sabato 13 maggio 2017

3t-2-La Rivoluzione nella Fede e nella Scienza

Le slides e la Dispensa


































































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La filosofia moderna inizia con l'Umanesimo (XIV secolo circa), cioè con la rivalutazione dell'uomo e della sua esperienza eminentemente terrena, e termina con la figura di Immanuel Kant (1724-1804) che aprirà la strada al Romanticismo e alla filosofia contemporanea. Il tratto distintivo di quest'epoca è un accentuato antropocentrismo (Concezione secondo cui tutto ciò che è nell'universo è stato creato per l'uomo e per i suoi bisogni, per cui l'uomo si viene a trovare al centro dell'universo e può considerarsi misura di tutte le cose) a questo si unisce un costante riferimento a valori assoluti, fino a quando in alcuni pensatori, soprattutto verso la fine del XVIII secolo con l'Illuminismo, si avrà l'abbandono di un tale connubio, che porterà all'inizio della post-modernità tipica del positivismo e dell'età odierna.
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La filosofia rinascimentale  vede una rinascita del neoplatonismo e del pensiero di Plotino, identificato allora interamente con quello di Platone e alcuni concetti propri dell'aristotelismo.
Tra gli esponenti di spicco del neoplatonismo vi fu in  Germania  Nicola Cusano (1401-1464),  cardinale,  teologo,  filosofo,  umanistagiurista,  matematico  e  astronomo tedesco. Questi formulò una metafisica basata su quella che era stata definita teologia negativa  nelle opere risalenti al V secolo  attribuite a  Pseudo-Dionigi l'Areopagita, affermando con Socrate che vero sapiente è colui che, sapendo di non sapere, possiede perciò una  dotta ignoranza: da un lato riconosce che Dio è al di là di tutto, persino del pensiero, ed è perciò irraggiungibile dalla filosofia; dall'altro però Dio va ammesso quantomeno sul piano dell'essere, perché è la meta a cui la ragione aspira. La filosofia deve culminare così nella religioneDio pertanto è il fondamento della razionalità, ma di Lui possiamo avere solo una conoscenza intuitiva perché la Verità non è qualcosa da possedere ma da cui si viene posseduti. Il cardinale Cusano è anche noto perché fu il primo a studiare la  cicloide e ad utilizzare  lenti concave  per la correzione della miopia
In Italia abbiamo Marsilio Ficino  e  Pico della Mirandola. Ficino concepì il platonismo come una vera e propria preparazione alla fede cristiana, intitolando la sua opera più celebre Theologia platonica. Mentre Pico della Mirandola conciliò il platonismo con l'aristotelismo, esaltando il valore dell'uomo come l'unico essere vivente a cui Dio abbia concesso il dono della libertà.
In un tale rinnovato clima culturale riprese vigore una disciplina emblematica ed ermetica di questo periodo: la magia e l'alchimia, che funsero per certi aspetti da apripista alla chimica e alla scienza moderna. Cultore dell'alchimia fu individuato, nell’800, in pieno illuminismo,  Giordano Bruno, che invece fu un cultore della magia per il controllo della mente umana, senza alcun riferimento razionale e scientifico, ma solo intuitivo (e che non ebbe nulla a che fare con l’alchimia) e che introdusse il concetto di infinito in rottura con la visione geocentrica dell'universo, anche questo senza nessun supporto scientifico e razionale, ma solo intuitivo.
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Le radici del pensiero moderno nascono con la rivoluzione in ambito religioso. La modernità è una rottura rispetto allo sviluppo e all’evoluzione culturale,  religiosa e sociale precedente, prodotto della filosofia classica greca e del suo matrimonio con la filosofia cristiana medioevale. A metà 1.400, tutta l’Europa aveva un’unica religione (cristiana cattolica) e di conseguenza un’unica cultura. Un secolo dopo l’Europa è completamente diversa. Situazione tipica del passaggio di una vera e propria rivoluzione, che butta via tutto il passato ed erge un nuovo modo di essere, cioè una nuova cultura in sostituzione totale della precedente. La causa di tutto questo la si può identificare in un ristretto gruppo di protagonisti che per il ruolo che hanno svolto e le azioni conseguenti al loro pensiero hanno prodotto un vero e proprio capovolgimento in campo religioso.

1.      Martin Lutero (1483-1546), monaco agostiniano che opera in Germania,
2.      Giovanni Calvino (1509-1561), teologo francese che opera a Ginevra,
3.      Filippo Melantone (1497-1560), teologo tedesco amico di Lutero,  
4.      Huldrych Zwingli (1484-1531) teologo svizzero,

Per capire cosa hanno fatto e le relative conseguenze culturali ed esistenziali dobbiamo analizzare le condizioni e le situazioni storiche culturali in cui si è svolta la loro attività riformatrice o meglio rivoluzionaria, in campo religioso, perché non hanno riportato la religione alla purezza iniziale (sarebbe stata una Riforma), ma l’hanno sostituita con un’altra di loro invenzione (quindi una Rivoluzione). Analizziamo le cause che hanno contribuito a creare l’”abitat” (economico, culturale, sociale, religioso) adatto perché il pensiero e le azioni dei nostri protagonisti facessero da miccia per far esplodere la rivoluzione.

Una prima causa è la causa religiosa. Bisogno diffuso di una maggiore autenticità religiosa. C’è un fermento di popolo che invoca un ritorno alla povertà e purezza evangelica (movimenti pauperistici) all’interno del tessuto religioso dell’epoca e quindi nella stessa Chiesa e nelle sue istituzioni. Ma anche movimenti che richiedono una riforma moralizzatrice che recuperasse i valori del cristianesimo soffocati dalla polvere delle lotte per il potere e per il governo dei popoli, la ricerca di privilegi e la presenza di costumi degenerati e corrotti anche nello stesso clero.
Come causa religiosa c’è anche la sempre più evidente disgregazione della teologia scolastica, cioè praticamente l’abbandono di quanto costruito dalla scolastica. Non si studia più sulle “summe” originali che hanno portato la scolastica ai suoi passati splendori, come: le sentenze dell’italiano Pietro Lombardo, vescovo di Parigi, testo base di Teologia, la summa teologica di san Tommaso e la sua “contra gentiles”,  l'Itinerarium mentis in Deum” di san Bonaventura, le opere del Cardinale francese il Beato Ugo di San Vittore con il suo “De sacramentis christianae fidei”, dove sviluppò anche la chiave per la comprensione delle sacre scritture distinguendo tra il significato letterale (historia) e il senso profondo oltre le righe (allegoria), ecc.
Si studia sui sunti dei sunti di altri, cioè su scritti filtrati e rifiltrati da successivi studiosi che di fatto ne impoveriscono lo spirito e la carica della scoperta originale. La portata profonda e culturale di vero interesse per i temi della teologia va scemando, ci si perde in questioni marginali che non entusiasmano più.

Ci sono poi le cause politiche che ci mostrano che  l’idea della realtà, cioè dell’Europa fatta dai popoli e dalle nazioni si sta sciogliendo in favore dell’avvento degli stati nazionali che sono di fatto degli stati assoluti. Questi ultimi sono il risultato più evidente del protestantesimo che concentra il potere temporale e il potere spirituale nella persona del re, cosa che rafforza il suo potere temporale e mette in secondo piano la spiritualità dei sudditi che dipende ora da un Vescovo che a sua volta è suddito del re. Il capo della Chiesa nazionale  non può più ora giudicare l’operato del monarca e autorizzare i suoi sudditi a disobbedirgli in presenza di suoi comportamenti contrari alla legge divina, come invece il Capo della Chiesa Cattolica può e deve fare anche a costo del martirio.
Queste le principali cause che spiegano come questa rivolta (fatta passare come riforma) abbia attecchito, mentre le altre precedenti, avevano comunque trovato un terreno omogeneo e unito da una comune cultura che riusciva ancora a sopportare e gestire comportamenti fuorvianti.

Si è avuta per molto tempo l'abitudine di considerare i lunghi secoli del "medioevo", come secoli di ristagno intellettuale. Le eresie individuali o eresie collettive furono non soltanto manifestazioni dello straordinario fermento intellettuale e sociale che ha segnato quel periodo, ma anche proteste incessantemente rinnovate contro il regime feudale e clericale del tempo. Le eresie, senza dubbio, pretendono di collocarsi unicamente e principalmente sul piano teologico o religioso. Ma in realtà esse rientrano nell'anti-feudalesimo, nell'anti-clericalismo, dei borghesi delle città che aspiravano a maggiore libertà e indipendenza. Esistevano già allora gli stessi problemi sociali che si pongono ai nostri giorni, ma si traducevano nel linguaggio del tempo, che era il linguaggio teologico. L'emancipazione comunale, in specie, fu in stretta relazione con le eresie medioevali. I conflitti sociali fornirono in ogni caso alle eresie un ambiente favorevole per il loro sviluppo. E questo è un fatto da non perdere di vista.

I moti pauperistici e apostolici del basso Medioevo (povertà evangelica nell'ambito della chiesa romana e uguaglianza sociale nell'ambito della società)  non ebbero il successo sperato in quanto predicavano gli ideali del cristianesimo primitivo in un contesto geo-politico caratterizzato sempre più dallo sviluppo commerciale della borghesia, la quale, seppur ostile alla Chiesa, li combatteva per salvaguardare i propri privilegi e interessi.

I primi a denunciare l’allontanamento avvenuto da parte delle istituzioni religiose, da quelli che erano i valori morali e spirituali del Cristianesimo, e a ridare nuova dignità, furono dei colti e pii intellettuali come Pier Damiani e Anselmo d’Aosta. Monasteri di grande fama, come l’abbazia di Cluny, le congregazioni di Camaldoli e di Vallombrosa, acquistarono enorme peso religioso e politico. Tuttavia le esigenze fin qui emerse, rimasero vive e inappagate finché sfociarono nel XIII e XIV secolo in nuovi e vasti movimenti riformatori, che in molti casi divennero eresie vere e proprie.  Il primo caso è quello degli Umiliati, diffuso soprattutto nella Lombardia, di ispirazione evangelica e pauperistica, che trovava largo ascolto tra gli artigiani. Il secondo è quello dei Catari (o Albigesi) che vale la pena di approfondire per il peso che ebbero nella rivoluzione della fede.

L’eresia dei Catari
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Già nell’XI  e XII  secolo si formano diversi movimenti che nascono dal basso e che evidenziano il distacco che si era formato fra il popolo e la gerarchia ecclesiastica. In effetti in diversi luoghi il clero viveva distante dalla gente e spesso arroccato sulla difesa dei propri privilegi e dei propri interessi politici e materiali scatenando risentimenti e inaffidabilità dei loro insegnamenti evangelici. Di contro sorsero movimenti eretici giustificati dalla situazione, ma decisamente contrari alla verità evangeliche come i più famosi Catari. I Catari si diffusero nel basso medioevo, e in particolare tra il 1150 e il 1250, un'eresia dualista che si fondava essenzialmente sul rapporto oppositivo tra materia e spirito. Appoggiandosi ad alcuni passi del Vangelo, in particolare quelli in cui  Gesù  sottolinea l'irriducibile opposizione tra il Suo regno celeste e il regno di questo mondo, i Catari rifiutavano in toto i beni materiali e tutte le espressioni della carne. Professavano un dualismo in base al quale il re d'amore (Dio) e il re del male (Rex mundi) rivaleggiavano a pari dignità per il dominio delle anime umane. La propaganda catara ebbe una forte presa tra i ceti più umili. Essi sfruttarono il clima di delusione seguito alla riforma gregoriana, che aveva mancato di riformare la Chiesa secondo la povertà predicata da Cristo e ritenuta tipica del cristianesimo delle origini.  Il loro modo di vivere era encomiabile, fondato sull'esercizio di povertà, umiltà e carità. Era questo il fondamento della facile diffusione dell'eresia, poiché era più vicino alla povera gente di quanto non lo fossero gli alti prelati con le loro sottili discussioni teologiche.
I Catari consideravano il mondo terreno e tutte le creazioni dell’uomo, tra cui in primo luogo la Chiesa, come opere del male, contro cui bisognava assumere un atteggiamento di antitesi totale anche violenta. Giungevano persino a rifiutare il matrimonio, per non avere figli, e a giustificare l’annullamento del corpo mediante il suicidio con il digiuno fino alla morte (Endura) . Il Catarismo si diffuse nell’Italia del Nord, in Provenza e nella Linguadoca, penetrando poi anche in tutte le altre classi sociali e divenendo sempre più pericoloso, per la sua estensione e per la radicale condanna e odio per il Cattolicesimo e per le autorità costituite.
I Catari crearono una propria Chiesa con un preciso ordinamento gerarchico e pratiche religiose definite. I Catari vedevano l’anima come originata da una divinità buona, il corpo da una cattiva. L’unico modo di liberarsi da questa condanna è la lotta senza quartiere al corpo. Rapporti sessuali liberi, ma non per procreare, l’aborto come liberazione della donna dal male che cresce in lei. Artigiani, commercianti e usurai non erano tenuti all’onestà per dispregio della morale cattolica. Tutto quello che è materia di fede predicato dalla Chiesa è male e va contrastato e trasformato in un odio mortale contro i cattolici.
 I Catari avevano costituito il loro principale centro organizzativo ad Albi, in Francia Meridionale. Al movimento cataro si associarono poi parecchi nobili che utilizzarono la lotta alla Chiesa per appropriarsi dei suoi beni approfittando della devastazione e profanazione delle Chiese e Conventi (perfino delle tombe ad esse connesse) e dell’uccisione indiscriminata di prelati, preti, religiosi e religiose da parte di bande di catari.
 La Chiesa cattolica tentò ripetutamente di riconvertire i seguaci di tale dottrina con l’aiuto dei Francescani e dei Domenicani molto stimati dal popolo. Essi cercarono di recuperare alcuni dei loro valori veramente evangelici, ma cercando di correggere il loro disprezzo per il corpo e la Chiesa e tutto ciò che non era da loro considerato spirituale. È rimasto famoso l’intervento di sant’Antonio da Padova (1195-1231), francescano, chiamato a predicare il Vangelo a Rimini, città all’epoca piena di catari. Gli eretici si rifiutarono di ascoltarlo, allora lui predicò ai pesci in riva al mare (gli animali erano considerati dai catari esseri impuri). I pesci miracolosamente accorrono alle parole di Antonio, e, stretti uno all’altro, manifestavano la loro approvazione fremendo e muovendo le acque come se battessero le mani.
Vi fu infatti un lungo periodo di sopportazione di questa eresia perché, in particolare Bernardo di Chiaravalle guardava a loro con interesse: sebbene la loro predicazione non fosse accettabile da parte della Chiesa. Il modo di vivere dei meno violenti era encomiabile, fondato sull'esercizio di povertà, umiltà e carità, era più vicino alla povera gente di quanto non lo fossero gli alti prelati con le loro sottili discussioni teologiche e il loro lusso.
Fu proprio per contenere l'estendersi del fenomeno cataro che, dopo infruttuosi tentativi da parte di alcuni legati papali, San Domenico  concepì un nuovo tipo di predicazione: per combattere i Càtari bisognava usare i loro stessi principii, vale a dire, oltre alla predicazione, operare in povertà, umiltà e carità.

Cosa che fece lo stesso San Francesco (vero riformatore, con San Domenico, della Chiesa Cattolica). Questi interventi da parte di Santi come San Bernardo, San Francesco e san Domenico di Cuzman e di molti altri, non risolsero però l’eresia.
Il papa Innocenzo III  (1160-1216), bandì allora contro di essi nel 1208 una vera e propria crociata che ebbe il suo sanguinoso epilogo nel maggio 1243 con l’assedio di Montségur, deciso dopo il massacro di due inquisitori domenicani e del loro seguito. Si inserisce qui l’ennesimo episodio della “leggenda nera” del medioevo che attribuisce all’abate cistercense Arnaud Amaury, responsabile politico della crociata contro gli albigesi, la frase: “Uccideteli tutti (eretici e cattolici), Dio riconoscerà i suoi”. Nonostante le serie indagini sui documenti storici relativi non risulta sia mai stata pronunciata, ma continua ad essere invece citata da chi ancora oggi si ostina ad alimentare la “leggenda nera” dei “secoli bui”.

Per debellare l'eresia catara il papa Gregorio IX aveva poi creato nel 1231 il Tribunale dell'Inquisizione, recuperando la tradizione giuridica romana per garantire una corretta difesa dell’inquisito ed un corretta modalità di intervento dell’inquisitore. Diversi storici vedono qui la nascita del processo moderno. Chiamò a svolgere questo ruolo i Domenicani e i Francescani dei quali aveva grande stima. A Gregorio IX infatti si devono anche i processi di canonizzazione di san Francesco (1228), di san Antonio da Padova (1232), di  san Domenico di Cuzman (1234) e di Elisabetta d'Ungheria (1235). (Vedi di Rino Cammilleri “l’Inquisizione” – i Quaderni del Timone).
La storia di questa eresia come di altre di questo periodo ovviamente è molto più complessa per l’intreccio anche di lotte politiche fra i vari poteri e interessi, sia spirituali che temporali della Chiesa, della borghesia, come dei principi e dei regnanti che approfittavano dell’assalto ai beni della Chiesa per impossessarsene e aumentare il loro potere. In questo periodo comunque tutto è condizionato dalla fede e dalla religione. Le eresie qui nascono da un vero bisogno di purificazione e di recupero dei valori originali, non sono contro la religione o il papa, ma contro inquinamenti e sovrastrutture della religione.
San Francesco d’Assisi
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San Francesco d’Assisi appare in questa situazione con la missione di ricucire lo strappo fra popolo e Chiesa gerarchica e combattere le eresie derivate da questo rapporto sbagliato che si era creato e che metteva in crisi i cristiani e la loro fede. Francesco con gli Albigesi condivise la povertà apostolica, la predicazione itinerante, la condotta irreprensibile, il ruolo attivo dei laici. Francesco con l’esempio innanzi tutto e con la predicazione recupera la povertà evangelica riconciliandola con la Chiesa e la sua Rivelazione divina senza cadere nella demonizzazione del corpo e della materia che è pur sempre creatura di Dio.
 Francesco propone una gioiosa vita spirituale, una totale sottomissione alla Chiesa e il rispetto incondizionato alla dottrina cattolica e questo di fatto è una vera e propria riforma interna della Chiesa che riacquista la sua credibilità e ritorna ad essere guida e riferimento. Che tipo di spiritualità ne esce con San Francesco? Povertà francescana. Povertà evangelica. Spoliazione francescana. Cioè la totale subordinazione di tutte le creature all’Assoluto che è Dio. Tutte le creature, in quanto creature sono Umili e in quanto umili sono bisognose di Dio. La creatura è povera perché ha bisogno della salvezza di Dio. Ne deriva quindi il concetto di fraternità. Se ci sentiamo creature di un unico Dio ci sentiamo anche fratelli. In questa fraternità francescana si riconosce che in ogni umile creatura si rispecchia Dio.  Ogni creatura porta con sé un'orma, un vestigium del Dio che l'ha creata. Con san Francesco, non si sale dimostrativamente verso Dio, perché Dio sta li, già nelle sue creature, nelle sue creature più umili. Sono queste l’immagine di Dio. Quindi il cuore della questione non è più nell’intelletto, ma nella volontà.
LA RIVOLUZIONE DI LUTERO
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Questione morale o questione dottrinale? Su questo argomento i testi di storia della filosofia e della religione che vanno per la maggiore e che i nostri figli studiano a scuola e nelle università, ci  presentano, per esempio, la riforma protestante come una logica conseguenza del degrado del Clero, estremamente ignorante e impreparato, nonché corrotto e con comportamenti amorali, per non parlare poi delle più alte cariche ecclesiastiche, della loro eccessiva invadenza nella politica e nella gestione del potere temporale, nonché da condotte morali deprecabili, dal lusso, da un intellettualismo che teneva lontano il popolo, ecc.
Troviamo invece degli scritti di Martin Lutero, ancora monaco agostiniano, che  ci parlano del suo prolungato soggiorno a Roma, due anni e mezzo prima della sua rivoluzione religiosa, nei quali descrive ai suoi amici di quanto è rimasto edificato dalla Roma dei papi, da come vive il Clero, da come è la corte pontificia, dalla bellezza delle sue liturgie, dall’organizzazione delle sue opere caritative in favore dei poveri e perfino dei “matti” (nascono in questo periodo i primi manicomi) oltre ai ricoveri per i malati (i futuri ospedali). Questo ci fa capire che la rivolta di Lutero non è una questione morale, ma una vera e propria questione dottrinale, sui contenuti della fede.
C’è qui un passaggio fondamentale che caratterizza da subito il pensiero moderno, cioè il passaggio da una idea comunitaria, da una idea di popolo della religione ad una idea prettamente individualistica e di conseguenza emotiva della religione. Alla fine del medioevo e all’inizio dell’età moderna l’uomo si scopre preoccupato e nello stesso tempo desideroso di guardare nell’abisso della sua interiorità e ne rimane terrorizzato. Rimane terrorizzato dal male che legge dentro di se. Un male che non trova più risposte nella teologia del momento. Le risposte della religione non lo soddisfano più. Ha bisogno di sentirsi ulteriormente rassicurato, rassicurato dal perdono di Dio e quindi sentirsi comunque salvo nonostante il riconoscersi peccatore. Ha un gran bisogno di sentirsi rassicurato su questo.
Ha bisogno di una certezza che però non è più oggettiva, extramentale, cioè che c’è comunque al di fuori di noi stessi anche quando non esistiamo, quella, per intenderci, data dalla dottrina della Chiesa, dal suo catechismo, dalla fede professata. Il veicolo di questa salvezza e certezza era data dal sentirsi in amicizia con Dio e di essere da Lui salvato perché appartenente ad un popolo, al Suo popolo, cosa che si sperimenta attraverso la Liturgia, atto comunitario per eccellenza.
L’uomo alle soglie del modernismo questa certezza, questa salvezza, questo essere popolo di Dio non lo sente più, non lo soddisfa più. Vuole essere garantito di questa salvezza in modo più soggettivo. Si deve cioè sentire, emotivamente sentire, che ha la salvezza assicurata. Una fede cioè che non viene da una appartenenza alla Chiesa, cioè al popolo di Dio, con una fede che condivide con altri, ma da qualcosa che sente dentro di se, tutta sua, individuale, interiore, soggettiva e quindi emotiva. Il sentimento della propria salvezza. Non gli basta più appartenere alla Chiesa, non gli basta più ricevere la Grazia attraverso i sacramenti, non gli basta più sentirsi appartenere al popolo dei salvati.
La domanda ora è questa: “Come faccio ad essere sicuro di essere salvato?”, e la risposta che lo consola è: “Sono salvo perché Dio non mi considera peccatore” è come dire che Dio fa finta che l’uomo non sia un peccatore.
Questa convinzione mi dà certezza, perché la coscienza del mio peccato è sempre in me e mi condanna, tanto vale che me la tenga così com’è, anzi faccio di questa mia sensazione (emotiva) il mio punto di forza per sentirmi contemporaneamente peccatore e salvato. Salvato perché peccatore. Proprio perché mi sento peccatore sono autorizzato a sentirmi anche salvato”.
L’impatto di questa posizione, che è certamente posizione religiosa e teologica, ma che è anche antropologica perché cambia la visione dell’uomo, diventa anche posizione sociologica che cambia la visione della Società. È finito un mondo e ne comincia un altro.
Lutero sintetizza il suo pensiero in cinque punti o rifiuti, in contrapposizione (sostituzione) al pensiero ed alla prassi del cattolicesimo romano, quello consolidato ormai da 1.500 anni di studi e di ragionamenti severi e puntuali. Le sole cose che valgono sono:
    • Sola Scriptura (la sola Bibbia);
    • Sola Fide (la sola Fede);
    • Sola Gratia (la sola Grazia);
    • Solus Christus (solo Cristo);
    • Soli Deo Gloria (solo la gloria di Dio).

Queste espressioni possono essere raggruppate in questo modo:
"Confidiamo nella sola Scrittura, affermiamo che la giustificazione è per sola grazia, attraverso la sola fede, a causa di Cristo soltanto, e tutto alla sola gloria di Dio". Quindi ci si salva con:
1.           Sola Scriptura (con la sola Bibbia);

Rifiuto della tradizione, cioè “sola Scriptura”, che vuol dire che la teologia non è più l’incontro fra filosofia (le grandi conquiste della ragione e del pensiero) e la rivelazione divina. Negazione quindi della grande sintesi medioevale fra il pensiero dei greci e il Vangelo che crearono la grande teologia medioevale. Il che vuol dire che la ragione non ci interessa più, conta solo la fede. La ragione, cioè la filosofia, ha d’ora in poi un percorso suo proprio, parallelo alla fede, ma non più di incontro e di arricchimento reciproco.
Diventa quindi possibile per il credente ammettere una cosa dal punto di vista della ragione e contemporaneamente ammettere il suo contrario dal punto di vista della fede. Come credente credo una cosa, come pensante ne credo un’altra (principio della doppia verità che sfocerà nel relativismo).

2.    Sola Fide (con la sola Fede);
Rifiuto della Chiesa. Non serve più la sua mediazione perché l’appartenenza ad un popolo non ha più senso, ora la religione è diventata un fatto puramente personale, individuale, intimistico, emotivo. Non serve più la comunità dei credenti. Ci si trova a pregare e a cantare insieme agli altri (essenza del culto luterano), ma non come popolo di credenti, ma come singoli individui in cerca di un momento di condivisione emotiva.
Sola fide indica la dottrina che la giustificazione (interpretata nella teologia protestante come: "essere dichiarati giusti da Dio"), la si riceve per fede, sulla base della fiducia nelle promesse dell'Evangelo. "la tua fede ti ha salvato" (Luca 18:42).

Questo esclude che la giustificazione ed i benefici della salvezza possa essere ricevuti attraverso le opere o i meriti. Essi sono solo frutto dei meriti di Cristo. Il peccato, infatti contamina l'uomo al punto che qualunque sua opera buona sarebbe del tutto insufficiente ai fini della salvezza. Le buone opere sono, semmai, il risultato della salvezza, allorché lo Spirito Santo gradualmente ci renda conformi a Cristo. Non quindi, le nostre opere o cerimonie religiose e devozionali sono funzionali alla salvezza, ma solo la fede in Cristo, la nostra adesione incondizionata a Lui e la rinuncia a qualsiasi nostra pretesa o merito.

3.     Sola gratia (con la sola grazia);
Rifiuto di tutti gli strumenti utilizzati per entrare in comunione con Dio e che sono stati parte fondamentale della religiosità antica e medioevale. Lutero, che ha come suo uditorio naturale la classe emergente della borghesia, appoggia quel disprezzo per le devozioni popolari e quella ricerca di una religione più raffinata e intellettuale che caratterizza questo ceto che sta venendo alla ribalta. Le manifestazioni popolari vengono disprezzate (Santa Messa, feste patronali, devozioni alla Madonna e ai Santi, processioni, ricorrenze religiose di ogni tipo) perché richiamano manifestazioni di devozione di popolo, di gruppo, di comunità, di Chiesa.
I Sacramenti, per Lutero, non possono dare nessuna Grazia, perchè Sola gratia indica la dottrina per la quale la salvezza dalle fatali conseguenze del peccato è possibile solo mediante un sovrano atto di grazia di Dio, non qualcosa che il peccatore possa meritarsi o chiedere attraverso la preghiera e i sacramenti, quindi con una sua partecipazione alla propria salvezza. La salvezza, quindi, è un dono immeritato. L'unico "attore" nell'opera della salvezza è Dio. Essa non è in alcun modo il risultato di cooperazione fra Dio e l'essere umano che ne è coinvolto (i Sacramenti appunto). "Infatti è per grazia che siete stati salvati, mediante la fede; e ciò non viene da voi; è il dono di Dio"(Efesini 2:8).
Questo è un fondamentale punto di rottura fra la dimensione Naturale e la dimensione  Soprannaturale. Per Lutero il peccato ha corrotto la natura, la natura umana è il cumulo dei peccati dell’uomo, dei suoi difetti delle sue malvagità. Quello che conta davvero è l’uomo soprannaturale, generato dalla Grazia, e gradito a Dio. Questo concetto influenzerà tutto il modernismo portandolo, o a rifiutare in toto il soprannaturale e quindi privilegiare solo il naturale e la materia (filosofia che prevarrà), oppure a negare e disprezzare il naturale e la materia considerando solo l’uomo spirituale, puro e angelico e di fatto completamente fuori dalla realtà e con risvolti spesso violenti contro chi non accetta questa visione (I catari avevano già percorso questa strada che ora però trova il terreno più adatto).

4.   Solus Christus (soltanto Cristo);

Rifiuto di qualunque mediazione umana fra Dio e l’uomo. Solus Christus indica la dottrina che Gesù Cristo è la piena, completa e definitiva rivelazione di Dio. Egli è l'unico Mediatore possibile fra Dio gli uomini, e la salvezza dalle conseguenze del peccato è possibile solo attraverso di Lui. Questa dottrina respinge l'idea che vi possano essere altri personaggi (vivi o morti) oltre a Gesù Cristo, attraverso i quali si possa ottenere salvezza davanti a Dio: non esistono, cioè altre vie che portino a Dio, come Gesù stesso ha affermato: "Io sono la via, la verità e la vita; nessuno viene al Padre se non per mezzo di me" (Giovanni 14:6) e come conferma il Nuovo Testamento"In nessun altro è la salvezza; perché non vi è sotto il cielo nessun altro nome che sia stato dato agli uomini, per mezzo del quale noi dobbiamo essere salvati" (Atti 4:12). “Ad Jesum Per Mariam” è cancellato, così come tutte le preghiere di intercessione dei Santi e le relative manifestazioni popolari in onore dei patroni, ecc.

C’è solo Cristo, in un rapporto esclusivo, immediato, verticale e diretto con Lui. Viene a rompersi così quell’armonia e quella sintonia che esisteva fra le due dimensioni fondamentali della persona: la sua individualità e la sua appartenenza ad una comunità. La dimensione individuale e la dimensione sociale. Tutta la modernità sarà segnata dal conflitto fra l’individuo e la società. Fino ad arrivare alle grandi aberranti, sanguinose, terrificanti ideologie del XX  secolo che, o privilegiano l’individualismo assoluto (egoismo, razzismo e nazionalismo), o sacrificano l’individuo per un collettivismo dove  l’uomo scompare. Nel doppio senso che di lui non si tiene conto che come massa, oppure che viene fisicamente eliminato o deportato se in disaccordo con il potere.

5.    Soli Deo Gloria (solo per la gloria di Dio).

Rifiuto di venerare o elevare alla gloria degli altari altri che Dio
Soli Deo gloria indica la dottrina per la quale si afferma che solo Dio è degno di ogni gloria ed onore. Nessuno può vantarsi d'alcunché o accampare meriti suoi propri, come se un qualsiasi bene provenisse da lui. "Tu sei degno, o Signore e Dio nostro, di ricevere la gloria, l'onore e la potenza: perché tu hai creato tutte le cose, e per tua volontà furono create ed esistono (Apocalisse 4:11).
Il Soli Deo gloria si contrappone così all'esaltazione di una qualsiasi creatura o prodotto umano, quale che sia la sua elevata condizione, che deve essere così considerata idolatria. Non ci sono quindi autorità religiose o civili, ideologie o realizzazioni umane che possano vantare alcunché di per sé stesse, perché tutto ciò che hanno e sono deriva da Dio, al quale solo va rivolto il culto, la lode, la preghiera.

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Lutero regala alla modernità il “primato del soggetto”. Arriviamo alla radicalizzazione di questo concetto quando con la rivoluzione francese l’uomo si chiamerà “il cittadino”. Ma non esiste il cittadino, l’uomo vive in una famiglia, in un paese, in un quartiere, in una comunità. Non esiste il cittadino perché non siamo monadi erranti. Invece tutta la modernità è affermazione di questo “primato del soggetto” che non vuol dire “primato della persona” che è una conquista del cristianesimo, ma primato della individualità dell’essere umano. Che è di fatto il primato della sua solitudine, che è il primo frutto di Lutero regalato alla modernità: la solitudine.

Siamo ancora oggi influenzati da questo rifiuto di Lutero. Viviamo ancora oggi in un contesto nel quale più che chiederci cosa è vero o falso, giusto o sbagliato, cosa è buono e cosa è cattivo, cosa è bello e cosa è brutto, per poter scegliere il vero, il giusto, il buono, il bello, ci chiediamo se una cosa è nuova o vecchia, cioè cosa è di moda, dando per scontato che il nuovo è automaticamente più vero, più giusto, più buono, più bello del vecchio. Il nuovo è diventato automaticamente sinonimo di migliore. Questo modo di giudicare le cose e gli eventi ha qui le sue radici e sembrano ben piantate: negazione della tradizione, negazione della storia, negazione dell’esperienza di chi ci ha preceduto, negazione del passato e come si dice “buttiamo via il bambino con l’acqua sporca”. Saggezza e sapienza passata non seve più, acqua passata (sporca).

Libertà di fare ciò che si vuole, diritto di fare ciò che si vuole, dovere degli altri di lasciar fare ciò che uno vuole, unico limite la libertà degli altri. “La mia libertà finisce dove comincia quella dell’altro … purché non sia avverso al mio modo di pensare e di concepire la vita, perché la vita è mia e me la gestisco io, non voglio intrusioni”.
Quindi la libertà concepita non come l’apertura di ogni essere umano che va incontro e si apre verso gli altri esseri umani, ma come perimetro e confine dentro il quale nessuno ha il diritto di interferire. Di fatto pongo delle mura a difesa della mia individualità. Mura difensive che sono per evitare il contatto con gli altri e non certo favorire il contatto costruttivo. Altro frutto che porta all’isolamento e alla solitudine dell’uomo moderno.

Nasce con Lutero una quasi naturale diffidenza e sospetto per le istituzioni. Le istituzioni debbono meritarsi prima la mia fiducia, altrimenti non le seguo o le combatto. Ma la cosa ha anche questo risvolto, quando faccio io parte dell’istituzione vedo a mia volta con sospetto e diffidenza chi ha bisogno dell’istituzione e non riuscirò ad essere benevolo e comprensivo più di tanto con chi ha diritto ad essere servito dall’istituzione. Con il modernismo ha origine questo perenne conflitto fra individuo e istituzioni, create per lui, ma più spesso occasione di dominio invece che di servizio. Questo vale ovviamente nel rapporto individuo Chiesa, individuo Stato, individuo Società.
La ribellione e conseguente  rivoluzione di Lutero fu anche occasione da parte delle numerose  categorie sociali oppresse dai feudatari, dai nobili e dai governanti, come i servi della gleba, i contadini e i lavoratori braccianti, che non riuscivano a sfamare le loro famiglie, di avere il coraggio di ribellarsi, appunto contro le istituzioni, i Signori, gli ecclesiastici, i ricchi (aristocratici e borghesi), cioè i detentori del potere e i nemici della libertà, come di fatto insegnava Lutero.
La cosa indispettì il grande riformatore Lutero, che in Germania, paese in cui il divario fra ricchi e poveri era molto più alto che altrove, aveva sempre appoggiato la borghesia e i governanti  nella lotta contro il potere e l’intrusione della Chiesa Cattolica e del papa. Lutero scatenò allora una violenta reazione di cui abbiamo testimonianza in questo suo proclama e le cui vittime erano prevalentemente contadini come lo erano i suoi genitori:
“Su, su, principi, all'armi ! Venuta è l'ora meravigliosa che un principe possa con le armi meritarsi il paradiso più facilmente che con la preghiera! Sterminate questi "cani rabbiosi", questi volgari ladroni e parricidi!”  E giustificava qualunque metodo di repressione.

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Martin Lutero nasce a Eisleben, in Germania, il 10 novembre 1483 (primo di  sette figli). Di origini contadine, studiò inizialmente a Magdeburgo presso i Fratelli della vita comune, dove conobbe le tematiche della devotio moderna. Nel 1501 studia all'Università di Erfurt, dedicandosi alle arti liberali, e nel 1505 consegue il titolo di magister artium. Spinto da una forte vocazione a farsi monaco, entra nel convento agostiniano di Erfurt, dove nel 1506 pronuncia i voti e nel 1507 viene ordinato sacerdote. Studia soprattutto le Sacre Scritture, San Paolo, Sant'Agostino, le Sentenze di Pietro Lombardo, teologi agostiniani come Gregorio da Rimini e Agostino Trionfo, e altri autori di orientamento occamista. Nel 1512, trasferito al convento di Wittenberg, vi consegue il dottorato in teologia, e, l'anno dopo, tiene corsi di esegesi biblica all'università. Nel 1517 rende pubbliche a Wittenberg 95 tesi contro la vendita delle indulgenze, che ebbero vasta diffusione e suscitarono reazioni contrastanti. Nel 1518 viene prima chiamato a Roma a discolparsi e poi dichiarato eretico. Grazie alla mediazione del principe Federico di Sassonia, ebbe la facoltà di presentarsi di fronte al legato pontificio, cardinale Caetano, durante la dieta di Augusta. Lì rifiutò di ritrattare le sue tesi, arrivando, l'anno dopo, a negare il primato del papa e l'infallibilità dei concili e dichiarando le Scritture unica norma della fede. Nel 1520 il papa emanò la bolla Exurge domine, con cui condannava 40 proposizioni di Lutero, il quale rispose con un opuscolo durissimo, nel quale definiva il papa Anticristo. Nello stesso anno, Lutero compose tre fondamentali opere: La cattività babilonese della Chiesa, in cui riduce i sacramenti a tre soli, il battesimo, la penitenza e l'eucarestia; Alla nobiltà cristiana della nazione tedesca, che dette inizio alla ribellione della Germania contro la Chiesa di Roma; Sulla libertà del cristiano nella quale scrive: «Per la sola fede senza le opere, l’anima è resa giusta, santa, vera, tranquilla, libera e ricolma di ogni bene e resa figlia di Dio» . Nel 1521 venne scomunicato e bandito dall'impero. Iniziò allora la traduzione tedesca della Bibbia, che la rese accessibile a vaste cerchie popolari. Si impegnò poi in una polemica con Erasmo, al cui Sul libero arbitrio replicò nel 1525 con Il servo arbitrio. La rapida diffusione del suo messaggio gli impose, negli anni successivi, di occuparsi di questioni organizzative, avvalendosi anche di collaboratori come Filippo Melantone. Muore a Eisleben il 18 febbraio 1546. (vedi anche: C. Crescimanno e N. Tarquini “Lutero il riformatore eretico” I Quaderni del Timone)

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Pubblicato da: Invito alla lettura 23 dicembre 2012 - Newsletter a cura di Mariavera Speciale.
Dietro la rivoluzione di Lutero più che un sincero spirito di purificazione si scorge un’inspiegabile insofferenza verso Roma. Finita la guerra e vinti i totalitarismi, l’Europa è ancora in pericolo, forse più di prima: il vero nemico non è stato sconfitto.

Nell’immaginario culturale del nostro Paese il nome di Lutero è associato al vento di novità che attraversò l’Europa all’inizio del Cinquecento e al rimpianto di non aver potuto conoscere da vicino questa stagione di rinnovamento per via di un cattolicesimo oscurantista e impermeabile al cambiamento, responsabile, secondo molti, di aver lasciato l’Italia in un torpore che la affligge ancora adesso.
Ma fu davvero così? Davvero la Riforma luterana offrì una spinta positiva allo sviluppo sociale ed economico mentre la cultura della Controriforma regalò all’Italia arretratezza, dipendenza e incapacità di iniziativa?
Angela Pellicciari rifiuta questa teoria e a partire dai testi indaga in profondità la figura del monaco tedesco e le ragioni del suo pensiero, per smascherarne limiti e contraddizioni.
Dietro la rivoluzione di Lutero più che un sincero spirito di purificazione si scorge un’inspiegabile insofferenza verso Roma e mal celate ragioni politiche. Lutero parla unicamente ai principi tedeschi, dimenticando l’universalità del messaggio cristiano, e invita alla battaglia contro un nemico soprannaturale, il papato istituito da Satana. Il suo linguaggio carico d’odio ha la forza dirompente della propaganda attraverso la insistente demonizzazione dell’avversario, affermazioni apodittiche che non necessitano spiegazioni. Lutero dimostra di conoscere a fondo tutti gli artifici della retorica e persino il potere di suggestione dell’immagine: il disprezzo per Roma è fomentato anche attraverso l’immediatezza di caricature oscene e dissacranti, realizzate a Wittemberg da Lucas Cranach il Vecchio, che ritraggono il pontefice come capra, asino, drago infernale o l’anticristo.
Lutero smonta uno dopo l’altro tutti i capisaldi del cristianesimo, dai Sette Sacramenti al libero arbitrio, passando per la devozione alla Madre di Dio e la salvezza universale, generando confusione e aprendo la strada, secondo l’autrice, “alle contraddizioni della modernità che, sganciata la libertà dalla verità esige e pretende solo il dettato della coscienza individuale”. I suoi scritti reclamano libertà di interpretazione, libertà d’azione, ma quale libertà può esserci nella prospettiva di una terribile predestinazione? Spogliato del libero arbitrio, diviso tra un corpo e un’anima in perenne lotta tra loro, l’uomo nella visione di Lutero non è che un fantoccio nelle mani di un Dio capriccioso, che determina salvezza e dannazione in nome di un imperscrutabile disegno, e del demonio che con Lui si contende la sovranità sui comportamenti umani. Nessuna responsabilità; quindi, nessun impegno possibile a lungo termine, ma anche nessuna speranza. Lutero imbroglia le carte e si perde in contraddizioni e paradossi, liquidando con facilità quanto nelle scritture contraddice le sue teorie e proponendo in cambio come assunti indiscutibili le sue personali interpretazioni.

Con questo brillante saggio Angela Pellicciari delinea le coordinate essenziali per capire la Riforma e il suo promotore, stimolando una riflessione intellettualmente onesta che non può non tener conto anche di considerazioni scomode.
Dal capitolo: “Niente Gerarchie Religiose: Una Visione Democratica?”: “L’uomo non è responsabile delle proprie azioni, proprio come recita il titolo “De servo arbitrio”. Quindi non c’è per lui né ci può essere alcuna ricompensa o alcuna condanna. C’è semplicemente l’imperscrutabile volontà di Dio che dall’eternità destina qualcuno all’inferno, qualcun altro al paradiso. Doppia predestinazione: Dio non predestina tutti alla salvezza, come afferma la dottrina cattolica, Dio salva o condanna gli uomini senza che questi abbiano alcuna possibilità di sfuggire al proprio destino. […] Tutti uguali: il grido rivoluzionario che ha riempito di cadaveri le città e le campagne negli ultimi secoli, anche nel caso del monaco agostiniano ottiene il risultato opposto a quello auspicato. Tutti uguali? In Lutero la diseguaglianza fra gli uomini è così radicale da diventare metafisica: alcuni sono creati per la salvezza, altri per la dannazione. Così, mentre nella Chiesa cattolica l’autorità consegnata a Pietro non cancella affatto la reale uguaglianza di tutti gli uomini di fronte a Dio e fra di loro, la visione protestante, che nega l’autorità spirituale (il papa è Servus servorum Dei), finisce per teorizzare un abominio”. (tratto da Angela Pellicciari – Martin Lutero – ed. Cantagalli).

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L’ORIGINE DELLA RIFORMA
Il 31 ottobre 1517 un frate agostiniano tedesco di nome Martin Lutero attaccò alla porta della Cattedrale di Wittenberg un lungo foglio dove erano elencati 95 tesi (argomenti) contro la Chiesa cattolica e contro la vendita di indulgenze.
Durante il Medioevo era diventata pratica comune la concessione del  perdono per i peccati commessi con il pentimento e la preghiera, ma anche con il versamento di un obolo. Cosa che di fatto aveva messo in secondo piano gli aspetti spirituali del Sacramento della Confessione.

PERCHÉ LA RIFORMA AVVENNE NEL CINQUECENTO?
Nel corso del XIV secolo alcuni preti, come ad esempio John Wycliffe in Inghilterra, avevano chiesto una riforma della Chiesa cattolica. Wycliffe aveva anche tradotto la Bibbia dal latino in inglese. La traduzione della Bibbia nelle diverse lingue nazionali fu un fatto molto importante per la Riforma, perché permise alle persone di leggere e comprendere da sole il testo sacro. Nel XV secolo anche Jan Hus, un prete della Boemia (nell'attuale Repubblica Ceca), iniziò ad affermare la necessità di una riforma, ma i suoi nemici lo condannarono al rogo con l’accusa di essere eretico. Fu solo nel XVI secolo che la Riforma iniziò a diffondersi.
Due nuovi fattori diedero grande impulso alla diffusione della Riforma: l’umanesimo e l’invenzione della stampa. L’invenzione della stampa (1450), permise la produzione e la diffusione dei libri in centinaia di copie. La stampa aiutò le idee dei protestanti a diffondersi più rapidamente.

DOVE NACQUE LA RIFORMA?
Le prime fasi della Riforma avvennero in Germania e in Svizzera. A quel tempo la Germania si chiamava Sacro Romano Impero ed era composta da molti piccoli stati, ciascuno dei quali con un proprio principe. Da lì si diffuse in Francia, nei Paesi Bassi, in Inghilterra e in Scandinavia.

LA PROTESTA DI LUTERO
Martin Lutero diede inizio alla Riforma nel 1517. Si ribellò alla Chiesa cattolica e stabilì il proprio ideale di una cristianità protestante. Lutero non credeva che si potesse ottenere il perdono per i propri peccati da un prete, o grazie da un’indulgenza. Egli pensava invece che ciascuno dovesse stabilire un proprio patto con Dio. Il modo per farlo era studiare la Bibbia e vivere secondo la fede (giustificazione per fede), e che il fedele non avesse bisogno del papa, dei sacerdoti e della Chiesa, perché questi non avevano alcuna origine divina.
Nel 1520 papa Leone X concesse 20 giorni a Lutero per ritirare le sue idee. Lutero fu allora convocato dall’imperatore Carlo V per rinnegare pubblicamente le proprie tesi. Lutero rifiutò e fu condannato per eresia.
Riuscì a salvarsi grazie al Principe di Sassonia Federico il Saggio, che organizzò un finto rapimento per farlo sparire e lo nascose nel suo castello a Warburg. Insieme al Principe di Sassonia, altri stati tedeschi si convertirono alla nuova religione protestante, sottraendosi così all’autorità del papa e dell’imperatore che avevano a lungo sopportato.
Dopo la morte di Lutero, tra gli stati cattolici e quelli protestanti dell’impero germanico scoppiò la guerra. Nel 1547 i protestanti furono sconfitti dall’esercito di Carlo V nella battaglia di Mühlberg, dopo di che furono perseguitati. Nel 1555, con la pace di Augusta, Carlo V riconobbe e accettò la divisione che era stata causata dalla Riforma, e permise ai principi e ai loro popoli di abbracciare la fede luterana. Grazie alla pace di Augusta, il Sacro Romano Impero conobbe cinquant’anni di pace.

CALVINO IN SVIZZERA
Giovanni Calvino era un sacerdote francese. Aveva aderito alla Riforma protestante e si era rifugiato a Ginevra per sfuggire alla persecuzione da parte dei cattolici francesi. Egli stabilì nella città una repubblica protestante, governata da un consiglio cittadino. Calvino sosteneva il principio della  predestinazioneDio ha già stabilito chi sono i predestinati al Paradiso, e l’uomo non può fare nulla per
influenzare la sua decisione. Calvino riteneva, inoltre, che i predestinati riflettessero la grazia divina attraverso le virtù della parsimonia, dell’operosità e del duro lavoro.

LA RIFORMA SI DIFFONDE
la Riforma prese piede rapidamente, dalla Germania alla Scandinavia e nel 1536 in Svezia, DanimarcaNorvegia e Islanda si erano già convertite alla religione protestante nella sua versione luterana. In Francia, il re Francesco I e suo figlio Enrico II perseguitarono duramente i protestanti francesi calvinisti (Gli ugonotti). Questa guerra fu dolorosa e segnata da molti episodi crudeli come il massacro della notte di San Bartolomeo, del 24 agosto 1572, nel quale migliaia di ugonotti in tutta la Francia furono uccisi a sangue freddo.
Nei Paesi Bassi (che erano all’epoca un dominio spagnolo) il nord del paese si convertì al protestantesimo calvinista, mentre il sud (l'attuale Belgio) rimase cattolico. Questo scatenò una guerra civile che durò dal 1568 al 1648 e divise l’Olanda dal Belgio.
La notte di San Bartolomeo è il nome con il quale è passata alla storia la strage compiuta nella notte tra il 23 ed il 24 agosto 1572 dalla fazione cattolica contro gli Ugonotti (i Calvinisti francesi) a Parigi, in un clima di rivincita indotto dalla vittoria della battaglia di Lepanto che ha liberato l’oriente dalla secolare minaccia dei mussulmani e dal crescente prestigio della Spagna. Il massacro ebbe luogo a partire dall'ordine del re Carlo IX  di uccidere il capo militare degli ugonotti l'ammiraglio Gaspard de Coligny. Due giorni dopo l'attentato, peraltro non riuscito, gli organizzatori persero il controllo della situazione e, in un eccidio indiscriminato durato diverse settimane vennero uccise migliaia di persone. La tradizione storiografica ha ritenuto che la strage sia stata organizzata da Caterina de' Medici e Carlo IX per evitare che una controffensiva dei protestanti francesi colpisse la famiglia reale dopo il tentato omicidio  dell'ammiraglio ugonotto. Ad ogni modo, la strage, colpendo gli ugonotti con l'uccisione di molti nobili influenti e numerosi soldati, segnò una svolta nelle guerre di religione francesi, utilizzata anche per diffondere fra i protestanti l'idea che «il cattolicesimo [fosse] una religione sanguinaria e traditrice»

LA RIFORMA IN INGHILTERRA
La Riforma inglese prese piede quando il re Enrico VIII decise di divorziare dalla prima moglie, Caterina d’Aragona, per sposare Anna Bolena senza il permesso del papa. Il papa scomunicò Enrico, il quale rispose separandosi dalla Chiesa cattolica. L’Atto di Supremazia del 1534 abolì l’autorità del papa in Inghilterra e nominò lo stesso Enrico a capo della nuova Chiesa d’Inghilterra. Nel 1536 Enrico attaccò i monasteri cattolici, distruggendone gli edifici e confiscandone le terre.
Assertion of Liberty of Conscience by the Independents of the Westminster Assembly of Divines, 1644.Durante la rivoluzione inglese i calvinisti puritani produssero la celeberrima Confessione di fede di Westminster, pilastro costituzionale del presbiterianesimo nelle terre anglofone. 
Nel 1533, tuttavia, la regina Maria I (detta la Sanguinaria) reintrodusse la religione cattolica e perseguitò i protestanti. La sua sorellastra, la regina Elisabetta I, completò invece la Riforma inglese, fondando la Chiesa protestante d’Inghilterra (o Chiesa anglicana) così com’è ancora oggi.

LA CHIESA CATTOLICA E LA CONTRORIFORMA
Mentre la Riforma protestante si diffondeva in tutta Europa, e tra cattolici e protestanti scoppiavano guerre sanguinose, la Chiesa cattolica capì che era giunto il momento di dare una risposta al desiderio di rinnovamento espresso sia da una parte del clero che dai fedeli. Era inoltre necessario cercare di arginare il diffondersi del protestantesimo e salvaguardare l’unità dei cristiani, o almeno quel che ne rimaneva dopo la predicazione di Lutero e di Calvino.
Questo movimento prese il nome di Controriforma, cioè “Riforma contro la Riforma protestante”. Sarebbe più corretto dire una vera riforma della Chiesa cattolica in risposta alla rivoluzione protestante che ha creato una nuova e diversa Chiesa, non più universale (cattolica) ma frammentata in chiese locali guidate da Re, principi e governanti ribelli al papa e al suo Magistero.
Il primo papa a impegnarsi nella Riforma fu Paolo III, eletto nel 1534. Egli decise la formazione di nuovi ordini religiosi, ad esempio  i gesuiti (o Compagnia di Gesù, ordine monastico fondato dallo spagnolo Ignazio da Loyola), per rendere più efficace la predicazione e l’insegnamento della dottrina cattolica. Nel 1542 istituì l’ Inquisizione romana, un tribunale che doveva combattere il diffondersi del protestantesimo, cioè dell’eresia di Lutero, cercando di aiutare gli inquisiti a capire quali erano i veri fondamenti della fede cattolica e perché il protestantesimo era una eresia. Infine, nel 1545 convocò il Concilio di Trento, un’assemblea di tutti i vescovi della Chiesa che durò fino al 1564 e che prese importanti decisioni sia sui punti fondamentali della fede sia sull’organizzazione della stessa Chiesa cattolica.

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Ci sono voluti 1.500 anni di cristianesimo per creare un’armonia tra Ragione e Fede, una armonia fra dimensione Naturale e dimensione Soprannaturale, un armonia fra la dimensione Individuale e la dimensione Sociale. Una modalità insieme razionale e spirituale per discernere, cioè per distinguere, il bene dal male. Ora in 50 anni va tutto in pezzi. Tutta la modernità sarà un esteso campo in cui si raccoglieranno tutti i frutti avvelenati di questa disarmonia.

La rivoluzione nella Scienza

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Partiamo dal concetto greco di scienza, l’Epistème, un sapere incontrovertibile, che nessuna forza poteva abbattere. Aristotele aveva classificato le scienze in Teoretiche, che si studiano per il puro desiderio di sapere e scienze Pratiche che appunto si studiano per fini pratici, ed infine scienze Poietiche che riguardano la produzione dell’uomo, le arti per esempio.
La Fisica era collocata da Aristotele fra le scienze teoretiche, cioè nell’ambito del sapere disinteressato. Con Bacone invece, scoppia la rivoluzione, la Fisica si studia per un fine pratico. Si studia la realtà fisica per coglierne i segreti e saperla dominare. Lo slogan sarà “Sapere è Potere”. La natura sarà studiata per sfruttarla.
Già la Magia era per il Mago il penetrare la natura per coglierne i segreti e usarli per dominare gli altri. il Mago usava strumenti magici appunto, ma poi qualcuno di loro scoprì e inventò strumenti più adatti a carpire i veri segreti della natura e ad utilizzarli per dominarla e per risolvere problemi pratici.
Nacquero quindi studi più profondi e rigorosi a beneficio non del singolo mago, ma dell’uomo. Aristotele diceva che la scienza suprema era la conoscenza delle cause e dei principi primi, del perché ultimo delle cose, solo allora si poteva dire di conoscere davvero qualcosa. Allo scienziato moderno non interessa più il perché ultimo delle cose.
La Scienza moderna dice che è illusorio pensare di poter conoscere l’essenza delle cose, il perché ultimo delle cose. Ci dobbiamo limitare a descrivere il modo in cui i fenomeni si svolgono.
Quindi, mentre la scienza classica cercava di rispondere al perché delle cose. La scienza moderna vuol solo rispondere al come.
Per esempio Galileo Galilei studia e scopre l'isocronismo del pendolo, cioè come oscilla e le sue leggi, ma non gli interessa sapere chi ha mosso il pendolo, e perché, lo studia per come gli appare il fenomeno e cerca di rilevarne le leggi, ma non si chiede chi e perché è all’origine del fenomeno.
Altro punto importante fu la rivoluzione copernicana, la nuova visione dell'universo elaborata da Niccolò Copernico, autore della teoria eliocentrica, che pone il Sole al centro del sistema di orbite dei pianeti, opposta a quella geocentrica, che prevedeva invece la Terra al centro del sistema solare.

Francesco Bacone (1561   1626)

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Sir  Francis Bacon, afferma che dobbiamo studiare la natura facendola parlare da sola, cioè senza sovrapporci le nostre idee, ma ascoltarla così com’è e servircene. Questo è possibile se ci liberiamo da tutti i pregiudizi. Bacone ne elenca alcuni e li chiama idoli.
“Idola tribus”, idoli della tribù, preconcetti derivati dalla storia e dalle credenze del proprio gruppo di appartenenza (valori, cultura, tradizioni, ecc.);
“idola specus”, le nostre convinzioni personali e intime;
“idola fori”, le chiacchere delle piazze e dei luoghi di convegno, il “si dice”;
“idola theatri”, tutto il sapere tradizionale che fino ad ora ci hanno rappresentato come in un teatro i filosofi e i teologi.
Dopo queste premesse che ci permettono di ascoltare senza pregiudizi la natura, Bacone ci presenta un metodo: le “tabule” sulle quali scrivere dove avviene il fenomeno da studiare: “tabula presentiae”; quelle sulle quali scrivere dove lo stesso fenomeno non avviene: “Tabula absentiae”; quelle sulle quali scriviamo le quantità delle presenze del fenomeno nei vari luoghi dove lo si trova: “tabula graduum”.
Purtroppo questo metodo risultava piuttosto macchinoso e senza fine, diciamo che non era un metodo veramente scientifico. A Bacone mancava la Matematica, che invece ben maneggiava Galileo Galilei che per questo è il vero iniziatore della Scienza moderna.

Galileo Galilei ( 1564  1642)

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Galileo introduce le “sensate esperienze” (esperienze dei sensi e contemporaneamente con un senso, cioè con un criterio), cioè esperienza di quanto però è quantificabile, misurabile, osservabile con sicurezza. Solo così ciò che osservo e analizzo, se quantificabile e misurabile, è valido per tutti. Quelle qualità del fenomeno in esame che non sono misurabili e quantificabili saranno dati secondari e comunque catalogati a parte perché per questi non ci può essere assenso comune.
Altro punto interessante di Galilei è l’aver capito l’importanza del cannocchiale per lo studio del Cosmo e con questo scopre che i pianeti non sono fatti di materia incorruttibile come Aristotele aveva detto, ma con l’osservazione di crateri, macchie e altro si è reso conto che anch’essi sono fatti di materia corruttibile come la terra.
Altra scoperta fu l’aver individuato i 4 satelliti di Giove, il che fece capire che come i pianeti avevano dei satelliti che giravano loro intorno, non poteva essere che alla Terra girasse attorno tutto l’universo. Questo rafforzò l’interesse per la teoria Copernicana. Il canonico polacco Niccolò Copernico, aveva infatti ripreso la teoria greca di Aristarco da Samo dell'eliocentrismo, la teoria opposta al geocentrismo, che voleva invece la Terra al centro del sistema. Merito suo non è dunque l'idea, già espressa dai greci, ma la sua teorizzazione e il suo approccio scientifico. Teoria accettata e studiata anche dagli scienziati cattolici e dal papa. Copernico però ebbe la prudenza di non definirla una verità in contrasto con la Bibbia, ma solo una ipotesi per meglio studiare l’Universo, anche perché non era ancora possibile una sua dimostrazione rigorosamente scientifica.
A sfavore del grande Galileo agì spesso il suo “caratteraccio” che gli inimicò alcuni colleghi che si vendicarono mettendolo in cattiva luce con la Chiesa.

Nella Chiesa Cattolica, di contro, c’erano degli scienziati dello stesso livello di Galileo, il più noto, e che abbiamo già incontrato nel processo a Giordano Bruno era il vescovo gesuita San Roberto Bellarmino, che, insieme al papa, erano molto interessati alle teorie di Galileo. Purtroppo, a causa del suo bel carattere, Galileo si intestardì su alcune sue teorie che gli fu dimostrato non era possibile trasformare in verità scientifiche secondo il suo stesso metodo. Cioè lo stesso Galileo non le aveva ancora scientificamente verificate, come la stessa teoria copernicana, verificata solo 10 anni dopo. Peggio ancora, nella sua opera massima: “Il Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo”, prese in giro lo stesso papa Urbano VIII  facendogli fare la figura del sempliciotto ignorante nel personaggio “Simplicius”. Proprio Urbano VIII  che gli era stato amico ancora prima di salire al soglio pontificio e che al momento era impegnatissimo a tamponare la Riforma protestante e gli attacchi alla interpretazione cattolica delle scritture. Momento più che inopportuno per ragionare serenamente su delle ipotesi che non erano ancora verificate e che il Bellarmino gli aveva suggerito di lavorarci sopra ancora come ipotesi.

Dal processo a Galileo, che ne seguì,  se ne ricavò poi la leggenda nera del “Caso Galilei” montata dagli illuministi per sostenere l’”oscurantismo” della  Chiesa Cattolica, unica Istituzione che resisteva tenacemente alle nuove “mode” del modernismo. (Vedi di Rino Camilleri  “il caso Galileo” edizioni: i Quaderni del Timone).

“Vita di Galileo” di  Bertolt Brecht

È l’opera che ha lasciato un profondo solco di incomprensioni e disinformazione sulla vicenda di Galileo Galilei, trasformando Galileo in un martire dell’oscurantismo della Chiesa Cattolica ed eroe della battaglia della Ragione contro la Religione. Versione accettata e sviluppata dalla maggior parte dei testi scolastici e universitari e dall’opinione pubblica.
L'opera si concentra sulla vita di Galileo Galilei, con particolare attenzione al processo dell'inquisizione e all'abiura dello scienziato (cioè su di un punto controverso del processo, quello che interessava di più per denigrare la Chiesa). Si sa con certezza che già nel 1933 Brecht stava lavorando, assieme ad altri scrittori di ispirazione socialista come Feuchtwanger e Heinrich Mann, ad un progetto per la trasposizione scenica dei processi dei più grandi personaggi della storia, tra i quali egli annoverava Socrate, Catilina, Gesù, Jan Hus, Martin Lutero, Maria Stuarda e, appunto, Galileo Galilei, tutti in qualche modo protagonisti (più o meno forzati) della resistenza al potere liberticida ed eroi del progresso socialista e della vittoria della Ragione sulle superstizioni e sulla religione.
L’interesse per i grandi processi della storia viene qui legandosi con il tema dominante della “Vita di Galileo”, che è quello della propagazione della verità in condizioni di censura e violenza, e avente come argomento le difficoltà eroiche che incontra chi vuole combattere la menzogna e l’ignoranza e scrivere la verità (quale verità?). L’opera ha centrato il suo obiettivo, ma non quello della vittoria della Verità, ma quello dell’onnipotenza della parola manipolata per i propri scopi.

Sofia Vanni Rovighi (1908  1990)

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Filosofa e  docente universitaria italiana di storia della filosofia all'Università Cattolica di Milano dal 1951 al 1978. Si interessò di storia del pensiero medievale, in particolare di San Tommaso d'Aquino, e di filosofia moderna e contemporanea.
Seguono in proposito alcune sue interessanti considerazioni su Galileo, la “filosofia” e la “nuova scienza” che ci aiutano a non farci trascinare nella inutile e continua contrapposizione fra Ragione e Fede o se volete fra Filosofia e Scienza tratte dal volume di Marco PaolinelliContro il monismo epistemologico” – Filosofia e scienza nel pensiero di Sofia Vanni Rovighi” EDUcatt. 2009.

La nuova scienza e il pensiero moderno
Quelle di Galileo (1564 -1642) e di Leibniz (1646 – 1716) sono le due figure di pensatori alle quali Sofia Vanni Rovighi fa ricorso per illustrare i caratteri di quel nuovo tipo di sapere che è la “scienza moderna”, e per precisare la distinzione tra questo nuovo tipo di sapere e il sapere filosofico; un ruolo minore, nella sua trattazione di questo tema, giocano Francesco Bacone e Cartesio, mentre lo sfondo è costituito dal sapere aristotelico che è un sapere sostanzialmente unitario, pur con la sua distinzione fra Fisica, Matematica e Metafisica, motivo per cui Sofia Vanni Rovighi parla anche in relazione ad esso di “monismo epistemologico”.
L’importanza è che la “novità” di Galileo, afferma Sofia Vanni Rovighi, non sta certo nel fatto che egli ha rivendicato la libertà e l’autonomia della ragione, come a volte si ripete; questo è certo un valore in cui Galileo crede, ma la “spregiudicatezza radicale” è caratteristica dell’atteggiamento filosofico in quanto tale. Va detto che egli distingueva molto bene l’autorità umana, che era pronto a discutere, e l’autorità della Rivelazione divina, in cui credeva fermamente. L’importanza di Galileo, ciò per cui Galileo merita un posto, e un posto di rilievo, nella storia del pensiero anche filosofico, sta altrove. Galileo, osserva Sofia Vanni Rovighi, non ha una filosofia distinta dalla sua fisica, ma “la sua fisica ha avuto una grande importanza nella storia della filosofia”; Galileo ha un posto di rilievo, nella storia della filosofia “come creatore di quel nuovo tipo di sapere che egli chiamava filosofia, ma che noi chiamiamo scienza. Dimostrare come ha fatto Galileo che quello che si chiamava allora globalmente filosofia non è l’unico tipo di sapere, dimostrare che occorrono nuovi precetti di architettura per risolvere problemi davanti ai quali la filosofia scolastica aveva fallito, significa fare opera di grande significato filosofico, anche se non si è filosofi nel senso che noi diamo a questa parola”.
A Leibniz, poi, Sofia Vanni Rovighi attribuisce il merito di avere riconosciuto in che cosa consista la distinzione tra filosofia e la “nuova scienza”; di aver visto cioè che si tratta di due saperi distinti, ma non tali da doversi escludere o fagocitare l’un l’altro.

Dalla “quarta di copertina” del libro di Marco Paolinelli
La produzione di Sofia Vanni Rovighi è testimonianza del suo profondo e costante interesse per il tema del rapporto filosofia-scienza, un interesse personale che assumeva anche, talora, la forma di un rimpianto per non aver potuto approfondire maggiormente le sue conoscenze in campo scientifico . Oltre all’interesse personale, la muoveva anche la consapevolezza che questo tema è strettamente legato alle radici della Università Cattolica, in cui lei studiò e in cui svolse tutta la sua attività di ricerca scientifica e di insegnamento. L’Università Cattolica fu infatti ideata in epoca di positivismo imperante, quando – afferma Sofia Vanni Rovighi – «la scuola superiore italiana era in buona parte una palestra di propaganda antireligiosa nella quale si proclamava l’incompatibilità della fede con la scienza. In questa situazione, alcuni fra i migliori cattolici italiani si resero conto della necessità di una Università nella quale uomini che fossero ad un tempo ricercatori seri e credenti convinti potessero dimostrare concretamente l’armonia tra scienza e fede ed insegnassero ai giovani col più rigoroso metodo scientifico, senza bisogno di far propaganda religiosa, ma semplicemente facendo vedere che ciò che si può scientificamente dimostrare non ha nulla a che fare con le negazioni dei dogmi» . Queste linee dicono la sua convinzione e il suo atteggiamento di fondo: non amava nessuna apologetica affrettata o strumentale, che avrebbe sapore di ‘propaganda’ (lo stesso termine ‘apologetica’ le era alquanto sospetto), ma una pura ricerca della verità (perché la ricerca della verità non può non essere al tempo stesso ricerca della Verità). I tempi comunque cambiarono, e al soffocante clima positivistico successe un predominante clima neoidealistico, con la sua scarsa stima per il sapere scientifico. Sofia Vanni Rovighi continuò a coltivare il suo interesse per la scienza, non solo perché detestava il seguire le mode e lo ‘spirito del tempo’, ma per un reale apprezzamento per la scienza e il suo valore per l’uomo (valore non solo pratico, ma anche teoretico). Per questo motivo, è con orgoglio che ricorda come «mentre il predominante influsso idealistico nella cultura italiana aveva eliminato dalle facoltà di filosofia tutti gli insegnamenti scientifici, l’Università Cattolica era la sola a mantenerli».

FEDE E SCIENZA - Un dialogo necessario

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 J. Ratzinger - Ed. Lindau, 2010

[…] La capacità del cristianesimo di dialogare con ogni forma di pensiero e di cultura, mantenendo al contempo una propria identità definita, proviene dalle sue origini. È importante sottolineare, infatti, come la diffusione del pensiero cristiano sia iniziata proprio attraverso un movimento di mediazione fra la cultura ebraica e quella greca. Tale movimento può essere descritto come l’incontro tra la fase sapienziale dell’Antico Testamento e il razionalismo, perno della cultura classica. Sempre schematizzando, da questo incontro il cristianesimo ha tratto la propria visione del reale, la quale si basa sulla comprensione razionale del mondo, sapendo però che ciò non sarebbe possibile se la struttura ordinata e comprensibile del reale non fosse il riflesso della sapienza creatrice. Alla luce di tale consapevolezza, come abbiamo visto, la domanda sul posto occupato dallo spirito all’interno della nuova visione scientifica del mondo, si rovescia radicalmente. «Se – infatti – la priorità della materia determina oggi il modo di porre la questione, nella riflessione della sapienza biblica e greca si trova la posizione opposta: si suppone la priorità dello spirito, che lo spirito sia in condizione di suscitare la materia e sia da considerare come il vero punto di partenza della realtà; resta quindi il problema inverso: esiste eventualmente una sporgenza oscura, che non si lascia più ricondurre allo spirito creatore?» (Discorso tenuto a Torino, 12 giugno 1998, pp. 193-194). Interrogativo che se ne trascina dietro un altro, sul quale si gioca, come dicevamo in apertura, la partita decisiva rispetto al significato della fede nel mondo contemporaneo: è possibile, nell’era scientifica, una nuova evidenza che includa ed armonizzi i risultati della ragione scientifica? La riposta, sostiene Benedetto XVI, non può essere altrove se non in Cristo, nella sua persona, evidenza tangibile ed esperibile, nella fede e attraverso la Scrittura, della sapienza e dell’amore del Padre. […]

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