mercoledì 10 maggio 2017

3t-5-La Rivoluzione nel pensiero politico

Le slides e la Dispensa































Introduzione


La modernità abbiamo già detto è un’epoca di rivoluzioni. Ora quindi esaminiamo la rivoluzione del pensiero politico, quella che sfocerà nella rivoluzione francese tanto che essa sarà poi considerata sinonimo del modernismo. Con la rivoluzione francese abbiamo un vero e proprio sovvertimento della visione politica. Quella visione politica di Aristotele che definiva l’uomo come un “animale politico” che naturalmente è portato ad associarsi, che l’uomo è un animale socievole, che la società non va giustificata perché è una cosa naturale, cioè fa parte della natura dell’uomo.

Il nuovo pensiero politico invece butta via questa visione e ne introduce un’altra: l’uomo non è socievole per natura, la società e lo stato nascono a seguito di un processo che i vari pensatori modernisti metteranno a fuoco ciascuno a modo loro. L’idea è che la politica è un problema da risolvere e che è completamente affidato all’uomo. La nascita dello stato e l’organizzazione della società è un problema che l’uomo risolve con la sua ragione. Siamo anche qui d’innanzi alla svolta antropocentrica che ha condizionato già la filosofia, la religione e la scienza. Non c’è più, o meglio non è più accettato, un potere che venga dall’alto. L’autorità non è più un potere che discende dall’alto. Abbiamo già visto come per esempio non è più accettato che l’investitura di un re o di un imperatore avvenga da un vescovo o dal Papa che rappresenta un’autorità superiore. Non esistono più autorità superiori, ma solo la capacità dell’uomo di organizzare uno stato e una società con l’uso della sua sola ragione. Era la Chiesa a garantire che il sovrano rispettasse le regole del buon governo per il bene dei sudditi, ora è la ragione dell’uomo che diventa autorità e garanzia del bene dei cittadini.
 Quindi il potere non è più qualcosa che viene dall’alto, ma nasce dall’uomo: “la sovranità è del popolo”. L’uomo non ha più bisogno dell’autorità divina, non ha più bisogno di avere come riferimento per governarsi la legge di Dio, ma di ciò che il popolo attraverso i suoi rappresentanti decide cosa è bene per la società e ciò che non lo è. (l’uomo vuol decidere lui cosa è bene e cosa è male = il peccato originale?).
Viene così scavalcato e abbandonato Aristotele e i grandi Universalismi che avevano tanto appassionato i medioevali. Negli autori di questo periodo esiste un tratto comune e possiamo collocarli in uno schema. Essi dicono che esiste uno stato di natura caotico e senza regole (perché in esso non esiste ancora la dimensione politica), cioè uno stato di partenza (ipotetico o forse esistito davvero), dal quale l’uomo si evolve per un bisogno di sicurezza che raggiunge a seguito di un patto o contratto sociale o accordo fra gli uomini, necessario per risolvere pratici problemi di convivenza, che lo porta poi, per necessità, a costituire lo stato civile. Non ci sono quindi passaggi naturali, ma passaggi razionali interpretati poi in vari modi dai vari pensatori.

Thomas Hobbes (1588  1679)  

filosofo britannico, autore nel 1651 dell'opera di filosofia politica “il Leviatano”.
Per capire il pensiero di Hobbes riportiamo il discorso sulla disputa degli Universali. Hobbes è un nominalista come praticamente tutti i pensatori che abbiamo considerato nella modernità. Il nominalista abbiamo visto è colui che non riconosce concetti universali, per lui esistono solo cose individuali. Non possiamo quindi elaborare nessun concetto universale e non esiste una natura oggettiva delle cose, noi conosciamo sempre e solo l’individuale, il singolo individuo, la singola cosa, ecc. L’uomo per Hobbes è un nominalista, cioè un essere che non è in grado di elaborare concetti o valori universali (che valgano per tutti).
L’uomo è dunque ricondotto alla sua corporeità (vedi il suo “De corpore”); essendo corpo è quindi istinto (non ragione in grado di elaborare concetti universali) e si appropria istintivamente di tutto ciò che incontra. Non è in grado di elaborare il concetto di “proprietà private”, o quello di “rispetto per la vita” ecc..
L’uomo è un animale. “homo homini lupus” (letteralmente "l'uomo è un lupo per l'uomo"). Cioè nello stato di natura Hobbes dipinge una condizione di guerra di tutti contro tutti. L’uomo di Hobbes è un animale feroce che vive la sua animalità in una continua feroce guerra con i suoi simili.
L’epoca in cui è vissuto Hobbes ci induce a pensare che questa sua visione pessimistica sia dovuta anche alle atrocità a cui ha assistito in una Europa dilaniata da guerre di religione e di potere a seguito della spaccatura originata da Lutero nel mondo cristiano, dalla rivoluzione inglese (1642 - 1651) e la sua spaccatura fra la Corona e il Parlamento che sfocerà nel primo Re che perde la testa.
Come si esce da questa condizione di stato di natura dove l’uomo mangia l’uomo? Nella sua famosissima opera “Il Leviatano” Hobbes cerca di dare una risposta osservando innanzi tutto che l’uomo non può elaborare il concetto universale di pace, e nemmeno di amare la pace o di dare un valore universale alla pace. In questa situazione l’uomo, solo corpo e istinto, ne esce con un calcolo egoistico, cioè si rende conto che agire uomo contro uomo rischia di continuo di perdere la sua vita. L’uomo, solo corpo, se perde la sua vita perde proprio tutto (non ha l’anima). Decide allora di uscire dallo stato di natura e di alienare i suoi ipotetici diritti alla vita e di affidarli ad una entità superiore: lo stato assoluto. Gli uomini, allora, è come se sottoscrivessero un patto in cui cedono al sovrano tutti i loro diritti. Il sovrano diventa quindi il padrone di tutto. Egli ha un solo vincolo: lasciare vivere i suoi sudditi.
   Metaforicamente parlando è come se gli uomini lupo si affidassero ad un domatore, che può fare di loro ciò che vuole, perché comanda lui, e in cambio ottengono la possibilità di vivere. Vivere è l’unica cosa che interessa l’uomo di Hobbes. Nasce così il potere assoluto (un elaborato artificiale) che domina l’uomo, ma che gli permettere di vivere.

Vita, opere e sintesi finale

Thomas Hobbes, il filosofo dello stato moderno, nasce nel 1588 a Malmesbury in Inghilterra e attraversa uno dei periodi più tormentati della storia inglese. Verso la metà del seicento infatti, le tensioni fra la corona e il parlamento sfociano in una guerra civile che porterà alla condanna a morte per decapitazione del sovrano Carlo I . Hobbes però, pur proveniente da una famiglia piccolo borghese si schiera dalla parte della monarchia, la naturale garante dell’ordine. Nel 1640, nel momento delle massime tensioni fra il Re e il parlamento, si reca a Parigi in esilio volontario, e li matura le sue principali opere filosofiche e politiche: il “De Cive” del 1642 e “Il Leviatano” pubblicato nel 1651.
Il Leviatano è un mostro biblico descritto nel libro di Giacobbe che Hobbes usa come immagine per rappresentare il grande potere dello stato. Lo stato è una creazione artificiale, non un prodotto naturale e seve per evitare che gli uomini vivono in una condizione di guerra perpetua. Gli individui accettano di sacrificare gran parte della loro libertà in cambio della sicurezza e della pace. Per garantire l’ordine, il sovrano, non deve dividere il potere con nessun altro, né rendere conto del suo operato ai sudditi, deve essere cioè un monarca assoluto. Il Leviatano sarà così modello per il Re Sole in Francia e per tutte le monarchie assolute del diciassettesimo secolo.

John Locke (1632 –1704)


John Locke, cinquant’anni dopo Hobbes, riprende la teoria del contratto sociale con un approccio di tipo liberale che lo porta ad essere il principale teorico della monarchia moderata costituzionale. Per Locke lo stato non può negare i diritti naturali, ovvero la vita, la libertà, l’uguaglianza civile e la proprietà, anzi ha il compito di tutelare questi diritti, propri di tutti gli uomini. La sua filosofia trova la sua espressione politica nei primi sistemi costituzionali e ispirerà molti pensatori del secolo successivo, fino ai rivoluzionari americani.
Locke è infatti considerato il padre del “Liberalismo” (dottrina politica che non va confusa con il “Liberismo”: dottrina economica di mercato  non temperata da interventi esterni dello stato). Il Liberalismo è quella visione in cui lo stato non ha il compito di concedere dei diritti, ma soltanto di riconoscerli e di tutelarli. L’uomo è libero non perché c’è un sovrano buono che lo lascia libero, è libero perché è scritto nella sua natura di essere umano, cioè di essere un “essere libero”.
Il padre del liberalismo è in fin dei conti il filosofo della ragionevolezza perché è convinto che la mente umana è capace di elaborare le idee, cioè di acquisire idee semplici dai sensi, e poi di elaborale.
L’uomo di Locke non è un animale feroce, ma che nello stato di natura vive cordialmente con gli altri, perché con la sua ragione è capace di riconoscere i diritti fondamentali dell’altro: il diritto alla vita, la proprietà privata, ecc.
Quando questo non avviene è perché qualcuno non riesce ad usare bene la ragione e non riconosce alcuni diritti dell’altro o tenti di farsi giustizia da se.
Il contratto della società civile è quindi completamente diverso da quello di Hobbes. Essenzialmente non è unilaterale, il suddito è legato al contratto nello stesso modo del sovrano, che non è più assoluto e al di sopra delle parti, cioè senza vincoli, ma “partner”, ovvero alla pari.
Il sovrano non può prevaricare i diritti fondamentali della persona, perché è legato al contratto dello stato civile. Ieri questa garanzia era data dalla legge divina, ora è data dalla “ragionevolezza”. Il sovrano ha un limite nella costituzione e non dall’alto.
Ne consegue che i sudditi hanno la possibilità di ribellarsi al potere politico quando oltrepassa i limiti imposti dalla ragionevolezza (dal contratto sociale). Cosa simile a quando il sovrano veniva scomunicato perché non rispettava la legge divina e i sudditi acquisivano così il diritto a disobbedirgli.
John Locke viene spesso definito come il teorico della tolleranza perché ci sono diversi suoi scritti in proposito. Ma in questi scritti si trova anche una sua affermazione perentoria che dice che gli unici che non si devono assolutamente tollerare sono i cattolici. Locke allora lo si può definire tollerante?
L’anticattolicesimo è di fatto l’unico pregiudizio accettato dalla maggioranza degli intellettuali di questo periodo e dei successivi. L’intolleranza nei confronti dei cattolici continuerà ad essere oggetto di approvazione e distintivo dei ben pensanti. Uno dei maggiori rappresentanti di questa intolleranza è senza dubbio Voltaire.

Voltaire ( 1694  1778)

Il nome di Voltaire, pseudonimo di François-Marie Arouet,  è indissolubilmente legato al movimento culturale dell'Illuminismo, di cui fu uno degli animatori e degli esponenti principali nell'ambiente dell’Encyclopédie con Montesquieu, Locke, Rousseau, Diderot, ecc.
La vasta produzione letteraria di Voltaire si caratterizza per la polemica contro l’oscurantismo cattolico, la razza ebrea, le ingiustizie e le superstizioni. Voltaire è un deista, cioè seguace della "religione naturale" che vede la divinità come estranea al mondo e alla storia. È uno scettico, fortemente anticlericale e laico, è considerato il principale ispiratore del pensiero razionalista e antireligioso moderno. Giusto per fare un esempio eclatante riportiamo alcune sue affermazioni.
Non sono d’accordo con le tue idee, ma darò la vita perché tu le possa esprimereQuesta celebre frase, diventata emblema della tolleranza, è attribuita a Voltaire. In realtà si tratta di una frase scritta da Stephen G. Tallentyre biografa del filosofo pubblicata nel 1906 e mai nemmeno pensata da Voltaire.
Parlando degli ebrei Voltaire si esprime così: “Non troverete in loro che un popolo ignorante e barbaro, che unisce da tempo la più sordida avarizia, alla più detestabile superstizione, al più invincibile odio per tutti i popoli che li tollerano e li arricchiscono”. I suoi opuscoli erano distribuiti a larghe mani nella Germania nazista. L’antisemitismo nasce qui con Darwin e Voltaire.
Da un’altra sua opera si trova questo colloquio: “Dice Cappone: ricordo bene che ci sono alcuni paesi fra cui quello dei giudei in cui talvolta gli uomini vengono mangiati gli uni dagli altri. Risponde Pollastra: passi per questo. È giusto che una specie così perversa divori se stessa e che la terra venga purificata da questa razza”.
Questo è il Voltaire paladino della tolleranza, disposto a morire per permettere agli ebrei e ai cattolici di esprimersi. È doveroso aggiungere che si deve a lui la più che negativa considerazione delle “Crociate”, ancora oggi sinonimo di intolleranza, cieco fanatismo, campagne con secondi fini, ecc.

Le 9 Crociate (1095–1302) furono lo specchio di un’era, quella medioevale, dove si è vissuto un Cristianesimo così incarnato in tutta l’Europa da far sentire in molti (principi e popolani) il dovere irrinunciabile di strappare i luoghi santi dalle mani sacrileghe dei mussulmani e fermare le persecuzioni anticristiane iniziate già nel 638 con la conquista di Gerusalemme da parte degli eserciti mussulmani e con la distruzione del Santo sepolcro nel 1009. L’uso delle armi però, ha portato con sé, e da ambo le parti, episodi di saccheggi e crudeltà, oltre a  ingiustizie e intrighi politici che nulla avrebbero dovuto spartire con l’abnegazione e i sacrifici eroici della maggior parte dei partecipanti mossi dalla sacrosanta intenzione di liberare i luoghi santi per permettere a loro stessi e ai pellegrini di visitarli. Gli interventi armati dei cristiani, anche i più eroici, non portarono poi alla fine i risultati sperati, fu solo San Francesco che, senza armi, ottenne la possibilità che i pellegrini potessero visitare e pregare sui luoghi santi. (vedi di Marco Meschini “Le Crociate di Terrasanta” Ed. I Quaderni del Timone).

Il liberalismo 


Il liberalismo è un insieme di dottrine, definite in tempi e luoghi diversi durante l'età moderna e contemporanea, che pongono precisi limiti al potere e all'intervento dello stato, al fine di proteggere i diritti naturali, di salvaguardare i diritti di libertà e, di promuovere l'autonomia creativa dell'individuo oltre che la sua indipendenza politica. Storicamente il liberalismo nasce come ideale che si affianca all'azione della borghesia nel momento in cui essa combatte contro le monarchie assolute e i privilegi dell'aristocrazia a partire dalla fine del XVIII  secolo.
Il liberalismo ha contribuito a definire la concezione moderna di società, intesa come somma ed espressione delle varietà e singolarità umane, concernenti sia l'ambito spirituale come la sfera materiale. Inoltre il liberalismo è probabilmente la dottrina che ha più influenzato la concezione moderna della democrazia: si parla infatti di "liberal democrazia" in modo generico per indicare una moderna democrazia che non sia basata esclusivamente sulla volontà della maggioranza ma - anche e soprattutto - sul rispetto delle minoranze.
In Inghilterra l'imposizione di limiti al potere del sovrano avviene, a differenza che negli altri paesi europei, attraverso un processo storico graduale che viene fatto iniziare addirittura nel Medio Evo con la concessione della Magna Charta.

La Libertà che guida il popolo
(1830, Eugène Delacroix)
Il passaggio dal feudalesimo allo Stato liberale avviene senza la mediazione dell'assolutismo monarchico, se si esclude il periodo di regno dei Tudor, caratterizzato da un notevole accentramento dei poteri nelle mani dei sovrani. Il tentativo della successiva dinastia degli Stuart di prolungare il sistema assolutistico portò allo scoppio della prima rivoluzione inglese, guidata dal leader anti-monarchico, ma non liberale, Oliver Cromwell.
Dopo numerosi sconvolgimenti politici a seguito della dittatura di Cromwell, nel 1689 il Parlamento inglese riuscì a portare sul trono Guglielmo III d'Orange, che si impegnava a garantire al Parlamento stesso e ai cittadini inglesi una serie di diritti e libertà solennemente proclamati nel Bill of Rights. L'Inghilterra fu così il primo Stato al mondo ad essere governato da una monarchia costituzionale, la tipica forma di governo del liberalismo classico.
Nel 1690 Locke, che apparteneva al Partito Whig (più tardi chiamato Partito Liberale), pubblicò anonimo Due Trattati sul Governo, che contenevano i principi fondamentali del liberalismo classico. Il filosofo britannico sviluppa il proprio pensiero partendo dalla teoria del contrattualismo (già avanzata da Thomas Hobbes e ripresa poi nel celebre Contratto sociale di Jean-Jacques Rousseau).
Secondo Locke, nello stato di natura tutti gli uomini sono uguali ed esercitano i propri diritti di natura (libertà, uguaglianza, proprietà e vita); diversamente da Hobbes però, egli ritiene che lo Stato di natura non sia una condizione di continua belligeranza ma di convivenza pacifica, in cui tuttavia l'esercizio dei diritti naturali è solo parziale poiché è limitato dal diritto punitivo esercitato discrezionalmente da ogni individuo.
Perciò, nell'atto dell'istituire lo Stato civile, gli uomini non cedono al corpo politico alcun diritto, ma lo rendono tutore dei diritti di natura, delegando al Parlamento il potere di emanare leggi positive che regolino l'esercizio della forza a difesa d'ognuno. Le funzioni fondamentali dello Stato liberale divengono quindi quelle di tutelare la libertà, l'uguaglianza, la vita e la proprietà dell'individuo. Inoltre, il pensiero liberale di Locke definisce una giustificazione etica della rivoluzione, il diritto di resistenza che ciascun individuo può e deve esercitare quando lo Stato agisce in contrasto con la volontà popolare od in contraddizione con i principi costituzionali.

Jean-Jacques Rousseau (1712  1778)

filosofo, scrittore e musicista svizzero di lingua francese.
Siamo in pieno illuminismo e Rousseau è uno dei filosofi più importanti di questo periodo. Scrive “il contratto sociale” ma con premesse completamente diverse da i suoi predecessori.
È infatti un illuminista sui generis perché scardina decisamente uno dei fondamenti dell’illuminismo: l’idea di progresso.
L’illuminismo infatti vede la storia dell’uomo come un itinerario lineare e continuo verso qualcosa di sempre migliore grazie alla ragione che con la sua luce illuminerà tutto il reale, idea che proviene dal cattolicesimo che aveva spezzato il circolo metafisico. Ieri c’era meno luce di oggi, domani ci sarà più luce di oggi. Si va sempre verso il meglio, il nuovo è sempre migliore del vecchio. Rousseau non condivide questo concetto di progresso e scrive un’opera nella quale dimostra che ciò che corrompe l’uomo è proprio il progresso. L’uomo in natura sarebbe buono e innocente, la società purtroppo invece lo corrompe.
Nel 1754 scrive un’opera “Il discorso sulle origini e i fondamenti della ineguaglianza fra gli uomini” nella quale nega la dottrina del peccato originale e afferma che l’uomo è buono per natura.
Cominciamo togliendo di torno tutti i fatti” questo è il primo pensiero espresso nell’opera. In altre parole la realtà non ci interessa dice Rousseau, interessa solo il ragionamento che supporta l’idea, cioè la mia idea.
Prendiamo per esempio la sua opera “Emilio o dell’educazione” nella quale considera le cinque fasi fondamentali dello sviluppo del giovane Emilio dimostrando che l'uomo nasce buono e che il male scaturisce dalla corruzione della società e da un'educazione non corretta, che non asseconda lo sviluppo armonioso delle potenzialità naturali. Emilio deve essere lasciato libero di sviluppare le proprie facoltà nella natura, con stimoli ridotti da parte del maestro, in modo da non essere influenzato in maniera eccessiva e artificiale dalle conoscenze altrui.
Emilio è un bambino irreale, che non esiste nella realtà, serve a Rousseau per cucirgli addosso le sue idee. Per inciso lui avrà ben 5 figli, la cui educazione affiderà, mano a mano che la sua compagna li partoriva, ad un orfanatrofio, cioè li abbandonerà. Lasciando da parte i fatti veri, cioè il suo reale comportamento, quello che conta per lui sono le teorie espresse nell’Emilio.
La teoria di Rousseau è quindi quella che l’uomo è buono e innocente per natura, perché in natura ha tutto ciò che gli serve: cibo, riposo, una compagna, ecc. senza grandi sforzi. Una sorta di paradiso terrestre diremmo noi. Ma allora cos’è che invece corrompe questa situazione paradisiaca? È l’invenzione della proprietà privata, tutti i mali dell’uomo derivano da questo.
Il giorno, dice Rousseau, che qualcuno decise di recintare un pezzo di terra e dichiarare che questa à di sua proprietà e trovò altri tanto ingenui da credergli, li cominciarono tutte le ingiustizie. La radice del male non è il peccato originale, ma la proprietà privata. Morale, dobbiamo quindi costituire una società che imiti lo stato di natura.
Come si può arrivare a questo tipo di società? Anche Rousseau fa riferimento ad un Contratto Sociale nel quale gli uomini liberamente alienano la loro vita e diventano qualcos’altro, lasciano la loro individualità per entrare nel corpo sociale. Un corpo che ha una volontà generale.
Una volontà generale, dice Rousseau, non è la somma di volontà particolari, ma è il bene della comunità, anche se è visto e capito da poche persone. Il singolo individuo, anche se non è d’accordo sulle scelte della volontà generale, sa che obbedendo a questa volontà non fa altro che obbedire a quello che è il vero bene della comunità e quindi anche suo. Il concetto di fatto è che ci sono alcuni, illuminati, che vedono il vero bene della società. Cioè che ci sono degli illuminati che vedono il vero bene anche per chi non è in grado di vederlo. Chiediamoci a questo punto se Rousseau è davvero il grande teorico della democrazia come ci è stato sempre detto? Napoleone, Hitler, Mussolini, Stalin, Mao, ecc. non sono stati degli illuminati che hanno visto quale era il vero bene della società a dispetto di quegli ingenui o ignoranti che non erano in grado di vederlo?
Sembra che, non lasciando da parte i fatti, sia il totalitarismo la vera risposta di Rousseau al bene comune. Risposta totalitaria che è passata per democratica, e che è stata di fatto un’esca per i totalitarismi rinati al seguito dalla rivoluzione francese. Già nella rivoluzione francese si è passati  dalla volontà generale al regime del terrore e poi a Napoleone Imperatore assoluto e ancor oggi simbolo della grandeur francese”.

Vita di Rousseau

Nato da un'umile famiglia calvinista ginevrina di origine francese, ebbe una gioventù difficile ed errabonda durante la quale si convertì al Cattolicesimo. Visse e studiò a Torino e svolse diverse professioni, tra cui quella della copia di testi musicali e quella di istitutore. Trascorse alcuni anni di tranquillità presso la nobildonna Françoise-Louise de Warens una protestante convertita al Cattolicesimo  che mandò Rousseau nella capitale del Ducato, Torino, presso il collegio cattolico dell'Ospizio dello Spirito Santo. Qui, egli abiurò il protestantesimo (la religione paterna) e fu battezzato con rito cattolico, quindi, dopo alcuni vagabondaggi tra la Francia e la Svizzera, si trasferì a Parigi, dove conobbe gli enciclopedisti e collaborò con loro. Nello stesso periodo iniziò la sua relazione con Marie-Thérèse Levasseur, una domestica analfabeta, da cui avrebbe avuto cinque figli di cui non si occupò minimamente. Il suo primo testo filosofico importante, il Discorso sulle scienze e le arti, vinse il premio dell'Accademia di Digione nel 1750 e segnò l'inizio della sua fortuna.
Nell'estate del 1754 rientrò per un breve periodo a Ginevra, dove venne accolto con tutti gli onori e si riconvertì al calvinismo. Nel 1762 vennero pubblicate due delle più importanti opere di Rousseau, Émile, o dell'educazione e Il contratto sociale. Anche se furono testi di un certo successo, nessuno dei due suscitò approvazione, e l'Émile in particolare venne fatto oggetto di critiche e persecuzioni molto dure: il parlamento di Parigi lo condannò e ordinò che tutte le copie venissero strappate e bruciate. Il 9 giugno fu emanato un ordine d'arresto per Rousseau, che dovette fuggire in Svizzera. Tuttavia anche in Svizzera le sue opere vennero condannate, e si diedero episodi in cui copie del Contratto sociale e dell'Émile furono bruciate pubblicamente a Ginevra.
Il 1765 vide i testi di Rousseau ancora oggetto di dure contestazioni. La notte tra il 6 e il 7 settembre la casa di Rousseau a Môtiers fu presa a sassate dalla folla. Dopo aver a lungo girovagato tra Lione, Chambéry, Grenoble e Bourgoin, e dopo essersi finalmente unito in matrimonio con Thérèse Levasseur nel 1768, nel 1769 Rousseau si stabilì in una fattoria presso Monquin (nella Sarthe) e si dedicò alla stesura della seconda parte delle sue Confessioni.
Gli ultimi anni di Rousseau furono caratterizzati da un crescente isolamento: un clima di disagio e di sofferenza circondava il filosofo e scrittore, affetto da sempre più pronunciati squilibri psichici. Il 2 luglio 1778, di ritorno da una passeggiata, fu assalito da un violento mal di testa e morì nel giro di pochi istanti. La sera del 4 luglio, alla presenza di solo pochi amici, Jean-Jacques Rousseau fu seppellito sull'isola dei Pioppi (île des Peupliers). Allora l'isola venne ribattezzata Elysée, e divenne meta di pellegrinaggi da parte degli ammiratori del filosofo scomparso.
Durante la Rivoluzione il pensiero politico rousseauiano in generale, e il Contratto sociale in particolare, divennero un importante punto di riferimento per gli oppositori dell'Ancien Régime. Rousseau fu tra i primi a essere inumato nel Panthéon, che era stato dedicato alla memoria dei grandi francesi dai rivoluzionari nel 1791.

Rousseau commentato da N. Abbagnano.

Da un lato Rousseau è stato visto come un teorico della democrazia, un filosofo della libertà, per l’esplicita affermazione secondo cui la sovranità risiede nel popolo, ma da un altro lato è stato visto, e con ragione, il fautore di una democrazia totalitaria, di un collettivismo autoritario per la celebrazione della volontà generale e per l’asserita prevalenza del noi sull’io, secondo un indirizzo teorico che troverà la sua drammatica semplificazione storica nella rivoluzione francese combattuta fra la proclamazione ideale della democrazia e la pratica del terrore, fra la presunta moralità rivoluzionaria dell’élite al potere, sedicente interprete della volontà generale e il suo sanguinario dispotismo di fatto. Anzi secondo questa lettura, Rousseau, più che come un ispiratore di movimenti di liberazione, dovrebbe essere considerato un esecrabile profeta dei moderni totalitarismi di massa e della loro tendenza a dissolvere l’uomo nel cittadino”. (tratto da N. Abbagnano “Storia della Filosofia” – UTET)

Niccolò Machiavelli (1469 - 1527)


In questo capitolo della rivoluzione del pensiero politico abbiamo solo accennato a Niccolò Machiavelli, che cronologicamente viene prima dei filosofi trattati e che è considerato il primo grande teorico della politica moderna e dello Stato uscito dal medioevo, dalla soggezione al potere religioso, dalla frammentazione feudale. Vale però la pena, prima di inoltrarci nei prossimi argomenti di dare una sintesi del suo pensiero.
Grazie alla sua elaborazione la politica si avvia con lui ad affermarsi come scienza, con i suoi princìpi, le sue leggi e con il suo statuto disciplinare: questo per Macchiavelli comporta l’autonomia dalla religione e dalla morale. Egli adotta un metodo di ricerca legato alla sua diretta esperienza politica: ha infatti affinato, con l’opera diplomatica, una grande capacità di osservare in modo lucido e attento vicende, trame e conflitti che scorrono nel presente, valutando il loro svolgimento senza farsi distrarre dalle apparenze.
In Machiavelli l’autonomia della politica ha due significati: in primo luogo il sapere, che riguarda l’agire politico, si deve costituire come “scienza”, definendo in modo rigoroso il proprio oggetto, i principi specifici, le finalità. In secondo luogo, è lo stesso obiettivo proprio della politica a richiedere l’indipendenza da istanze di ordine religioso e morale, pena l’insuccesso.
Per Macchiavelli l’agire politico ha la sua giustificazione in sé stesso, non in princìpi morali o religiosi. Ritiene che per realizzare un ordine di convivenza libero e sicuro, la politica debba far riferimento agli uomini come sono e non come si vorrebbe che fossero, in quanto l’agire politico è condizionato dalla situazione esistente. 

Montesquieu (1689  1755).


Il suo grande ideale liberale è una vita umana ricca, multiforme, sfaccettata, complessa, in cui il potere politico e l'ordine giudiziario mettano i cittadini al riparo da qualunque prevaricazione. Nel suo trattato de “Lo spirito delle leggi”, Montesquieu traccia la teoria della separazione dei poteri. Partendo dalla considerazione che il "potere assoluto corrompe assolutamente". L'autore analizza i tre generi di poteri che vi sono in ogni Stato: il potere legislativo (fare le leggi), il potere esecutivo (farle eseguire) e il potere giudiziario (giudicarne i trasgressori). Condizione oggettiva per l'esercizio della libertà del cittadino, è che questi tre poteri restino nettamente separati.

Sintesi finale

La filosofia politica nasce dalla domanda fondamentale intorno alla natura dell’uomo. L’uomo è un animale politico, sociale e socievole, come diceva Aristotele, oppure è tristo e malvagio per natura, come afferma Macchiavelli e Hobbes e tiene a freno i suoi peggiori istinti solo per paura delle sanzioni?
          
Macchiavelli, spregiudicato e disinvolto nell'uso del potere, afferma: “un buon principe deve essere astuto per evitare le trappole tese dagli avversari, capace di usare la forza se ciò si rivela necessario, abile manovratore negli interessi propri e del suo popolo”, con il coraggio di scavalcare religione e morale pur di raggiungere il suo scopo.

Thomas Hobbes descrive la natura umana come competitiva ed egoista, Bellum omnium contra omnes, Homo homini lupus, e si basa su una visione fatta di egoismo, desiderio di potere, impulso di sopraffazione. Quando sceglie l’ordine e la pace con i suoi simili, come avviene con la costruzione dello stato, non è per amore verso di loro, ma per il timore della morte e per il desiderio di conservare i beni necessari alla propria sopravvivenza, quindi per puro egoismo.

Rousseau, grande ispiratore dell’illuminismo francese, ha una visione opposta dell’uomo. Per Rousseau è la società a corrompere gli esseri umani, che per natura invece sono inclini al bene. Attraverso una educazione semplice e a contatto con la natura, lontano dai cattivi influssi della civiltà, l’essere umano può ritrovare l’innocenza originaria. Con Rousseau nasce il mito del “buon selvaggio” che alimenterà l’immaginario delle grandi esplorazioni del ‘700 nei territoti incontaminati del pianeta, abitati da una umanità felice e spensierata immersa nella natura primigenia (?).
La due differenti visioni dell’uomo sono alla base di due diverse valutazioni del corpo politico, quella positiva del realismo di Hobbes e Macchiavelli per la quale la società civile è l’ordine che permette agli esseri umani di auto conservarsi e di prosperare, quella invece negativa di Rousseau che afferma che è dalla proprietà privata e dalla divisione del lavoro che nasce la diseguaglianza tra gli uomini che lo stato sancisce e protegge.
Gli individui non dovrebbero essere sottomessi a nessuna autorità al di fuori della volontà generale del popolo. Solo in questo caso saranno liberi, perché obbediranno alle leggi create da loro stessi. Il problema sarà: qual è la volontà generale del popolo?
Nella filosofia moderna e contemporanea le domande fondamentali di Macchiavelli, di Hobbes e di Rousseau sulla natura umana, sul rapporto fra l’individuo e la società e sulle caratteristiche e il ruolo dello stato, non finiranno mai di stimolare la riflessione politica e di cercare nuove risposte.

Osservazioni conclusive

di don Claudio Crescimanno
I filosofi della politica, che abbiamo appena visto, ci hanno portato in campo, e in modo prorompente, il problema dello Stato e più precisamente quello dello Stato Etico. (Etica o Morale = Ricerca di ciò che è bene per l'uomo, di ciò che è giusto fare o non fare ed è materia che disciplina fin dall’antichità i rapporti dell’uomo con Dio e i rapporti dell’uomo con gli altri uomini).
Hegel aveva definito lo Stato Etico "sostanza etica consapevole di sé".
La dottrina hegeliana affermava che lo Stato è fonte di libertà e norma etica per il singolo. La condotta dello Stato, quindi, non può essere oggetto di valutazioni morali da parte dell'individuo: lo Stato si pone fine supremo e arbitro assoluto del bene e del male.
Lo Stato Etico è il risultato della nuova visione filosofica politica di questi pensatori ed è tema dominante nel XIX  e XX  secolo, ma che conserva la sua attualità anche oggi e la conserverà sempre. (Ripresa nel Novecento, la teoria dello Stato Etico è stata da molti critici ben usata per spiegare il fondamento della concezione dello Stato nazista di Hitler, fascista di  Mussolini e di quello  comunista di Lenin e Stalin, di Mao e di altri simili).
Fin dalla antichità abbiamo avuto varie forme di governo: la Monarchia, la Repubblica, il Consolato, ecc. cioè vari modi di gestire i rapporti fra il Popolo e lo Stato. In particolare vari modi di gestire l’autorità che lo Stato esercita nei confronti del Popolo. Quelli che erano chiamati Sudditi e che ora vengono chiamati Cittadini.
Fino alla nascita della modernità, noi avevamo davanti solo due possibilità di Stato e di forma di governo: lo Stato Confessionale e lo Stato Teocratico.
Lo Stato Confessionale era la forma sociale tipica dell’Europa occidentale e cristiana. L’Europa era una pluralità di comunità di popoli unificati nell’Impero e negli Stati che si riconoscevano nell’Impero. In questo tipo di Stato c’era una Legge Naturale valida per tutti e lo Stato era impegnato a farla rispettare. Limite invalicabile dello Stato Confessionale era la stessa Legge di Dio, cioè i suoi Comandamenti, conosciuti attraverso una fede religiosa diffusa, ecco perché si chiama Stato Confessionale.
I Comandamenti di Dio erano il limite entro il quale dovevano collocarsi le leggi che il Sovrano doveva e poteva emanare, pena la scomunica e il diritto dei sudditi a disobbedirgli. Questo portava alcuni sovrani a soffrire questo limite che era rappresentato dalla figura del Papa che legittimava (incoronava) il Sovrano di turno e garantiva i sudditi almeno dagli abusi di potere più evidenti dello Stato (garanzia teorica in alcuni casi, ma comunque riconosciuta da tutti). Esistevano dunque due Autorità, quella civile, con i limiti già detti e quella Religiosa a salvaguardia almeno dei diritti più elementari dei sudditi (“Date a Dio quel che è di Dio e date a Cesare quello che è di Cesare”).
Lo Stato Teocratico era ed è lo stato islamico, nel quale il Sovrano impone la legge coranica alla lettera, cioè non emana nessuna legge, perché la legge è quella già scritta ed è proibito e punito qualunque approccio critico ad essa. Il Sovrano è l’autorità tout court” (civile e religiosa insieme diremmo noi). Possiamo dire, col nostro modo di pensare, che nello Stato Teocratico la legge religiosa coincide totalmente con la legge civile, oppure potremmo dire anche che non esiste la legge civile ed esiste solo quella religiosa, non si ha altra società all’infuori della comunità religiosa.
Lo Stato Etico nasce improvvisamente come una realtà nuova. Esplode un bisogno di abbandonare decisamente i riferimenti verso l’Alto, i Comandamenti ebraico cristiani come quelli coranici. Nasce un’impellente necessità di rifondare il tutto, ridare una legittimità di principio e di fatto al rapporto fra il sovrano e i sudditi.
Abbiamo visto il sorgere di almeno tre scuole di pensiero la cui sostanza di fondo è essenzialmente quella che i sudditi o meglio il popolo o gli abitanti di un territorio si affidano, dandogli più o meno limiti, ad un Sovrano o ad uno Stato, ad una autorità che praticamente e inevitabilmente diventa poi assoluta.
Anche se c’è una definizione dei limiti che circoscrivono questa possibilità di dominio assoluto, di fatto questi sono ininfluenti rispetto alla sostanza perché sono dati dalla stessa ideologia o ragionamento che ha dato potere al Sovrano. Non avendo più un riferimento che viene dall’alto, lo Stato incarnato dal Sovrano o da altre forme di autorità (gruppi di potere), non ha di fatto altro limite che se stesso. Lo Stato si trova investito di un consenso che lo obbliga a dire ai suoi sudditi, ora cittadini, cosa è bene per loro e cosa è male, ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, ciò che è vero e ciò che è falso, chi è amico del popolo e chi è nemico, chi può vivere e chi deve morire.
Questo è lo Stato Etico. È uno stato che a motivo della delega in bianco che gli viene data e non avendo altro limite se non quello posto da una non meglio definibile  “volontà generale”, decide e impone il vero e il falso, il giusto e lo sbagliato, il buono e il cattivo, ecc.
Volontà generale, che in realtà è la volontà di  pochi illuminati che dicono di sapere cos’è la cosa migliore da fare e che decidono anche per quelli che non sono d’accordo, perché tanto non sono d’accordo per il semplice fatto che non sono in grado di capire che quello che si sta facendo è anche per il loro bene.
Lo Stato quindi decide qual è l’etica o il comportamento adeguato da osservare da parte dei cittadini. Lo Stato Etico riceve ed esercita il discernimento, cioè la capacità di distinguere il bene dal male e di imporlo a tutti.
Perché non c’è alternativa allo Stato Etico? Perché se non esiste più un riferimento superiore allo Stato, lo Stato è l’ultima istanza. Per esempio se io e il mio vicino di casa abbiamo un conflitto e chiediamo giustizia ad un giudice, questi valuta la questione e decide chi ha ragione in funzione delle leggi dello Stato, che non ha erogato lui, ma appunto lo Stato.  Quindi è lo Stato che decide chi ha torto o ragione, ma in base a che cosa? In base alla sua visione delle cose, in base a criteri di chi in quel momento ha il potere e l’autorità, in base a quale ideologia fa riferimento chi ha il potere. Questa visione e la relativa ideologia che la giustifica è garantita nella sua legittimità, nella sua verità, nella sua bontà dal consenso popolare ottenuto in modi che è impossibile che siano rigorosamente democratici e razionali e comunque che è
impossibile che rappresentino davvero un consenso unanime.

Ma in pratica che garanzie ci sono che quanto legiferato dallo Stato sia davvero “volontà popolare”, cioè consapevole e libera scelta di una eventuale maggioranza, o non sia invece frutto dell’abilità dei gruppi di potere che condizionano e influenzano con pressioni lecite ed illecite le scelte politiche, con la loro abilità oratoria e con pressioni di vario tipo verso le fasce più deboli (intellettualmente ed economicamente) e che quindi decidono?
Vediamo quindi come la rivoluzione in campo politico di ieri sta condizionando pesantemente anche la politica di oggi. Quanto, la società in cui viviamo, è veramente libera e favorisce l’espressione della libertà, e quanto invece è frutto di condizionamenti di ambienti minoritari, ma che ci superano e di fatto decidono (a modo loro)?
Lo Stato Etico decide quindi quale è una vita degna di essere vissuta e quindi protetta e quale invece una vita da eliminare per il benessere comune o dell’individuo stesso, cioè decide chi deve vivere e chi deve morire, cosa è il vero e cosa è il falso, cos’è il bene e cos’è il male. Decisioni che spesso sono prese senza consultare correttamente l’opinione pubblica, ma approfittando del potere e della distrazione dei cittadini o diffondendo con i media e relative abilità oratorie e comunicative, opinioni o ideologie vendute come migliori delle precedenti per il solo fatto che sono nuove.
Questi sono i problemi dello Stato Etico, nato con la rivoluzione francese che portò al potere Napoleone e portato avanti dai pensatori che abbiamo appena visto, ma perfettamente attuali e presenti nella nostra Società e ancora senza soluzioni apprezzabili.

La Rivoluzione francese del 1789

la Cerniera della modernità politica

Sintesi libera di alcuni punti del libro di Beniamino Di Martino – “Rivoluzione del 1789 - la Cerniera della modernità politica e sociale” – Leonardo Faccio Editore 
La tanto declamata Rivoluzione francese è iniziata con un inutile massacro, quello dell’uccisione della guarnigione che presidiava la Bastiglia, costituita da militari invalidi e dove erano rinchiusi un centinaio di prigionieri politici e sette delinquenti comuni.  È poi culminata con i massacri del regime del Terrore e un super lavoro della ghigliottina. Chiusa infine con milioni di soldati francesi morti durante le guerre napoleoniche (per non parlare dei soldati degli stati aggrediti e dei civili), con una colossale sconfitta militare (nella campagna di Russia e poi nella battaglia di Waterloo, 18 giugno 1815), lo smantellamento dell’Impero napoleonico, la perdita di alcuni territori francesi strategici e lo stesso Napoleone, autoproclamatosi imperatore (ma non si era ribellato alla Monarchia?), fatto prigioniero. Il periodo che va dal 20 aprile del 1792 al 20 novembre 1815 viene anche indicato con il termine di "grande guerra francese". Nonostante tutto questo la Rivoluzione francese è paradossalmente percepita come una luce che rischiara definitivamente l’oscurantismo precedente. I gravissimi danni, sociali, umani e materiali vengono passati in sordina, come un sacrificio necessario, per affermare un nuovo modo di essere: l’inizio di una nuova era.
Di fatto siamo di fronte ad una “storia ideologica” della Rivoluzione francese nella quale si attribuiscono le violenze ad una ipotetica “rivolta per il pane” da parte della povera gente, cosa che in realtà la situazione economica pre-rivoluzionaria non giustificava. All’origine della rivoluzione fu, non certo il popolo (come in altre rivoluzioni utilizzato sempre come paravento), ma la risibile minoranza dei club giacobini dai quali nascerà poi la dittatura del Terrore di Robespierre e la durissima repressione della rivolta vandeana (1793-1796) definita  il primo genocidio della storia contemporanea. Le guerre di Vandea furono una serie di conflitti civili scoppiati che videro la popolazione della Vandea e di altri dipartimenti vicini insorgere contro il governo rivoluzionario.
L’attenzione degli storici sottolinea invece l’importanza politica della rivoluzione come l’abolizione del feudalesimo (5 agosto 1789) che non fu un atto liberatorio, come venne definito, ma bensì la distruzione  della società tradizionale al  fine, non certo di distribuire la terra ai contadini, ma di far passare le grandi proprietà terriere nelle mani di pochissimi alto-borghesi. Ma la principale conseguenza di quell’atto fu la definitiva distruzione di ciò che rimaneva dell’antica società organica, (distrutte: 5.000 Chiese, monumenti e opere d’arte stupende saccheggiate, abbattute 12.000 Abbazie e Conventi, 20.000 castelli incendiati e saccheggiati, per non parlare dei cattolici, popolani e monarchici ghigliottinati), eliminando assieme alle sovrastrutture negative, sorte dopo il medioevo, i necessari e determinanti corpi intermedi ponendo così “l’uomo solo dinanzi allo Stato”. Si ridussero così le persone a individui (chiamati cittadini per indorare la pillola) trasformandoli in una massa amorfa di individui sostanzialmente indifesi di fronte all’arbitrio di una “volontà generale” (decisa da altri) e quindi del tutto sganciata da quel “popolo” di cui la rivoluzione voleva essere la benefattrice (?).
Le rivoluzioni successive ricalcheranno questo cliché dove alla fine il popolo sovrano sarà sempre “un uomo solo dinanzi allo strapotere dello Stato” perfino nelle attuali moderne democrazie dove si parla tanto del principio di sussidiarietà a cui lo Stato dovrebbe rifarsi. ( La sussidiarietà è quel principio regolatore per cui se un ente inferiore o corpo intermedio è capace di svolgere bene un compito, l'ente superiore non solo non deve intervenire, ma deve sostenerne e garantirne l'azione e la sopravvivenza). La cosa non avviene perché di fatto chi “comanda” davvero è sempre un gruppo di potere che, dietro le quinte, manovra abilmente le possibilità della “democrazia” favorendo l’andata al potere di chi poi si lascerà manovrare da loro.

Questi che seguono sono alcuni degli Stati Etici ottenuti con la rivoluzione del popolo contro lo strapotere di sovrani oppressori, della superstizione religiosa e per la libertà dei “cittadini”.

 “Regni pure un re su di loro”

Samuele 1 – Cap.8  
[1]Quando Samuele fu vecchio, stabilì giudici di Israele i suoi figli. [2]Il primogenito si chiamava Ioèl, il secondogenito Abià; esercitavano l'ufficio di giudici a Bersabea. [3]I figli di lui però non camminavano sulle sue orme, perché deviavano dietro il lucro, accettavano regali e sovvertivano il giudizio. [4]Si radunarono allora tutti gli anziani d'Israele e andarono da Samuele a Rama. [5]Gli dissero: «Tu ormai sei vecchio e i tuoi figli non ricalcano le tue orme. Ora stabilisci per noi un re che ci governi, come avviene per tutti i popoli». [6]Agli occhi di Samuele era cattiva la proposta perché avevano detto: «Dacci un re che ci governi». Perciò Samuele pregò il Signore. [7]Il Signore rispose a Samuele: «Ascolta la voce del popolo per quanto ti ha detto, perché costoro non hanno rigettato te, ma hanno rigettato me, perché io non regni più su di essi. [8]Come si sono comportati dal giorno in cui li ho fatti uscire dall'Egitto fino ad oggi, abbandonando me per seguire altri dei, così intendono fare a te. [9]Ascolta pure la loro richiesta, però annunzia loro chiaramente le pretese del re che regnerà su di loro».
Gli inconvenienti della regalità. [10]Samuele riferì tutte le parole del Signore al popolo che gli aveva chiesto un re. [11]Disse loro: «Queste saranno le pretese del re che regnerà su di voi: prenderà i vostri figli per destinarli ai suoi carri e ai suoi cavalli, li farà correre davanti al suo cocchio, [12]li farà capi di migliaia e capi di cinquantine; li costringerà ad arare i suoi campi, a mietere le sue messi, ad apprestargli armi per le sue battaglie e attrezzature per i suoi carri.[13]Prenderà anche le vostre figlie per farle sue profumiere e cuoche e fornaie. [14]Si farà consegnare ancora i vostri campi, le vostre vigne, i vostri oliveti più belli e li regalerà ai suoi ministri. [15]Sulle vostre sementi e sulle vostre vigne prenderà le decime e le darà ai suoi consiglieri e ai suoi ministri. [16]Vi sequestrerà gli schiavi e le schiave, i vostri armenti migliori e i vostri asini e li adopererà nei suoi lavori. [17]Metterà la decima sui vostri greggi e voi stessi diventerete suoi schiavi. [18]Allora griderete a causa del re che avrete voluto eleggere, ma il Signore non vi ascolterà». [19]Il popolo non diede retta a Samuele e rifiutò di ascoltare la sua voce, ma gridò: «No, ci sia un re su di noi. [20]Saremo anche noi come tutti i popoli; il nostro re ci farà da giudice, uscirà alla nostra testa e combatterà le nostre battaglie».[21]Samuele ascoltò tutti i discorsi del popolo e li riferì all'orecchio del Signore. [22]Rispose il Signore a Samuele: «Ascoltali; regni pure un re su di loro». Samuele disse agli Israeliti: «Ciascuno torni alla sua città!».

I frutti di 26 anni di rivoluzioni

1.  La rivoluzione francese, o prima rivoluzione francese 
fu un periodo di radicale e violento sconvolgimento sociale, politico e culturale occorso in Francia tra il 1789 e il 1799, assunto dalla storiografia come lo spartiacque temporale tra l'età moderna e l'età contemporanea.
2.  Con la rivoluzione di luglio, nota anche come rivoluzione del 1830, seconda rivoluzione francese avvenuta a Parigi nelle giornate del 27, 28, e 29 luglio 1830, fu rovesciato Carlo X – ultimo sovrano della dinastia dei Borbone – e sostituito da Luigi Filippo, il re della monarchia di luglio.
3.  La rivoluzione francese del 1848 o terza rivoluzione francese nasce sotto la spinta dell'opposizione liberale, repubblicana e socialista al governo Guizot. I parigini si sollevano il 22 febbraio 1848 prendendo il controllo della città, con il monarca Luigi Filippo che rinuncia a soffocare con le armi la rivolta e abdica il 24 febbraio, mentre il governo provvisorio rivoluzionario proclama la Seconda Repubblica il 4 maggio 1848.
4.  Questi i frutti di 26 anni di rivoluzioni:
1.     Fine delle secolari autonomie locali
2.     Centralismo esasperato
3.     Burocrazia soffocante (ancora oggi presente)
4.     Istituzioni statali centralizzate (ne soffriamo anche oggi)
5.     Cimiteri allontanati dalle città in modo che non disturbino la vita dei vivi
6.     Fine ingloriosa del Sacro Romano Impero
7.     Fine dei principati ecclesiastici
8.     Fine della “Invincibile armada” e del potere spagnolo nelle Americhe saccheggiato da Inglesi, Francesi e Americani (i futuri USA)
9.     Espansione delle logge massoniche che soffiano sul desiderio di indipendenza e libertà delle masse per utilizzarle per i loro obiettivi di potere
10.                       Guerra totale e su tutti i fronti alla religione cattolica, al papa e alla Chiesa
11.                       Nascita in Italia della Carboneria per agevolare, fingendosi buoni cattolici, l’insinuarsi della Massoneria negli ambienti ecclesiastici (ci cascarono diversi alti prelati – vedi la Bolla Ecclesiam a Jesus 1821 di Pio VII  e poi di papa Gregorio XVI del 1831 dopo la scoperta in merito della polizia pontificia)
Un esempio per tutti. “Dalla lettera di un Carbonaro” (pseudonimo Piccolo Tigre) si legge: “l’essenziale è isolare l’uomo dalla famiglia, fargliene perdere l’abitudine, fargli provare disgusto della famiglia e della religione perché l’una và sempre a seguito dell’altra”.
Nel 1831 la Francia indice una conferenza internazionale a Roma per occuparsi della risoluzione dei problemi dello  Stato della Chiesa. In essa, non solo le sette protestanti e quelle massoniche ma anche gli stati decretano la scomparsa dello Stato pontificio. Lo si ricava anche da una lettera che Federico Guglielmo III scrive a Voltaire: “si penserà alla facile conquista dello stato del papa per supplire alle spese straordinarie, e allora il pallio è nostro e la scena è finita. Tutti i potentati d’Europa non volendo riconoscere un Vicario di Gesù Cristo soggetto ad un altro Sovrano, si creeranno un patriarca ciascuno nel proprio stato; così a poco a poco ognuno si allontanerà dall’unità della Chiesa e finirà coll’avere nel suo regno una religione come una lingua a parte”.
A tutto questo e alle persecuzioni in atto in Europa e nelle Americhe risponde lo Spirito Santo con una moltitudine di martiri, di Santi e di Missionari. I nemici della Chiesa si rendono conto che l’abbattimento della religione è più difficile di quanto avevano pensato ed allora inventano i Cattolici liberali (tuttora presenti con varie etichette, per esempio quella di “Cattolici Adulti”). Papa Gregorio XVI (1831-1846) lo segnala nella Mirari vos (1832): “Accesi dall’insana e sfrenata brama di libertà senza ritegno, sono totalmente rivolti a manomettere, anzi a svellere qualunque diritto di Principato, onde poscia recare ai popoli, sotto colore di libertà, il più duro servaggio”. Il papa cioè vuol richiamare il fatto che la libertà come intesa nella modernità, cioè sganciata dalla verità, è sempre all’origine del più duro “servaggio”.
La Massoneria si servirà del Cattolico liberale Massimo d’Azelio per preparare la distruzione dello stato pontificio unificando l’Italia sotto i Savoia, assettati di potere e docili esecutori di progetti anticattolici (nonostante gli accorati richiami di San Giovanni Bosco). D’Azelio sa che in Italia non c’è modo di fare una rivoluzione perché la popolazione è fortemente cattolica, ma c’è sempre un’arma che sembra essere invincibile e che per primo ha usato lo stesso Satana, la menzogna, la calunnia, la maldicenza nei confronti dello stato pontificio e della sua amministrazione. Intanto a Roma c’è un nuovo papa, Pio IX (1846-1878) uomo energico, riformatore, pieno di carità verso tutti, nemici compresi. A questi ultimi viene una brillante idea, far passare Pio IX come un papa liberale e aizzare le folle al grido di “Viva Pio IX”. Viene così spacciato il papa come liberale e rivoluzionario. Senza questo artificio la vittoria del risorgimento non sarebbe stata così facile anche se in realtà non fu proprio facile perché costò l’olocausto di intere popolazioni di cattolici che si opposero ai piemontesi atei e invasori. (sull’argomento vedi: di Oscaro Sanguinetti “Le Insorgenze” Quaderni del Timone e di Angela Pellicciari “Risorgimento anticattolico” Ed. Piemme e “Risorgimento da riscrivere” Ed. Ares Milano)
Il liberalismo è un insieme di dottrine, definite in tempi e luoghi diversi durante l'età moderna e contemporanea, che pongono precisi limiti al potere e all'intervento dello stato, al fine di proteggere i diritti naturali, di salvaguardare i diritti di libertà e, di promuovere l'autonomia creativa dell'individuo oltre che la sua indipendenza politica. Storicamente il liberalismo nasce come ideale che si affianca all'azione della borghesia nel momento in cui essa combatte contro le monarchie assolute e i privilegi dell'aristocrazia a partire dalla fine del XVIII  secolo.
Il liberalismo ha contribuito a definire la concezione moderna di società, intesa come somma ed espressione delle varietà e singolarità umane, concernenti sia l'ambito spirituale come la sfera materiale. Inoltre il liberalismo è probabilmente la dottrina che ha più influenzato la concezione moderna della democrazia: si parla infatti di "liberal democrazia" in modo generico per indicare una moderna democrazia che non sia basata esclusivamente sulla volontà della maggioranza ma - anche e soprattutto - sul rispetto delle minoranze.
In Inghilterra l'imposizione di limiti al potere del sovrano avviene, a differenza che negli altri paesi europei, attraverso un processo storico graduale che viene fatto iniziare addirittura nel Medio Evo con la concessione della Magna Charta.

La Libertà che guida il popolo
(1830, Eugène Delacroix)
Il passaggio dal feudalesimo allo Stato liberale avviene senza la mediazione dell'assolutismo monarchico, se si esclude il periodo di regno dei Tudor, caratterizzato da un notevole accentramento dei poteri nelle mani dei sovrani. Il tentativo della successiva dinastia degli Stuart di prolungare il sistema assolutistico portò allo scoppio della prima rivoluzione inglese, guidata dal leader anti-monarchico, ma non liberale, Oliver Cromwell.
Dopo numerosi sconvolgimenti politici a seguito della dittatura di Cromwell, nel 1689 il Parlamento inglese riuscì a portare sul trono Guglielmo III d'Orange, che si impegnava a garantire al Parlamento stesso e ai cittadini inglesi una serie di diritti e libertà solennemente proclamati nel Bill of Rights. L'Inghilterra fu così il primo Stato al mondo ad essere governato da una monarchia costituzionale, la tipica forma di governo del liberalismo classico.
Nel 1690 Locke, che apparteneva al Partito Whig (più tardi chiamato Partito Liberale), pubblicò anonimo Due Trattati sul Governo, che contenevano i principi fondamentali del liberalismo classico. Il filosofo britannico sviluppa il proprio pensiero partendo dalla teoria del contrattualismo (già avanzata da Thomas Hobbes e ripresa poi nel celebre Contratto sociale di Jean-Jacques Rousseau).
Secondo Locke, nello stato di natura tutti gli uomini sono uguali ed esercitano i propri diritti di natura (libertà, uguaglianza, proprietà e vita); diversamente da Hobbes però, egli ritiene che lo Stato di natura non sia una condizione di continua belligeranza ma di convivenza pacifica, in cui tuttavia l'esercizio dei diritti naturali è solo parziale poiché è limitato dal diritto punitivo esercitato discrezionalmente da ogni individuo.
Perciò, nell'atto dell'istituire lo Stato civile, gli uomini non cedono al corpo politico alcun diritto, ma lo rendono tutore dei diritti di natura, delegando al Parlamento il potere di emanare leggi positive che regolino l'esercizio della forza a difesa d'ognuno. Le funzioni fondamentali dello Stato liberale divengono quindi quelle di tutelare la libertà, l'uguaglianza, la vita e la proprietà dell'individuo. Inoltre, il pensiero liberale di Locke definisce una giustificazione etica della rivoluzione, il diritto di resistenza che ciascun individuo può e deve esercitare quando lo Stato agisce in contrasto con la volontà popolare od in contraddizione con i principi costituzionali.

Jean-Jacques Rousseau (1712  1778)

filosofo, scrittore e musicista svizzero di lingua francese.
Siamo in pieno illuminismo e Rousseau è uno dei filosofi più importanti di questo periodo. Scrive “il contratto sociale” ma con premesse completamente diverse da i suoi predecessori.
È infatti un illuminista sui generis perché scardina decisamente uno dei fondamenti dell’illuminismo: l’idea di progresso.
L’illuminismo infatti vede la storia dell’uomo come un itinerario lineare e continuo verso qualcosa di sempre migliore grazie alla ragione che con la sua luce illuminerà tutto il reale, idea che proviene dal cattolicesimo che aveva spezzato il circolo metafisico. Ieri c’era meno luce di oggi, domani ci sarà più luce di oggi. Si va sempre verso il meglio, il nuovo è sempre migliore del vecchio. Rousseau non condivide questo concetto di progresso e scrive un’opera nella quale dimostra che ciò che corrompe l’uomo è proprio il progresso. L’uomo in natura sarebbe buono e innocente, la società purtroppo invece lo corrompe.
Nel 1754 scrive un’opera “Il discorso sulle origini e i fondamenti della ineguaglianza fra gli uomini” nella quale nega la dottrina del peccato originale e afferma che l’uomo è buono per natura.
Cominciamo togliendo di torno tutti i fatti” questo è il primo pensiero espresso nell’opera. In altre parole la realtà non ci interessa dice Rousseau, interessa solo il ragionamento che supporta l’idea, cioè la mia idea.
Prendiamo per esempio la sua opera “Emilio o dell’educazione” nella quale considera le cinque fasi fondamentali dello sviluppo del giovane Emilio dimostrando che l'uomo nasce buono e che il male scaturisce dalla corruzione della società e da un'educazione non corretta, che non asseconda lo sviluppo armonioso delle potenzialità naturali. Emilio deve essere lasciato libero di sviluppare le proprie facoltà nella natura, con stimoli ridotti da parte del maestro, in modo da non essere influenzato in maniera eccessiva e artificiale dalle conoscenze altrui.
Emilio è un bambino irreale, che non esiste nella realtà, serve a Rousseau per cucirgli addosso le sue idee. Per inciso lui avrà ben 5 figli, la cui educazione affiderà, mano a mano che la sua compagna li partoriva, ad un orfanatrofio, cioè li abbandonerà. Lasciando da parte i fatti veri, cioè il suo reale comportamento, quello che conta per lui sono le teorie espresse nell’Emilio.
La teoria di Rousseau è quindi quella che l’uomo è buono e innocente per natura, perché in natura ha tutto ciò che gli serve: cibo, riposo, una compagna, ecc. senza grandi sforzi. Una sorta di paradiso terrestre diremmo noi. Ma allora cos’è che invece corrompe questa situazione paradisiaca? È l’invenzione della proprietà privata, tutti i mali dell’uomo derivano da questo.
Il giorno, dice Rousseau, che qualcuno decise di recintare un pezzo di terra e dichiarare che questa à di sua proprietà e trovò altri tanto ingenui da credergli, li cominciarono tutte le ingiustizie. La radice del male non è il peccato originale, ma la proprietà privata. Morale, dobbiamo quindi costituire una società che imiti lo stato di natura.
Come si può arrivare a questo tipo di società? Anche Rousseau fa riferimento ad un Contratto Sociale nel quale gli uomini liberamente alienano la loro vita e diventano qualcos’altro, lasciano la loro individualità per entrare nel corpo sociale. Un corpo che ha una volontà generale.
Una volontà generale, dice Rousseau, non è la somma di volontà particolari, ma è il bene della comunità, anche se è visto e capito da poche persone. Il singolo individuo, anche se non è d’accordo sulle scelte della volontà generale, sa che obbedendo a questa volontà non fa altro che obbedire a quello che è il vero bene della comunità e quindi anche suo. Il concetto di fatto è che ci sono alcuni, illuminati, che vedono il vero bene della società. Cioè che ci sono degli illuminati che vedono il vero bene anche per chi non è in grado di vederlo. Chiediamoci a questo punto se Rousseau è davvero il grande teorico della democrazia come ci è stato sempre detto? Napoleone, Hitler, Mussolini, Stalin, Mao, ecc. non sono stati degli illuminati che hanno visto quale era il vero bene della società a dispetto di quegli ingenui o ignoranti che non erano in grado di vederlo?
Sembra che, non lasciando da parte i fatti, sia il totalitarismo la vera risposta di Rousseau al bene comune. Risposta totalitaria che è passata per democratica, e che è stata di fatto un’esca per i totalitarismi rinati al seguito dalla rivoluzione francese. Già nella rivoluzione francese si è passati  dalla volontà generale al regime del terrore e poi a Napoleone Imperatore assoluto e ancor oggi simbolo della grandeur francese”.

Vita di Rousseau

Nato da un'umile famiglia calvinista ginevrina di origine francese, ebbe una gioventù difficile ed errabonda durante la quale si convertì al Cattolicesimo. Visse e studiò a Torino e svolse diverse professioni, tra cui quella della copia di testi musicali e quella di istitutore. Trascorse alcuni anni di tranquillità presso la nobildonna Françoise-Louise de Warens una protestante convertita al Cattolicesimo  che mandò Rousseau nella capitale del Ducato, Torino, presso il collegio cattolico dell'Ospizio dello Spirito Santo. Qui, egli abiurò il protestantesimo (la religione paterna) e fu battezzato con rito cattolico, quindi, dopo alcuni vagabondaggi tra la Francia e la Svizzera, si trasferì a Parigi, dove conobbe gli enciclopedisti e collaborò con loro. Nello stesso periodo iniziò la sua relazione con Marie-Thérèse Levasseur, una domestica analfabeta, da cui avrebbe avuto cinque figli di cui non si occupò minimamente. Il suo primo testo filosofico importante, il Discorso sulle scienze e le arti, vinse il premio dell'Accademia di Digione nel 1750 e segnò l'inizio della sua fortuna.
Nell'estate del 1754 rientrò per un breve periodo a Ginevra, dove venne accolto con tutti gli onori e si riconvertì al calvinismo. Nel 1762 vennero pubblicate due delle più importanti opere di Rousseau, Émile, o dell'educazione e Il contratto sociale. Anche se furono testi di un certo successo, nessuno dei due suscitò approvazione, e l'Émile in particolare venne fatto oggetto di critiche e persecuzioni molto dure: il parlamento di Parigi lo condannò e ordinò che tutte le copie venissero strappate e bruciate. Il 9 giugno fu emanato un ordine d'arresto per Rousseau, che dovette fuggire in Svizzera. Tuttavia anche in Svizzera le sue opere vennero condannate, e si diedero episodi in cui copie del Contratto sociale e dell'Émile furono bruciate pubblicamente a Ginevra.
Il 1765 vide i testi di Rousseau ancora oggetto di dure contestazioni. La notte tra il 6 e il 7 settembre la casa di Rousseau a Môtiers fu presa a sassate dalla folla. Dopo aver a lungo girovagato tra Lione, Chambéry, Grenoble e Bourgoin, e dopo essersi finalmente unito in matrimonio con Thérèse Levasseur nel 1768, nel 1769 Rousseau si stabilì in una fattoria presso Monquin (nella Sarthe) e si dedicò alla stesura della seconda parte delle sue Confessioni.
Gli ultimi anni di Rousseau furono caratterizzati da un crescente isolamento: un clima di disagio e di sofferenza circondava il filosofo e scrittore, affetto da sempre più pronunciati squilibri psichici. Il 2 luglio 1778, di ritorno da una passeggiata, fu assalito da un violento mal di testa e morì nel giro di pochi istanti. La sera del 4 luglio, alla presenza di solo pochi amici, Jean-Jacques Rousseau fu seppellito sull'isola dei Pioppi (île des Peupliers). Allora l'isola venne ribattezzata Elysée, e divenne meta di pellegrinaggi da parte degli ammiratori del filosofo scomparso.
Durante la Rivoluzione il pensiero politico rousseauiano in generale, e il Contratto sociale in particolare, divennero un importante punto di riferimento per gli oppositori dell'Ancien Régime. Rousseau fu tra i primi a essere inumato nel Panthéon, che era stato dedicato alla memoria dei grandi francesi dai rivoluzionari nel 1791.

Rousseau commentato da N. Abbagnano.

Da un lato Rousseau è stato visto come un teorico della democrazia, un filosofo della libertà, per l’esplicita affermazione secondo cui la sovranità risiede nel popolo, ma da un altro lato è stato visto, e con ragione, il fautore di una democrazia totalitaria, di un collettivismo autoritario per la celebrazione della volontà generale e per l’asserita prevalenza del noi sull’io, secondo un indirizzo teorico che troverà la sua drammatica semplificazione storica nella rivoluzione francese combattuta fra la proclamazione ideale della democrazia e la pratica del terrore, fra la presunta moralità rivoluzionaria dell’élite al potere, sedicente interprete della volontà generale e il suo sanguinario dispotismo di fatto. Anzi secondo questa lettura, Rousseau, più che come un ispiratore di movimenti di liberazione, dovrebbe essere considerato un esecrabile profeta dei moderni totalitarismi di massa e della loro tendenza a dissolvere l’uomo nel cittadino”. (tratto da N. Abbagnano “Storia della Filosofia” – UTET)

Niccolò Machiavelli (1469 - 1527)


In questo capitolo della rivoluzione del pensiero politico abbiamo solo accennato a Niccolò Machiavelli, che cronologicamente viene prima dei filosofi trattati e che è considerato il primo grande teorico della politica moderna e dello Stato uscito dal medioevo, dalla soggezione al potere religioso, dalla frammentazione feudale. Vale però la pena, prima di inoltrarci nei prossimi argomenti di dare una sintesi del suo pensiero.
Grazie alla sua elaborazione la politica si avvia con lui ad affermarsi come scienza, con i suoi princìpi, le sue leggi e con il suo statuto disciplinare: questo per Macchiavelli comporta l’autonomia dalla religione e dalla morale. Egli adotta un metodo di ricerca legato alla sua diretta esperienza politica: ha infatti affinato, con l’opera diplomatica, una grande capacità di osservare in modo lucido e attento vicende, trame e conflitti che scorrono nel presente, valutando il loro svolgimento senza farsi distrarre dalle apparenze.
In Machiavelli l’autonomia della politica ha due significati: in primo luogo il sapere, che riguarda l’agire politico, si deve costituire come “scienza”, definendo in modo rigoroso il proprio oggetto, i principi specifici, le finalità. In secondo luogo, è lo stesso obiettivo proprio della politica a richiedere l’indipendenza da istanze di ordine religioso e morale, pena l’insuccesso.
Per Macchiavelli l’agire politico ha la sua giustificazione in sé stesso, non in princìpi morali o religiosi. Ritiene che per realizzare un ordine di convivenza libero e sicuro, la politica debba far riferimento agli uomini come sono e non come si vorrebbe che fossero, in quanto l’agire politico è condizionato dalla situazione esistente. 

Montesquieu (1689  1755).


Il suo grande ideale liberale è una vita umana ricca, multiforme, sfaccettata, complessa, in cui il potere politico e l'ordine giudiziario mettano i cittadini al riparo da qualunque prevaricazione. Nel suo trattato de “Lo spirito delle leggi”, Montesquieu traccia la teoria della separazione dei poteri. Partendo dalla considerazione che il "potere assoluto corrompe assolutamente". L'autore analizza i tre generi di poteri che vi sono in ogni Stato: il potere legislativo (fare le leggi), il potere esecutivo (farle eseguire) e il potere giudiziario (giudicarne i trasgressori). Condizione oggettiva per l'esercizio della libertà del cittadino, è che questi tre poteri restino nettamente separati.

Sintesi finale

La filosofia politica nasce dalla domanda fondamentale intorno alla natura dell’uomo. L’uomo è un animale politico, sociale e socievole, come diceva Aristotele, oppure è tristo e malvagio per natura, come afferma Macchiavelli e Hobbes e tiene a freno i suoi peggiori istinti solo per paura delle sanzioni?
          
Macchiavelli, spregiudicato e disinvolto nell'uso del potere, afferma: “un buon principe deve essere astuto per evitare le trappole tese dagli avversari, capace di usare la forza se ciò si rivela necessario, abile manovratore negli interessi propri e del suo popolo”, con il coraggio di scavalcare religione e morale pur di raggiungere il suo scopo.

Thomas Hobbes descrive la natura umana come competitiva ed egoista, Bellum omnium contra omnes, Homo homini lupus, e si basa su una visione fatta di egoismo, desiderio di potere, impulso di sopraffazione. Quando sceglie l’ordine e la pace con i suoi simili, come avviene con la costruzione dello stato, non è per amore verso di loro, ma per il timore della morte e per il desiderio di conservare i beni necessari alla propria sopravvivenza, quindi per puro egoismo.

Rousseau, grande ispiratore dell’illuminismo francese, ha una visione opposta dell’uomo. Per Rousseau è la società a corrompere gli esseri umani, che per natura invece sono inclini al bene. Attraverso una educazione semplice e a contatto con la natura, lontano dai cattivi influssi della civiltà, l’essere umano può ritrovare l’innocenza originaria. Con Rousseau nasce il mito del “buon selvaggio” che alimenterà l’immaginario delle grandi esplorazioni del ‘700 nei territoti incontaminati del pianeta, abitati da una umanità felice e spensierata immersa nella natura primigenia (?).
La due differenti visioni dell’uomo sono alla base di due diverse valutazioni del corpo politico, quella positiva del realismo di Hobbes e Macchiavelli per la quale la società civile è l’ordine che permette agli esseri umani di auto conservarsi e di prosperare, quella invece negativa di Rousseau che afferma che è dalla proprietà privata e dalla divisione del lavoro che nasce la diseguaglianza tra gli uomini che lo stato sancisce e protegge.
Gli individui non dovrebbero essere sottomessi a nessuna autorità al di fuori della volontà generale del popolo. Solo in questo caso saranno liberi, perché obbediranno alle leggi create da loro stessi. Il problema sarà: qual è la volontà generale del popolo?
Nella filosofia moderna e contemporanea le domande fondamentali di Macchiavelli, di Hobbes e di Rousseau sulla natura umana, sul rapporto fra l’individuo e la società e sulle caratteristiche e il ruolo dello stato, non finiranno mai di stimolare la riflessione politica e di cercare nuove risposte.

Osservazioni conclusive

di don Claudio Crescimanno
I filosofi della politica, che abbiamo appena visto, ci hanno portato in campo, e in modo prorompente, il problema dello Stato e più precisamente quello dello Stato Etico. (Etica o Morale = Ricerca di ciò che è bene per l'uomo, di ciò che è giusto fare o non fare ed è materia che disciplina fin dall’antichità i rapporti dell’uomo con Dio e i rapporti dell’uomo con gli altri uomini).
Hegel aveva definito lo Stato Etico "sostanza etica consapevole di sé".
La dottrina hegeliana affermava che lo Stato è fonte di libertà e norma etica per il singolo. La condotta dello Stato, quindi, non può essere oggetto di valutazioni morali da parte dell'individuo: lo Stato si pone fine supremo e arbitro assoluto del bene e del male.
Lo Stato Etico è il risultato della nuova visione filosofica politica di questi pensatori ed è tema dominante nel XIX  e XX  secolo, ma che conserva la sua attualità anche oggi e la conserverà sempre. (Ripresa nel Novecento, la teoria dello Stato Etico è stata da molti critici ben usata per spiegare il fondamento della concezione dello Stato nazista di Hitler, fascista di  Mussolini e di quello  comunista di Lenin e Stalin, di Mao e di altri simili).
Fin dalla antichità abbiamo avuto varie forme di governo: la Monarchia, la Repubblica, il Consolato, ecc. cioè vari modi di gestire i rapporti fra il Popolo e lo Stato. In particolare vari modi di gestire l’autorità che lo Stato esercita nei confronti del Popolo. Quelli che erano chiamati Sudditi e che ora vengono chiamati Cittadini.
Fino alla nascita della modernità, noi avevamo davanti solo due possibilità di Stato e di forma di governo: lo Stato Confessionale e lo Stato Teocratico.
Lo Stato Confessionale era la forma sociale tipica dell’Europa occidentale e cristiana. L’Europa era una pluralità di comunità di popoli unificati nell’Impero e negli Stati che si riconoscevano nell’Impero. In questo tipo di Stato c’era una Legge Naturale valida per tutti e lo Stato era impegnato a farla rispettare. Limite invalicabile dello Stato Confessionale era la stessa Legge di Dio, cioè i suoi Comandamenti, conosciuti attraverso una fede religiosa diffusa, ecco perché si chiama Stato Confessionale.
I Comandamenti di Dio erano il limite entro il quale dovevano collocarsi le leggi che il Sovrano doveva e poteva emanare, pena la scomunica e il diritto dei sudditi a disobbedirgli. Questo portava alcuni sovrani a soffrire questo limite che era rappresentato dalla figura del Papa che legittimava (incoronava) il Sovrano di turno e garantiva i sudditi almeno dagli abusi di potere più evidenti dello Stato (garanzia teorica in alcuni casi, ma comunque riconosciuta da tutti). Esistevano dunque due Autorità, quella civile, con i limiti già detti e quella Religiosa a salvaguardia almeno dei diritti più elementari dei sudditi (“Date a Dio quel che è di Dio e date a Cesare quello che è di Cesare”).
Lo Stato Teocratico era ed è lo stato islamico, nel quale il Sovrano impone la legge coranica alla lettera, cioè non emana nessuna legge, perché la legge è quella già scritta ed è proibito e punito qualunque approccio critico ad essa. Il Sovrano è l’autorità tout court” (civile e religiosa insieme diremmo noi). Possiamo dire, col nostro modo di pensare, che nello Stato Teocratico la legge religiosa coincide totalmente con la legge civile, oppure potremmo dire anche che non esiste la legge civile ed esiste solo quella religiosa, non si ha altra società all’infuori della comunità religiosa.
Lo Stato Etico nasce improvvisamente come una realtà nuova. Esplode un bisogno di abbandonare decisamente i riferimenti verso l’Alto, i Comandamenti ebraico cristiani come quelli coranici. Nasce un’impellente necessità di rifondare il tutto, ridare una legittimità di principio e di fatto al rapporto fra il sovrano e i sudditi.
Abbiamo visto il sorgere di almeno tre scuole di pensiero la cui sostanza di fondo è essenzialmente quella che i sudditi o meglio il popolo o gli abitanti di un territorio si affidano, dandogli più o meno limiti, ad un Sovrano o ad uno Stato, ad una autorità che praticamente e inevitabilmente diventa poi assoluta.
Anche se c’è una definizione dei limiti che circoscrivono questa possibilità di dominio assoluto, di fatto questi sono ininfluenti rispetto alla sostanza perché sono dati dalla stessa ideologia o ragionamento che ha dato potere al Sovrano. Non avendo più un riferimento che viene dall’alto, lo Stato incarnato dal Sovrano o da altre forme di autorità (gruppi di potere), non ha di fatto altro limite che se stesso. Lo Stato si trova investito di un consenso che lo obbliga a dire ai suoi sudditi, ora cittadini, cosa è bene per loro e cosa è male, ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, ciò che è vero e ciò che è falso, chi è amico del popolo e chi è nemico, chi può vivere e chi deve morire.
Questo è lo Stato Etico. È uno stato che a motivo della delega in bianco che gli viene data e non avendo altro limite se non quello posto da una non meglio definibile  “volontà generale”, decide e impone il vero e il falso, il giusto e lo sbagliato, il buono e il cattivo, ecc.
Volontà generale, che in realtà è la volontà di  pochi illuminati che dicono di sapere cos’è la cosa migliore da fare e che decidono anche per quelli che non sono d’accordo, perché tanto non sono d’accordo per il semplice fatto che non sono in grado di capire che quello che si sta facendo è anche per il loro bene.
Lo Stato quindi decide qual è l’etica o il comportamento adeguato da osservare da parte dei cittadini. Lo Stato Etico riceve ed esercita il discernimento, cioè la capacità di distinguere il bene dal male e di imporlo a tutti.
Perché non c’è alternativa allo Stato Etico? Perché se non esiste più un riferimento superiore allo Stato, lo Stato è l’ultima istanza. Per esempio se io e il mio vicino di casa abbiamo un conflitto e chiediamo giustizia ad un giudice, questi valuta la questione e decide chi ha ragione in funzione delle leggi dello Stato, che non ha erogato lui, ma appunto lo Stato.  Quindi è lo Stato che decide chi ha torto o ragione, ma in base a che cosa? In base alla sua visione delle cose, in base a criteri di chi in quel momento ha il potere e l’autorità, in base a quale ideologia fa riferimento chi ha il potere. Questa visione e la relativa ideologia che la giustifica è garantita nella sua legittimità, nella sua verità, nella sua bontà dal consenso popolare ottenuto in modi che è impossibile che siano rigorosamente democratici e razionali e comunque che è
impossibile che rappresentino davvero un consenso unanime.

Ma in pratica che garanzie ci sono che quanto legiferato dallo Stato sia davvero “volontà popolare”, cioè consapevole e libera scelta di una eventuale maggioranza, o non sia invece frutto dell’abilità dei gruppi di potere che condizionano e influenzano con pressioni lecite ed illecite le scelte politiche, con la loro abilità oratoria e con pressioni di vario tipo verso le fasce più deboli (intellettualmente ed economicamente) e che quindi decidono?
Vediamo quindi come la rivoluzione in campo politico di ieri sta condizionando pesantemente anche la politica di oggi. Quanto, la società in cui viviamo, è veramente libera e favorisce l’espressione della libertà, e quanto invece è frutto di condizionamenti di ambienti minoritari, ma che ci superano e di fatto decidono (a modo loro)?
Lo Stato Etico decide quindi quale è una vita degna di essere vissuta e quindi protetta e quale invece una vita da eliminare per il benessere comune o dell’individuo stesso, cioè decide chi deve vivere e chi deve morire, cosa è il vero e cosa è il falso, cos’è il bene e cos’è il male. Decisioni che spesso sono prese senza consultare correttamente l’opinione pubblica, ma approfittando del potere e della distrazione dei cittadini o diffondendo con i media e relative abilità oratorie e comunicative, opinioni o ideologie vendute come migliori delle precedenti per il solo fatto che sono nuove.
Questi sono i problemi dello Stato Etico, nato con la rivoluzione francese che portò al potere Napoleone e portato avanti dai pensatori che abbiamo appena visto, ma perfettamente attuali e presenti nella nostra Società e ancora senza soluzioni apprezzabili.

La Rivoluzione francese del 1789

la Cerniera della modernità politica

Sintesi libera di alcuni punti del libro di Beniamino Di Martino – “Rivoluzione del 1789 - la Cerniera della modernità politica e sociale” – Leonardo Faccio Editore 
La tanto declamata Rivoluzione francese è iniziata con un inutile massacro, quello dell’uccisione della guarnigione che presidiava la Bastiglia, costituita da militari invalidi e dove erano rinchiusi un centinaio di prigionieri politici e sette delinquenti comuni.  È poi culminata con i massacri del regime del Terrore e un super lavoro della ghigliottina. Chiusa infine con milioni di soldati francesi morti durante le guerre napoleoniche (per non parlare dei soldati degli stati aggrediti e dei civili), con una colossale sconfitta militare (nella campagna di Russia e poi nella battaglia di Waterloo, 18 giugno 1815), lo smantellamento dell’Impero napoleonico, la perdita di alcuni territori francesi strategici e lo stesso Napoleone, autoproclamatosi imperatore (ma non si era ribellato alla Monarchia?), fatto prigioniero. Il periodo che va dal 20 aprile del 1792 al 20 novembre 1815 viene anche indicato con il termine di "grande guerra francese". Nonostante tutto questo la Rivoluzione francese è paradossalmente percepita come una luce che rischiara definitivamente l’oscurantismo precedente. I gravissimi danni, sociali, umani e materiali vengono passati in sordina, come un sacrificio necessario, per affermare un nuovo modo di essere: l’inizio di una nuova era.
Di fatto siamo di fronte ad una “storia ideologica” della Rivoluzione francese nella quale si attribuiscono le violenze ad una ipotetica “rivolta per il pane” da parte della povera gente, cosa che in realtà la situazione economica pre-rivoluzionaria non giustificava. All’origine della rivoluzione fu, non certo il popolo (come in altre rivoluzioni utilizzato sempre come paravento), ma la risibile minoranza dei club giacobini dai quali nascerà poi la dittatura del Terrore di Robespierre e la durissima repressione della rivolta vandeana (1793-1796) definita  il primo genocidio della storia contemporanea. Le guerre di Vandea furono una serie di conflitti civili scoppiati che videro la popolazione della Vandea e di altri dipartimenti vicini insorgere contro il governo rivoluzionario.
L’attenzione degli storici sottolinea invece l’importanza politica della rivoluzione come l’abolizione del feudalesimo (5 agosto 1789) che non fu un atto liberatorio, come venne definito, ma bensì la distruzione  della società tradizionale al  fine, non certo di distribuire la terra ai contadini, ma di far passare le grandi proprietà terriere nelle mani di pochissimi alto-borghesi. Ma la principale conseguenza di quell’atto fu la definitiva distruzione di ciò che rimaneva dell’antica società organica, (distrutte: 5.000 Chiese, monumenti e opere d’arte stupende saccheggiate, abbattute 12.000 Abbazie e Conventi, 20.000 castelli incendiati e saccheggiati, per non parlare dei cattolici, popolani e monarchici ghigliottinati), eliminando assieme alle sovrastrutture negative, sorte dopo il medioevo, i necessari e determinanti corpi intermedi ponendo così “l’uomo solo dinanzi allo Stato”. Si ridussero così le persone a individui (chiamati cittadini per indorare la pillola) trasformandoli in una massa amorfa di individui sostanzialmente indifesi di fronte all’arbitrio di una “volontà generale” (decisa da altri) e quindi del tutto sganciata da quel “popolo” di cui la rivoluzione voleva essere la benefattrice (?).
Le rivoluzioni successive ricalcheranno questo cliché dove alla fine il popolo sovrano sarà sempre “un uomo solo dinanzi allo strapotere dello Stato” perfino nelle attuali moderne democrazie dove si parla tanto del principio di sussidiarietà a cui lo Stato dovrebbe rifarsi. ( La sussidiarietà è quel principio regolatore per cui se un ente inferiore o corpo intermedio è capace di svolgere bene un compito, l'ente superiore non solo non deve intervenire, ma deve sostenerne e garantirne l'azione e la sopravvivenza). La cosa non avviene perché di fatto chi “comanda” davvero è sempre un gruppo di potere che, dietro le quinte, manovra abilmente le possibilità della “democrazia” favorendo l’andata al potere di chi poi si lascerà manovrare da loro.

Questi che seguono sono alcuni degli Stati Etici ottenuti con la rivoluzione del popolo contro lo strapotere di sovrani oppressori, della superstizione religiosa e per la libertà dei “cittadini”.

 “Regni pure un re su di loro”

Samuele 1 – Cap.8  
[1]Quando Samuele fu vecchio, stabilì giudici di Israele i suoi figli. [2]Il primogenito si chiamava Ioèl, il secondogenito Abià; esercitavano l'ufficio di giudici a Bersabea. [3]I figli di lui però non camminavano sulle sue orme, perché deviavano dietro il lucro, accettavano regali e sovvertivano il giudizio. [4]Si radunarono allora tutti gli anziani d'Israele e andarono da Samuele a Rama. [5]Gli dissero: «Tu ormai sei vecchio e i tuoi figli non ricalcano le tue orme. Ora stabilisci per noi un re che ci governi, come avviene per tutti i popoli». [6]Agli occhi di Samuele era cattiva la proposta perché avevano detto: «Dacci un re che ci governi». Perciò Samuele pregò il Signore. [7]Il Signore rispose a Samuele: «Ascolta la voce del popolo per quanto ti ha detto, perché costoro non hanno rigettato te, ma hanno rigettato me, perché io non regni più su di essi. [8]Come si sono comportati dal giorno in cui li ho fatti uscire dall'Egitto fino ad oggi, abbandonando me per seguire altri dei, così intendono fare a te. [9]Ascolta pure la loro richiesta, però annunzia loro chiaramente le pretese del re che regnerà su di loro».
Gli inconvenienti della regalità. [10]Samuele riferì tutte le parole del Signore al popolo che gli aveva chiesto un re. [11]Disse loro: «Queste saranno le pretese del re che regnerà su di voi: prenderà i vostri figli per destinarli ai suoi carri e ai suoi cavalli, li farà correre davanti al suo cocchio, [12]li farà capi di migliaia e capi di cinquantine; li costringerà ad arare i suoi campi, a mietere le sue messi, ad apprestargli armi per le sue battaglie e attrezzature per i suoi carri.[13]Prenderà anche le vostre figlie per farle sue profumiere e cuoche e fornaie. [14]Si farà consegnare ancora i vostri campi, le vostre vigne, i vostri oliveti più belli e li regalerà ai suoi ministri. [15]Sulle vostre sementi e sulle vostre vigne prenderà le decime e le darà ai suoi consiglieri e ai suoi ministri. [16]Vi sequestrerà gli schiavi e le schiave, i vostri armenti migliori e i vostri asini e li adopererà nei suoi lavori. [17]Metterà la decima sui vostri greggi e voi stessi diventerete suoi schiavi. [18]Allora griderete a causa del re che avrete voluto eleggere, ma il Signore non vi ascolterà». [19]Il popolo non diede retta a Samuele e rifiutò di ascoltare la sua voce, ma gridò: «No, ci sia un re su di noi. [20]Saremo anche noi come tutti i popoli; il nostro re ci farà da giudice, uscirà alla nostra testa e combatterà le nostre battaglie».[21]Samuele ascoltò tutti i discorsi del popolo e li riferì all'orecchio del Signore. [22]Rispose il Signore a Samuele: «Ascoltali; regni pure un re su di loro». Samuele disse agli Israeliti: «Ciascuno torni alla sua città!».

I frutti di 26 anni di rivoluzioni

1.  La rivoluzione francese, o prima rivoluzione francese 
fu un periodo di radicale e violento sconvolgimento sociale, politico e culturale occorso in Francia tra il 1789 e il 1799, assunto dalla storiografia come lo spartiacque temporale tra l'età moderna e l'età contemporanea.
2.  Con la rivoluzione di luglio, nota anche come rivoluzione del 1830, seconda rivoluzione francese avvenuta a Parigi nelle giornate del 27, 28, e 29 luglio 1830, fu rovesciato Carlo X – ultimo sovrano della dinastia dei Borbone – e sostituito da Luigi Filippo, il re della monarchia di luglio.
3.  La rivoluzione francese del 1848 o terza rivoluzione francese nasce sotto la spinta dell'opposizione liberale, repubblicana e socialista al governo Guizot. I parigini si sollevano il 22 febbraio 1848 prendendo il controllo della città, con il monarca Luigi Filippo che rinuncia a soffocare con le armi la rivolta e abdica il 24 febbraio, mentre il governo provvisorio rivoluzionario proclama la Seconda Repubblica il 4 maggio 1848.
4.  Questi i frutti di 26 anni di rivoluzioni:
1.     Fine delle secolari autonomie locali
2.     Centralismo esasperato
3.     Burocrazia soffocante (ancora oggi presente)
4.     Istituzioni statali centralizzate (ne soffriamo anche oggi)
5.     Cimiteri allontanati dalle città in modo che non disturbino la vita dei vivi
6.     Fine ingloriosa del Sacro Romano Impero
7.     Fine dei principati ecclesiastici
8.     Fine della “Invincibile armada” e del potere spagnolo nelle Americhe saccheggiato da Inglesi, Francesi e Americani (i futuri USA)
9.     Espansione delle logge massoniche che soffiano sul desiderio di indipendenza e libertà delle masse per utilizzarle per i loro obiettivi di potere
10.                       Guerra totale e su tutti i fronti alla religione cattolica, al papa e alla Chiesa
11.                       Nascita in Italia della Carboneria per agevolare, fingendosi buoni cattolici, l’insinuarsi della Massoneria negli ambienti ecclesiastici (ci cascarono diversi alti prelati – vedi la Bolla Ecclesiam a Jesus 1821 di Pio VII  e poi di papa Gregorio XVI del 1831 dopo la scoperta in merito della polizia pontificia)
Un esempio per tutti. “Dalla lettera di un Carbonaro” (pseudonimo Piccolo Tigre) si legge: “l’essenziale è isolare l’uomo dalla famiglia, fargliene perdere l’abitudine, fargli provare disgusto della famiglia e della religione perché l’una và sempre a seguito dell’altra”.
Nel 1831 la Francia indice una conferenza internazionale a Roma per occuparsi della risoluzione dei problemi dello  Stato della Chiesa. In essa, non solo le sette protestanti e quelle massoniche ma anche gli stati decretano la scomparsa dello Stato pontificio. Lo si ricava anche da una lettera che Federico Guglielmo III scrive a Voltaire: “si penserà alla facile conquista dello stato del papa per supplire alle spese straordinarie, e allora il pallio è nostro e la scena è finita. Tutti i potentati d’Europa non volendo riconoscere un Vicario di Gesù Cristo soggetto ad un altro Sovrano, si creeranno un patriarca ciascuno nel proprio stato; così a poco a poco ognuno si allontanerà dall’unità della Chiesa e finirà coll’avere nel suo regno una religione come una lingua a parte”.
A tutto questo e alle persecuzioni in atto in Europa e nelle Americhe risponde lo Spirito Santo con una moltitudine di martiri, di Santi e di Missionari. I nemici della Chiesa si rendono conto che l’abbattimento della religione è più difficile di quanto avevano pensato ed allora inventano i Cattolici liberali (tuttora presenti con varie etichette, per esempio quella di “Cattolici Adulti”). Papa Gregorio XVI (1831-1846) lo segnala nella Mirari vos (1832): “Accesi dall’insana e sfrenata brama di libertà senza ritegno, sono totalmente rivolti a manomettere, anzi a svellere qualunque diritto di Principato, onde poscia recare ai popoli, sotto colore di libertà, il più duro servaggio”. Il papa cioè vuol richiamare il fatto che la libertà come intesa nella modernità, cioè sganciata dalla verità, è sempre all’origine del più duro “servaggio”.
La Massoneria si servirà del Cattolico liberale Massimo d’Azelio per preparare la distruzione dello stato pontificio unificando l’Italia sotto i Savoia, assettati di potere e docili esecutori di progetti anticattolici (nonostante gli accorati richiami di San Giovanni Bosco). D’Azelio sa che in Italia non c’è modo di fare una rivoluzione perché la popolazione è fortemente cattolica, ma c’è sempre un’arma che sembra essere invincibile e che per primo ha usato lo stesso Satana, la menzogna, la calunnia, la maldicenza nei confronti dello stato pontificio e della sua amministrazione. Intanto a Roma c’è un nuovo papa, Pio IX (1846-1878) uomo energico, riformatore, pieno di carità verso tutti, nemici compresi. A questi ultimi viene una brillante idea, far passare Pio IX come un papa liberale e aizzare le folle al grido di “Viva Pio IX”. Viene così spacciato il papa come liberale e rivoluzionario. Senza questo artificio la vittoria del risorgimento non sarebbe stata così facile anche se in realtà non fu proprio facile perché costò l’olocausto di intere popolazioni di cattolici che si opposero ai piemontesi atei e invasori. (sull’argomento vedi: di Oscaro Sanguinetti “Le Insorgenze” Quaderni del Timone e di Angela Pellicciari “Risorgimento anticattolico” Ed. Piemme e “Risorgimento da riscrivere” Ed. Ares Milano)
Risorgimento anticattolico e Risorgimento da riscrivere. L'unità d'Italia è stata cucita a spese della Chiesa. Il processo storico di unificazione dal 1848 al '61 si è svolto contestualmente a una vera e propria guerra di religione condotta nel Parlamento di Torino - dove tra i liberali siedono i massoni - contro la Chiesa cattolica. I liberali aboliscono tutti gli ordini religiosi della Chiesa di Stato, spogliano di ogni avere le 57.492 persone che li compongono, sopprimono le 24.166 opere pie, lasciano più di 100 diocesi senza vescovo, impongono al clero l'obbligo di cantare il Te Deum per l'ordine morale raggiunto, vietano la pubblicazione delle encicliche pontificie, pretendono siano loro somministrati i sacramenti nonostante la scomunica, e, come se nulla fosse, si proclamano cattolici. Perché? Perché proprio lo Stato sabaudo, che si dice costituzionale e liberale, alla guida del moto risorgimentale dedica accanite sessioni parlamentari per la soppressione degli ordini religiosi? Con quali motivazioni ideologiche, morali, politiche e giuridiche? Sulla base di una mole impressionante di fonti originali, Angela Pellicciari dimostra che colpendo il potere temporale della Chiesa s'intendeva annientarne la portata spirituale. Dell'iconografia tradizionale resta un Ottocento tormentato, certo spregiudicato, molto meno romantico, che apre a una più piena comprensione delle difficoltà riscontrate fino a oggi nell'evoluzione della nostra identità nazionale.

Le Insorgenze di Oscaro Sanguinetti. Un ventennio mai studiato veramente, volutamente taciuto, quello della resistenza popolare alla dominazione napoleonica d’Italia (1796-1814), eppure decisivo per la realizzazione del successivo Risorgimento. Il racconto delle insorgenze popolari controrivoluzionarie mette in luce la volontà degli italiani di rifiutare l’imposizione di un modello di vita contrario alle loro convinzioni, religiose anzitutto, anche a costo del sacrificio della vita. Infatti, oltre sessantamila italiani persero la vita per difendere le radici cristiane del proprio Paese.

«Date a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio»

Dalla Catechesi di Benedetto XVI su Clemente I
Clemente (Papa, martire e Padre della Chiesa dal 92 al 97) loda e ringrazia Dio per la sua meravigliosa provvidenza d’amore, che ha creato il mondo e continua a salvarlo e a santificarlo. Particolare rilievo assume l’invocazione per i governanti. Dopo i testi del Nuovo Testamento, essa rappresenta la più antica preghiera per le istituzioni politiche. Così, all’indomani della persecuzione, i cristiani, ben sapendo che sarebbero continuate le persecuzioni, non cessano di pregare per quelle stesse autorità che li avevano condannati ingiustamente. Il motivo è anzitutto di ordine cristologico: bisogna pregare per i persecutori, come fece Gesù sulla croce. Ma questa preghiera contiene anche un insegnamento che guida, lungo i secoli, l’atteggiamento dei cristiani dinanzi alla politica e allo Stato. Pregando per le autorità, Clemente riconosce la legittimità delle istituzioni politiche nell’ordine stabilito da Dio; nello stesso tempo, egli manifesta la preoccupazione che le autorità siano docili a Dio e «esercitino il potere, che Dio ha dato loro, nella pace e nella mansuetudine con pietà» (61,2). Cesare non è tutto. Emerge un’altra sovranità, la cui origine ed essenza non sono di questo mondo, ma «di lassù»: è quella della Verità, che vanta anche nei confronti dello Stato il diritto di essere ascoltata

Obbedienza alle autorità, sì, ma in primo luogo a Dio. Se le autorità ordinano comportamenti contrari alla volontà di Dio, i cristiani debbono opporsi e resistere  fino al martirio. In piena continuità teologica e più di 1000 anni dopo San Tommaso d’Aquino che giustifica questa disobbedienza perché se una legge è in contrasto con la ragione, è sicuramente iniqua, cioè cessa di essere legge ma diventa un atto di ingiustizia e di violenza. Oggi possiamo affermare che molti stati hanno leggi che giustificano peccati che gridano vendetta al cospetto di Dio e lo sanno così bene che stanno cercando di vietare l’obiezione di coscienza da parte di funzionari che volessero rifiutarsi di offendere Dio applicandole. Questi peccati sono: omicidio (aborto e eutanasia), atti impuri contro natura, oppressione dei poveri, defraudare la mercede agli operai, dal Catechismo di San Pio X – Fondamenti della fede cattolica. 


La Rivoluzione moderna
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