane un’isoletta in un mare sconfinato. Questo territorio della conoscenza sensibile è un’isola che la natura ha chiuso in confini immutabili. È il territorio, della nostra verità. Dobbiamo limitarci alla nostra verità. Verità circondata da un ampio e tempestoso oceano. È più ciò che non sappiamo che quello che sappiamo.

Accontentiamoci solo di ciò che possiamo sapere con certezza. In questo immenso oceano che ci circonda ha la sua sede più propria la parvenza, l’illusione metafisica e dove innumerevoli banchi di nebbia e ghiacci creano in ogni istante l’illusione di nuove terre, cioè di qualcosa di più vero, sull’anima, sul  mondo, su Dio, generando così sempre  più nuove e ingannevoli speranze nel navigante (in noi) che si aggira avido di nuove scoperte. Queste lo sviano in avventurose imprese che non potrà né condurre a buon fine, né abbandonare una volta per sempre”. “La metafisica di cui ho il destino di essere innamorato è una mera illusione”. (da “La critica della ragion pura”)


Kant immagina, a proposito del dibattito sull’esistenza di Dio, in maniera piuttosto ironica, di avere in tasca cento talleri e di pensarne cento: quelli che lui pensa dovrebbero essere meno di quelli che ha in tasca, poiché ciò che è pensato è meno perfetto di ciò che è esistente. Ma pur continuando a pensarne cento, non per questo ne avrebbe di più in tasca.
E quindi è per lui impossibile una prova di questo genere.
È di fatto la contestazione al pensiero di sant’Anselmo che invece affermava che Dio è “l’essere di cui non si può pensare nulla di maggiore” e che quindi esiste nella mente dell’uomo, ma che è assurdo che esista solo nella mente dell’uomo.
La confutazione kantiana, partendo dal presupposto che il concetto di essere potesse avere senso solo se applicato alla realtà empirica e fenomenica, come modo di operare del nostro intelletto, fu a sua volta accusata di rinchiudersi in un nominalismo astratto, incapace di aprirsi al noumeno e quindi all'autentica realtà ontologica.

Lo stesso Kant, d'altronde, che già aveva preso posizione contro gli scettici, accusati di «aborrire ogni stabile edificazione del suolo», nella Critica della ragion pratica farà dell'esistenza di Dio un postulato o assioma dell'agire etico. A proposito di Dio dirà che è una condizione moralmente necessaria che dà senso alla legge morale, compensando le ingiustizie e impedendo nel mondo ultraterreno il ripetersi della contraddizione logica tra la sofferenza del giusto e la sua aspirazione a vivere secondo ragione.

Condanna della “Ragion pura”


Il giudice della ragione, cioè la ragione stessa, in questo processo che abbiamo condotto in questa aula di tribunale che è la “Critica della ragion pura”, ha emesso una sentenza di condanna senza appello. Tu ragion pura, che vuoi conoscere in modo puro senza alcun riferimento al materiale sensibile, sei condannata. Su questo banco degli imputati sono finiti Aristotele, san Tommaso d’Aquino e tutti i grandi geni che l’umanità ha conosciuto che ci hanno aiutato a perseguire la Verità vera e a respingere idee riduzioniste, fuorvianti e liberticide e ad usare la ragione per comprendere la rivelazione divina non solo con il cuore ma anche con la mente.
Non più Dio che spiega l’uomo e il mondo, ma l’uomo che spiega il mondo e se stesso.
la Libertà mette in fuga l'ignoranza e il fanatismo (la religione cattolica)
con lo scettro della Ragione (sormontato da un Occhio onniveggente!).
Ma la Ragione da Kant è condannata.

LA CRITICA DELLA RAGION PRATICA

L'uomo non solo conosce, ma anche agisce, ed è in ordine al suo comportamento che si rende necessaria un'altra sfera di indagine filosofica che stabilisca delle norme di comportamento: questa è la Critica della ragion pratica. Ne deriva che il sapere filosofico kantiano si articola attorno a due punti fondamentali: il fatto della scienza e quello della morale. Le dottrine etiche tradizionali stabilivano il fondamento delle norme etiche sulla conoscenza, sulla volontà di Dio, sul sentimento, ecc.; in Kant, invece, la norma morale è frutto della decisione immediata dell'uomo.
Kant sente la necessità di definire una legge morale che valga per tutti, cioè universale, ma che non può essere desunta dalla realtà che è sempre mutevole, ma dalla Ragione. L’uomo per natura riconosce la legge morale ma la sente come un imperativo imposto da una autorità esterna a lui e quindi tende a non seguirla. A questo punto è la ragione che impone la legge morale, come un dovere. La legge morale diventa una legge razionale, una metafisica, perché la ragione è il linguaggio universale dell’uomo. Questo  dovere Kant lo chiama «Imperativo» e ne identifica due tipi:
1.   Imperativo ipotetico
2.   Imperativo categorico
L’imperativo ipotetico è quello che subordina il comando dell’azione da compiere al raggiungimento di un determinato scopo: “fai una certa cosa per ottenerne un’altra”, es.: “non forzare l’andatura all’inizio della gara, ma risparmia energie per la fuga finale”. È un’indicazione sintetica, ma non universale, vale solo per una certa situazione precisa.

L’imperativo categorico è quello che vale di per se. Es.: “non mentire”, non perché la gente non ti creda un bugiardo, ma perché sei convinto che il mentire sia un male e che la verità sia un bene. L’imperativo categorico si impone in quanto universale. Essendo poi un imperativo che non dipende da nessun oggetto, da nessun contenuto, esso si presenta come sola forma.
“Agisci in modo che la massima della tua azione possa diventare legge universale”, “Esiste una legge universale, quindi agisci secondo questa legge” (Kant).
L’imperativo categorico non dice “persegui quel fine”, “vai in quella direzione”, no, agisci in modo tale che la tua legge sia universale, valida per tutti. Come si tira fuori da questo concetto il Bene? Il Bene è qualcosa che non precede la legge, ma viene dedotto dalla legge. La legge morale si configura in quanto bene. “Devi obbedire, perché la legge è il bene”. Bene è ciò che è comandato dalla legge morale. La legge morale comanda sempre e solo ciò che è bene. Come riconosciamo questa legge morale? Essa è dentro di noi e non ci può essere imposta da alcuno (Re, Sovrano, Governante, Legislatore, ecc.). La riconosciamo attraverso la nostra volontà razionale, che ci fa riconoscere che la legge morale è un valore di per se. Se la volontà ragionevole dà la legge da se, vuol dire che non la riceve da altri. È quindi libera. La libertà è un presupposto fondamentale. La libertà diventa, nella critica alla ragion pratica, un postulato, cioè un principio che non può essere spiegato ma che serve per poter spiegare tutto il resto.

L’imperativo morale Ma come si deve comportare l’uomo perché la sua azione si possa considerare moralmente buona? Ogni azione va interpretata e voluta dall’uomo come LEGGE UNIVERSALE DI NATURA. L’umanità va considerata come fine e mai come mezzo.
L’imperativo morale deve essere:

1.   CATEGORICO     – deve valere senza condizioni
2.   FORMALE           – deve dire come rendere universale la propria azione
3.   UNIVERSALE      – deve valere per tutti
4.   RAZIONALE        – deve essere un comando della ragione
5.   AUTONOMO       – non deve essere imposto da nessuno, ma solo dalla ragione.




La legge morale comanda sempre e solo ciò che è bene. Il Bene è qualcosa che viene dedotto dalla legge morale, non la precede.
La legge morale è quindi libera. La libertà diventa un postulato, cioè un principio che non può essere spiegato ma che serve per poter spiegare tutto il resto.

I postulati della "ragione pratica"

La vita morale non sarebbe sufficientemente fondata senza tre postulati che ci inseriscono nel mondo noumenico precluso alle possibilità della "ragione pura".
1) la libertà (e quindi l'anima)
2) l'immortalità dell'anima
3) l'esistenza di Dio

Sono dichiarati irraggiungibili dalla ragion pura e quindi scartati. Kant li recupera per poter giustificare l’universalità delle virtù e la possibile santità della vita.
1) La libertà. La ragione pratica la esige come presupposto. Sarebbe infatti impossibile l'obbligazione se non esistesse la libertà. E la libertà non è che la rivelazione di un mondo sovrasensibile, di un noumeno, di una sostanza spirituale, indipendente dalla legge della causalità. La ragione pratica conferma con un fatto ciò che poteva solo essere pensato.
2) L'immortalità dell'anima. Per capire questo postulato è necessario rifarsi al concetto kantiano di virtù, di felicità, di sommo bene. La virtù, dice Kant, è il bene supremo; tuttavia, per essere tale deve essere unita alla felicità. Ora, poiché nel mondo felicità e infelicità dipendono da cause naturali e non sono commisurate ai meriti e demeriti, deve esistere un'altra vita dove la felicità sia necessariamente connessa con la virtù.
3) L'esistenza di Dio. Essa è basata essenzialmente su due motivi:
- La corrispondenza della felicità alla virtù. Il mondo fenomenico nel suo meccanismo causale è cieco alle esigenze spirituali: ci vuole un Essere sovrasensibile che sia il garante di una giustizia.
- La stessa vita morale rimanda, per altro verso, a Dio: non nel senso che la legge morale e la sua obbligatorietà si basi su Dio, ma nel senso che Dio è basato, cioè è rivelato, dalla legge morale. Non dobbiamo considerare certe azioni come doverose perché sono precetti di Dio, ma dobbiamo considerarle come precetti di Dio perché sono interiormente doverose.
La domanda di partenza della Critica della Ragion pratica era: la Ragione pratica, può riuscire a formare una morale che sia svincolata dai sensi e dall’effimero e quindi universale? Questa volta la risposta è SI.

 




La religione


Bisogna anzitutto ricordare che riguardo alla religione Kant inverte i termini tradizionali: è la religione che si basa sulla morale e non viceversa. La religione è infatti la legge che è in noi, in quanto riceve autorità da un Legislatore e Giudice: è la morale applicata alla conoscenza di Dio. Se la religione non è integrata dalla morale, essa non è che implorazione dei favori celesti. Kant tende quindi ad identificare religione e morale, ad assorbire la prima nella seconda. Tutti gli uomini di buona volontà, cioè tutti coloro che si adoperano in questa opera di liberazione, formano la comunità invisibile degli spiriti, cioè la "Chiesa invisibile". Questa è la vera religione, la religione naturale, "fede religiosa pura". Tuttavia Kant ammette anche una religione rivelata, una "Chiesa visibile": gli uomini concretamente considerati hanno bisogno di una voce e di una organizzazione esterne che impongano loro dei doveri. Qual è la differenza tra religione naturale e religione rivelata? In quella naturale riconosco qualcosa prima come mio dovere e poi come comando divino, in quella rivelata riconosco qualcosa prima come comando divino e poi come mio dovere. Se il cristianesimo è per Kant la religione superiore, lo è solo perché può essere ricondotto completamente alla pura morale.

LA CRITICA DEL GIUDIZIO


Nella Critica del Giudizio Kant si interessa del BELLO e del SUBLIME. Bello: è ciò che piace senza interesse e senza un concetto preesistente. Il Bello è un piacere del tutto disinteressato e indipendente da un giudizio morale. Sublime: nasce dal sentimento provato dall’uomo davanti alla grandezza e alla potenza della natura di cui si sente la parte più importante, ma anche la più impotente.

Il giudizio teleologico.

Gli esseri viventi (i vegetali, gli animali e l’uomo) operano come se avessero un proprio progetto interno in vista di un fine. Il concetto di fine (= teleos) appartiene alla ragione. Il giudizio teleologico esprime l’ordine finale, lo scopo delle cose, e perciò esprime un concetto della ragione e conferma il principio di finalità.

“Cosa sia in sé la natura non lo sappiamo, perché la conosciamo solo fenomenicamente; tuttavia non possiamo fare a meno di considerarla come finalisticamente organizzata: per la particolare struttura della mia facoltà conoscitiva io non posso giudicare della possibilità di quelle cose [naturali] e della loro produzione se non pensando ad una causa che agisce intenzionalmente. Poi, una Intelligenza ordinatrice può servirsi di leggi meccaniche per realizzare il suo ordine. L’intelligenza umana che forgia la natura con le sue leggi, senza esaurirne tutti i particolari, sarebbe un riflesso della Intelligenza che ha creato la natura. La considerazione teleologica ha un uso regolativo, euristico, ossia valido per ricercare le leggi particolari della natura".

Kant e la filosofia moderna


Il pensiero di Kant rappresenta il culmine della riflessione avviatasi nel Settecento dopo la rivoluzione scientifica, che aveva visto la filosofia moderna dividersi in due grandi correnti: l’empirismo, secondo il quale la conoscenza valida può derivare soltanto dall’esperienza, e il razionalismo, secondo il quale soltanto la ragione può conferire universalità e necessità al sapere umano. Per Kant tali impostazioni conducevano in due vicoli ciechi: il razionalismo, pretendendo di fare a meno dell’esperienza, portava al dogmatismo, ossia ad accettare una tesi non in base a una dimostrazione ma in maniera acritica; l’empirismo, pretendendo di limitarsi alla sola esperienza, portava invece allo scetticismo, come dimostrava la filosofia di Hume.

Volendo evitare entrambi questi esiti, Kant riprende il problema critico sollevato da Locke – ossia l’indagine sugli ambiti e sui limiti della conoscenza umana – e lo affronta in modo assai più radicale, sino a farne il problema filosofico per eccellenza (e infatti la filosofia di Kant è detta criticismo). Egli non intende limitarsi, come aveva fatto il filosofo inglese, a descrivere ciò che di fatto la ragione umana conosce o non conosce, ma vuole individuare le condizioni e i fondamenti della conoscenza, stabilendo una volta per tutte ciò che la ragione umana di diritto può o non può conoscere.

Applicata al sapere del suo tempo, tale indagine doveva rispondere a due domande. Nel caso della scienza newtoniana – sulla cui validità Kant non aveva dubbi – si trattava di stabilire come fosse possibile tale scienza, ossia cosa le permettesse, anche quando aveva a che fare con l’esperienza, di enunciare leggi dotate di universalità e necessità. Nel caso della metafisica tradizionale – il cui carattere scientifico era dubbio, visto che da secoli era un campo di battaglia tra opinioni opposte – si trattava invece di stabilire se potesse essere una scienza, o no. (Estratto da “Kant spiegato ai ragazzi” di Stefano De Luca Enciclopedia dei ragazzi (2006)

Illuminismo e massoneria


Reinhart Koselleck
Reinhart Koselleck (1923  2006) filosofo e storico tedesco sostiene che con l’Illuminismo si ha anche la nascita e lo sviluppo della Massoneria che rappresenterebbe il collaudo di una forma di potere indiretto - parallelo e segretamente conflittuale, o quantomeno alternativo - a quello dello Stato. Le premesse di un tale “esperimento” risalgono alla separazione tra morale e politica (Macchiavelli). La netta separazione della sfera dell’etica da quella della politica, ha favorito lo sviluppo delle sette massoniche come critica borghese al sistema dell’ancien régime. La Massoneria, inoltre, e più ancora gli Illuminati di Baviera, avrebbero elaborato un progetto di presa del potere contro lo Stato assoluto dissimulandone però il significato politico mediante il dualismo tra morale e politica, che consentiva di occultare i loro veri obiettivi dietro la facciata di un laicismo apparentemente "neutro" in senso politico o quantomeno presentato come apartitico.
Kant versus san Matteo
… uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli. Non vi fate chiamare guide, perché una sola è la vostra Guida, il Cristo: Via, Verità e Vita.
[Mt 23; 10]

Il Cardinale Pie confuta il laicismo


Secondo il card. Eduard Pie, vescovo di Poitiers (1815 – 1880), fondatore della congregazione diocesana degli oblati di S. Ilario, l’errore fondamentale dell’età moderna è il “naturalismo”. Esso pretende che l’uomo viva chiuso nella sfera dell’ordine  naturale, prescindendo dal progetto soprannaturale ossia dell’azione provvidenziale di Dio, da quella redentrice di Cristo e da quella santificatrice della Chiesa; questa immanenza chiusa al trascendente la chiama “umanesimo”. In pratica il “naturalismo” tenta di ritorcere i doni di Dio contro Dio stesso, ponendo le capacità spirituali e materiali al servizio non della gloria divina, bensì alla vanità umana. Ma in tal modo esso “finisce col negare le basi stesse della natura razionale e ogni regola del giusto e dell’ingiusto, quindi a rovesciare le fondamenta della società”.
Nella vita sociale, il naturalismo si realizza col “laicismo”, che tenta di scristianizzare politica , diritto ed economia. Il cardinale ammonì che, “quando l’errore si incarna nelle leggi e nelle regole amministrative, penetra gli animi ad una profondità dalla quale diventa quasi impossibile estirparlo”; come si suol dire, “la legge di oggi diverrà il costume  di domani” (e l’etica del dopodomani, cioè di oggi).
Ai fedeli tiepidi e timidi, il laicismo propone il falso ideale moderato di una società “più umana” (mascherata da diritti civili senza doveri), ossia non cristiana, né anticristiana, ma “neutrale”. (Dante questi cristiani li mette nel girone degli “ignavi” disprezzati anche dai dannati e che Gesù, nel giudizio finale, dirà loro “non vi conosco”).
Dalla Rivoluzione Francese in poi il laicismo tenta di far rivoltare contro la Chiesa anche gli Stati, per organizzare, con il solerte aiuto della Massoneria, un “nuovo ordine mondiale” ateo, capace di rompere ogni dipendenza da Cristo riducendolo a un Re esiliato dalla terra e relegato in Cielo. Il card. Pie previde che questo avrebbe spinto i popoli, prima verso il compromesso, poi verso l’indifferenza ed infine verso l’apostasia, l’immoralità (mascherata oggi da “buonismo” e “tolleranza”),  perdendo la coscienza ci ciò che sia bene e di ciò che sia male e scivolando nel caos (nel quale sembra ormai di esserci dentro davvero). Egli combatté soprattutto il “liberalismo” che coinvolge il “cattolicesimo liberale” in quanto “eresia politica” infiltratasi nella Chiesa (anticipazione del fumo nel tempio di Paolo VI) per ingenuità, per convenienza, per malizia, e ammonì che “il diavolo si dà da fare per suscitare cattolici moderati (oggi si chiamano “cattolici adulti”, cioè liberi dalle indicazioni del Papa e del Magistero della Chiesa).

Benedetto XVI e la “tiepidezza”


"...il danno per la Chiesa non viene dai suoi avversari, ma dai cristiani tiepidi".
"Cari amici, Cristo non si interessa tanto a quante volte nella vita vacilliamo e cadiamo, bensì a quante volte noi, con il suo aiuto, ci rialziamo. Non esige azioni straordinarie, ma vuole che la sua luce splenda in voi. Non vi chiama perché siete buoni e perfetti, ma perché Egli è buono e vuole rendervi suoi amici. Sì, voi siete la luce del mondo, perché Gesù è la vostra luce. Voi siete cristiani – non perché realizzate cose particolari e straordinarie – bensì perché Egli, Cristo, è la vostra, nostra vita. Voi siete santi, noi siamo santi, se lasciamo operare la sua Grazia in noi."
"Sappiate osare di essere santi ardenti, nei cui occhi e cuori brilla l’amore di Cristo e che, in questo modo, portano luce al mondo. Io confido che voi e tanti altri giovani qui in Germania siate fiaccole di speranza, che non restano nascoste. “Voi siete la luce del mondo”. “Dove c’è Dio, là c’è futuro!”".
"Ci sono teologi che, di fronte a tutte le cose terribili che avvengono oggi nel mondo, dicono che Dio non possa essere affatto onnipotente. Di fronte a questo, noi professiamo Dio, l’Onnipotente, il Creatore del cielo e della terra. E noi siamo lieti e riconoscenti che Egli sia onnipotente. Ma dobbiamo, al contempo, renderci conto che Egli esercita il suo potere in maniera diversa da come noi uomini siamo soliti fare. Egli stesso ha posto un limite al suo potere, riconoscendo la libertà delle sue creature. Noi siamo lieti e riconoscenti per il dono della libertà. Tuttavia, quando vediamo le cose tremende, che a causa di essa avvengono, ci spaventiamo. Fidiamoci di Dio, il cui potere si manifesta soprattutto nella misericordia e nel perdono."
"Dio rispetta la nostra libertà. Egli non ci costringe. Egli attende il nostro “sì” e lo mendica, per così dire."
"La Chiesa in Germania ha molte istituzioni sociali e caritative, nelle quali l’amore per il prossimo viene esercitato in una forma anche socialmente efficace e fino ai confini della terra. A tutti coloro che si impegnano nella Caritas tedesca o in altre organizzazioni, oppure che mettono generosamente a disposizione il loro tempo e le loro forze per incarichi di volontariato nella Chiesa, vorrei esprimere, in questo momento, la mia gratitudine e il mio apprezzamento. Tale servizio richiede innanzitutto una competenza oggettiva e professionale. Ma nello spirito dell’insegnamento di Gesù ci vuole di più: il cuore aperto, che si lascia toccare dall’amore di Cristo, e così dà al prossimo, che ha bisogno di noi, più che un servizio tecnico: l’amore, in cui all’altro si rende visibile il Dio che ama, Cristo. Allora interroghiamoci, anche a partire dal Vangelo di oggi: come è il mio rapporto personale con Dio, nella preghiera, nella partecipazione alla Messa domenicale, nell’approfondimento della fede mediante la meditazione della Sacra Scrittura e lo studio del Catechismo della Chiesa Cattolica? Cari amici,il rinnovamento della Chiesa, in ultima analisi, può realizzarsi soltanto attraverso la disponibilità alla conversione e attraverso una fede rinnovata."
"Cari amici, con Paolo oso esortarvi: rendete piena la mia gioia con l’essere saldamente uniti in Cristo! La Chiesa in Germania supererà le grandi sfide del presente e del futuro e rimarrà lievito nella società, se i sacerdoti, le persone consacrate e i laici credenti in Cristo, in fedeltà alla propria vocazione specifica, collaborano in unità; se le parrocchie, le comunità e i movimenti si sostengono e si arricchiscono a vicenda; se i battezzati e cresimati, in unione con il Vescovo, tengono alta la fiaccola di una fede inalterata e da essa lasciano illuminare le loro ricche conoscenze e capacità. La Chiesa in Germania continuerà ad essere una benedizione per la comunità cattolica mondiale, se rimane fedelmente unita con i Successori di san Pietro e degli Apostoli, se cura in molteplici modi la collaborazione con i Paesi di missione e si lascia anche “contagiare” in questo dalla gioia nella fede delle giovani Chiese."
"In Germania la Chiesa è organizzata in modo ottimo. Ma, dietro le strutture, vi si trova anche la relativa forza spirituale, la forza della fede nel Dio vivente? Sinceramente dobbiamo però dire che c’è un’eccedenza delle strutture rispetto allo Spirito. Aggiungo: La vera crisi della Chiesa nel mondo occidentale è una crisi di fede. Se non arriveremo ad un vero rinnovamento nella fede, tutta la riforma strutturale resterà inefficace."
"E qui siamo chiamati a cercare nuove vie dell’evangelizzazione. Una di queste vie potrebbe essere costituita dalle piccole comunità, dove si vivono amicizie, che sono approfondite nella frequente adorazione comunitaria di Dio. Qui ci sono persone che raccontano le loro piccole esperienze di fede nel posto di lavoro e nell’ambito della famiglia e dei conoscenti, testimoniando, in tal modo, una nuova vicinanza della Chiesa alla società. A quelle persone appare poi in modo sempre più chiaro che tutti hanno bisogno di questo cibo dell’amore, dell’amicizia concreta l’uno con l’altro e con il Signore. Resta importante il collegamento con la linfa vitale dell’Eucaristia, perché senza Cristo non possiamo far nulla (cfr Gv 15,5)."
(Dall’incontro del SANTO PADRE BENEDETTO XVI con la Chiesa di Germania il 24 e il 25 settembre 2011 a Freiburg im Breisgau)
La Rivoluzione moderna
·     PRESENTAZIONE

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